Con Arlecchino, viva il teatro, viva la commedia! Pubblico festoso e tanti applausi al Ponchielli
«Viva il teatro, viva la commedia!» grida Arlecchino, e gli spettatori festosi gli fanno eco, ridono, applaudono. Se lo sarebbe mai aspettato il buon Luigi Riccoboni detto Lelio, grande attore del primo Settecento, che il suo canovaccio vecchio come il cucco avrebbe ancora tanto divertito? Quanta trepidazione quella sera del 1716 quando, invitato dal Reggente di Francia a riaprire la Comédie-Italienne, propose il suo repertorio comico. Certo, il signor Lelio e sua moglie Flaminia e i suoi cognati Mario e Silvia avrebbero voluto recitare non solo farse, ma anche delle belle tragicommedie in italiano. Ma i francesi volevano vedere Arlecchino e solo Arlecchino, perché Arlecchino faceva ridere e piaceva sempre.
Piace ancora tanto, a quanto pare. Trecento anni dopo le recite alla Comédie-Italienne, Arlecchino muto per spavento arriva al teatro Ponchielli prodotto da Stivalaccio Teatro in coproduzione col Teatro Stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano e Teatro Stabile di Verona, con il sostegno della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e della Fondazione Teatro Civico di Schio. La compagnia si è fatta notare negli ultimi anni per l’interesse esclusivo verso il repertorio della Commedia dell'arte italiana dei secoli XVII e XVIII, incluse le rivisitazioni del grande teatro classico, Shakespeare e Molière in testa. L’ obiettivo è quello di avvicinare e di ispirare un pubblico eterogeneo, dai giovani neofiti agli adulti appassionati.
Il muto per spavento è uno dei canovacci più famosi del teatro della Commedia dell'Arte dei primi del Settecento. La storia è quella tradizionale dell’amore contrastato: Lelio che ama ricambiato Flaminia, ma il padre di lei l’ha promessa a Mario, che a sua volta ama Silvia. Arlecchino, il servo di Lelio, è «ciacolon imprudente» e il suo padrone intende punirlo: finge che un demone sia imprigionato nel suo anello e se Arlecchino parlerà, il demonio lo tradirà e il servo sarà giustiziato. Arlecchino diventa muto per lo spavento. Ciò non toglie che, pure muto, farà la corte a Violetta, litigherà con Trappola, creerà tanto divertente scompiglio.
Lo spettacolo è un amoroso omaggio alla gloriosa tradizione teatrale italiana che ha reso i nostri attori e attrici famosi in tutta Europa a partire dalla fine del XVI secolo. Ci sono equivoci e lazzi comici, intrighi, duelli e finte morti e l’happy end dei tre matrimoni. È un divertimento senza tempo, nel tentativo di riscoprire una “memoria attiva” che unisca presente e passato.
La lingua mantiene il sapore dell’antico con la tradizionale mescolanza di dialetti (il veneziano di Pantalone, il romano di Violetta, il napoletano di Trappola, il francese di Flaminia), ma opportunamente strizza l’occhio al contemporaneo. Anche i costumi di Licia Lucchese mescolano stili e secoli con fantasia. In particolare, il vestito a pezzette stracciate di Arlecchino rimanda all’attore che inventò la maschera, quel Tristano Martinelli che ai primi del Seicento partì da Marcaria per far ridere la corte della regina Maria dei Medici a Parigi. Anche l’Arlecchino di Marco Zoppello, ferino e bestiale, è lontano dalle movenze settecentesche e ci riporta agli esordi della Commedia dell’arte. Con lui, pure regista e adattatore, recitano, cantano e danzano un gruppo di attori assai bravi e affiatati: Sara Allevi (Violetta), Marie Coutance (Flaminia), Matteo Cremon (Lelio), Anna De Franceschi (Stramonia Lanternani), Michele Mori (Mario Lanternani), Stefano Rota (Pantalone de’ Bisognosi, Bargello), Pierdomenico Simone (Trappola), Maria Luisa Zaltron (Silvia).
Pubblico festoso e tanti applausi alla fine. Viva il teatro e viva la commedia. Di questi tempi, è proprio il caso di gridarlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Jim Graziano Maglia
18 dicembre 2024 12:47
E brava Michela Zaccaria ! Nel leggere il suo interessante articolo teatrale qui presente,mi ha fatto venire in mente il grande critico e studioso teatrale Mario Apollonio a cui tanti altri successivi crticici e/o operatori-studiosi vari autori fecero riferimento,tra cui il compianto autore cremonese Sergio Torresani, con cui si laureò.L'articolo della valente Zaccaria è storicamente, teatralmentè ottimamente ben presentato e. Incalzante e,coinvolgente e "formativo" in maniera esemplare.E l'averla accostata a due tra i maggiori studiosi e citati critici italiani,rende ancor più merito alla sua capacità di arricchire culturalmente i fruitori-lettori,nel cui elenco,con vivo piacere,mi "colloco" con l'Amore che ho sempre nutrito per il Teatro. Pertanto grazie a Cremona Sera per la pubblicazione e un intenso grazie alla pregevole quanto pertinte "penna teatrale" di Michela Zaccaria.Un caro saluto.