Sublime concerto di San Valentino al teatro Ponchielli: un viaggio sonoro tra dolcezza e virtuosismo
“La musica sembra essere la più esigente fra le arti, la più difficile da coltivare, e quella di cui le produzioni sono molto raramente presentate in condizioni che permettano di apprezzarne il valore effettivo, di vederne chiaramente la fisionomia, di afferrarne il senso intimo e il vero carattere.
Di tutti gli artisti creatori, il compositore è l'unico, si può dire, che dipende da una folla di intermediari, posti tra il pubblico e lui stesso; intermediari intelligenti o stupidi, devoti od ostili, attivi o inerti, i quali possono, dal primo all'ultimo, contribuire a far risplendere l'opera d'arte, come possono sfigurarla, calunniarla, quasi completamente distruggerla”.
Dipendere da intermediari come gli artisti di stasera vuol dire avere la sicurezza che la propria opera sia stata riconsegnata al flusso del tempo nel più eccezionale dei modi, con buona pace del compositore e direttore d’orchestra Hector Berlioz, autore della citazione di cui sopra.
Non si dirà mai abbastanza bene dell’illuminata direzione artistica del teatro Ponchielli di Andrea Cigni, che sta dando al pubblico cremonese la possibilità di ascoltare musicisti che sono dei veri fuoriclasse delle scene internazionali.
Frank Peter Zimmermann, in duo con il pianista ucraino Dmytro Choni, ha catturato il pubblico con un concerto dalla bellezza ombrosa, un pellegrinaggio mistico e impervio attraverso un programma di rara bellezza, composito e originale, che ha accostato brani solo apparentemente dissimili, in realtà legati da affinità molteplici.
Possiamo paragonare le variazioni di Schubert e la sonata di Brahms all’opera di un sarto esperto che custodisce modelli collaudati, che sono sempre uguali, e li tratteggia su tessuti diversi dando vita ad abiti di differenti consistenze e colori, ma ugualmente perfetti nel taglio e nelle proporzioni.
Le variazioni sul tema “Trockne blumen” nascono infatti, uniche nel catalogo schubertiano, per il flauto, e la sonata op. 120 è composta per clarinetto o viola, e pianoforte. Solo successivamente Brahms ne redigerà una versione per violino.
Questa trasposizione delle composizioni per uno strumento diverso eleva in maniera esponenziale la difficoltà di esecuzione, perché il tipo di fraseggio rimane molto legato alle peculiarità tecniche dello strumento originario, risultando di ben più difficile resa sullo strumento diverso.
La metamorfosi della composizione diventa metamorfosi nella composizione, negli altri due brani proposti: metamorfosi raccontata attraverso i miti del passato in Mity di Karol Szymanovsky, e metamorfosi dei temi folklorici magiari e romeni i cui echi sono inclusi, attraverso citazioni e frammenti, nel tessuto intricato e preziosissimo della sonata n.2 di Béla Bartók.
Un programma di sublime bellezza ma non per tutti: per le estreme difficoltà tecniche di cui tali partiture sono traboccanti, ma anche per la profondità interpretativa richiesta per leggerne le innumerevoli sfaccettature. Ultimi numeri d’opera per Schubert e Brahms, la fine presentita si affaccia nelle melodie pensose e poco inclini alla facile fascinazione della cantabilità piana.
Altre trame intersecano l’ordito di questo prezioso concerto: il ruscello schubertiano che congiunge le sue acque con quelle della fonte Aretusa sapientemente descritte nelle ardite volute delle pagine di Szymanovsky; la sonata che Brahms rivisita per il violino per l’amicizia che lo legava al grandissimo Joseph Joachim, la cui nipote era Jelly d’Arányi, dedicataria e prima esecutrice della sonata di Bartók.
Pagine di eccezionale bellezza, profondità ed estrema difficoltà tecnica, pagine, come dicevamo, non per tutti, che Zimmermann e Choni hanno eseguito per noi accompagnandoci con sovrumana maestria in un wandern, un vagabondare di romantica ascendenza, godimento per l’anima e per l’intelletto.
Nelle variazioni di Schubert il suono di Zimmermann si è rivelato di una dolcezza disarmante, fondendosi con naturalezza estrema con quello di Choni. Un’esecuzione che si è distinta per una trasparenza sonora che sembrava provenire da un’altra epoca, con il bellissimo suono del grancoda Fazioli di un nitore abbagliante nelle variazioni in cui era protagonista.
La lettura di questo straordinario duo è stata intelligente e profonda, capace di mantenere una liricità che celava con maestria la complessità tecnica dell’adattamento dei gorgheggi del flauto alla tastiera del violino: far sembrare facile il difficilissimo, ecco cosa distingue i giganti della musica.
La silloge di Szymanovski ha stregato il pubblico: Zimmermann ha giocato la carta di un vibrato completamente diverso da quello schubertiano, intensissimo e fascinatorio. Le difficoltà trascendentali della partitura sono state sublimate dall’eccezionale tecnica di Zimmermann e Choni; attimi di incanto totale in “Driadi e Pan”, un brano che incarna le sfide più ardue della tecnica violinistica: doppi trilli, doppi armonici, glissati, suoni in pianissimo al limite dell’udibile. Eppure, nelle mani di Zimmermann e Choni, tutto è fluito senza spigoli, proprio come lo scorrere di un ruscello.
Nella sonata di Brahms, gli interpreti hanno saputo coniugare languore e slancio passionale, esaltando l’eleganza e la ricchezza di una timbrica scura, legata all’originaria destinazione della composizione. La cesellatura dei suoni del Fazioli era sempre tornita e levigatissima, in perfetta armonia con l’eleganza dell’esecuzione.
Anche la sonata di Bartók, nonostante la scrittura apparentemente aspra e cerebrale, è stata resa come un omaggio intimo alle radici popolari, svelandone una dimensione emotiva profonda e inaspettata.
Gradito bis con l’Allegro amabile dalla Sonata in si bemolle maggiore di Brahms, che ha posto il sigillo a una serata memorabile.
L’idea di calendarizzare questo concerto per San Valentino si è rivelata vincente: una serata colma di dolcezza per veri amatori della grande Musica, l’ennesimo centro per questa fortunata stagione del Teatro Ponchielli.
Ci è sembrato che anche le dame dipinte sullo splendido fondale del teatro prendessero vita, attonite per lo stupore di fronte a cotanta bellezza.
Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)
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