Musica pop ma con forte componente classica: l'innocenza e il candore della musica di Giovanni Allevi arrivano dritti al cuore
Abbiamo tutti in mente la scena in cui Giovanni Allevi, togliendosi il berretto all’ultima edizione del Festival di Sanremo, magro e ingobbito, le spalle spigolose nel maglione troppo ampio, le mani scosse da un tremito incessante, annuncia alla platea dell’Ariston: “voglio accettare il nuovo Giovanni”.
La sua iconica capigliatura esplode in un tripudio di sfumature di grigio, il pubblico applaude impazzito.
Ecco, l’affetto fortissimo che i seguaci di Allevi provano per il loro idolo è stato tangibile anche stasera al teatro Ponchielli, per questa tappa cremonese del suo “Piano solo tour”, che riporta sui palcoscenici italiani il “pianista filosofo” dopo lo stop forzato dovuto alla scoperta del mieloma multiplo diagnosticatogli nel giugno del 2022.
Pubblico delle grandi occasioni, eterogeneo per età ed estrazione sociale. Molti degli spettatori visibilmente colpiti dalla bellezza del teatro Ponchielli, in cui è evidente siano entrati per la prima volta per l’occasione, cellulare alla mano, ingannavano la fremente attesa scattando selfie tra i velluti e i lampadari scintillanti, sfondo perfetto per testimoniare con una story la presenza al concerto del proprio beniamino.
Assistere a uno spettacolo di Allevi significa in primo luogo essere disposti a mettere da parte l’attaccamento alle nostre convinzioni e – diciamolo – anche i nostri pregiudizi da accademici.
Smetterla per una sera di essere “siperoisti”, come dice con felice neologismo il direttore della rivista Amadeus Filippo Michelangeli: una tendenza per cui “avere un atteggiamento benevolo, incoraggiante, o più semplicemente pratico, sembra togliere autorevolezza alle nostre parole”, dichiara il giornalista, e non possiamo che essere d’accordo con lui.
Perché questa premessa? Perché la musica di Allevi è considerata di serie B dagli addetti ai lavori, per non dire schernita e indegna di essere inserita tra le categorie della musica colta, essendo piuttosto collocata tra i ranghi inferiori della musica di consumo.
Eppure… eppure Allevi è compositore prolifico e variegato - il concerto di stasera lo ha dimostrato a pieno titolo - e dietro l’apparenza del motivetto orecchiabile che nella sua semplicità arriva al cuore dell’ascoltatore grazie a un meccanismo di soddisfazione dell’attesa e di prevedibilità della struttura fraseologica, c’è un humus ricco di influenze e riferimenti che rappresentano i riferimenti entro cui ha potuto costruirsi il linguaggio specifico di Allevi, quello che lo ha reso straordinariamente popolare e che grazie alla sua diffusione ha avvicinato al pianoforte e alla musica classica generazioni di giovani.
Chi storce il naso al solo sentirlo nominare forse non fa lo stesso al cospetto di Philip Glass, Michael Nyman o Wim Mertens, per rimanere nell’ambito dei grandi padri del minimalismo, e allora perché tanto livore per la “classica contemporanea”, ossimoro, ormai universalmente accettato, con cui lo stesso Allevi ama definire la sua musica? La critica spesso lo accusa di essere povero di contenuti e di distogliere il pubblico dall’ascolto della vera musica classica, ma la divulgazione che fa Allevi ha l’innegabile, grandissimo merito, di avvicinare tantissimi giovani alla musica.
Non si contano i ragazzini che hanno intrapreso lo studio del pianoforte con l’obiettivo di poter suonare le melodie accattivanti di Allevi, e questo è un fatto positivo, come anche avere i teatri pieni per un récital di pianoforte (il “Piano solo tour” ha registrato il tutto esaurito per tutte le date già in calendario nel 2025).
Ma gli echi che ritroviamo nelle sue composizioni vanno ben oltre il minimalismo storico. In diversi brani traspare il grande repertorio classico: c’è senz’altro Chopin, c’è Bach (ad esempio nel brano “No more tears”), e anche la lezione di Satie a ben ascoltare ha lasciato tracce consistenti nel dettato alleviano.
In brani come “L’idea” c’ è l’eredità dell’impressionismo francese, alla Debussy.
Sorge il dubbio fondato che Allevi potrebbe comporre anche musica più complessa se solo lo volesse ma la sua sia una scelta ponderata, una volontà precisa di arrivare a tutti, e che per questo componga la musica che lo rappresenta, quella che gli somiglia e veicola i valori che gli interessa comunicare.
Allevi non può essere raccontato senza descrivere il modo tutto suo che ha di interagire con il pubblico, e la sua precisa Weltanschauung che emerge dalle sue parole. La dimensione del concerto sta stretta al pianista e compositore, e anche scrittore, marchigiano, che parla di sé e del suo vissuto rompendo il classico schema del musicista silente che si esprime solo attraverso la musica. La recente esperienza della malattia lo ha segnato, e ha amplificato ancora di più il suo modo di porsi che per tanti è eccessivamente naïf ma invece può essere letto come la manifestazione di una personalità senza infingimenti e senza la corazza che è il risultato del diventare adulti. Allevi vive nel suo mondo e rifiuta di farsi incasellare da chi lo vuole male, esprime a parole la delicatezza e la gratitudine per ogni piccola cosa, i medici gli spiegano che non deve contare sul futuro? lui non ci crede e ride. Della morte e del dolore, e commuove tutti noi con il presente allargato in cui ha scoperto di poter vivere con gioia. Allevi scherza con la fragilità e la esibisce senza pudore. E questo sconvolge ed emoziona, perché racconta di tutti noi.
La sua vasta cultura musicale ma anche filosofica gli permette di convincere e affascinare con la sua musica, e ci lascia con una riflessione importante su cosa sia pop e cosa non lo sia, e su cosa abbia diritto di esistere e di essere apprezzato sulla scena culturale e musicale. Allevi è indubbiamente pop ma con una forte componente classica; stasera abbiamo ascoltato una apparente semplicità di altissimo livello, basata su una solida preparazione e una tecnica pianistica splendidamente padroneggiata, che a nostro avviso giustifica appieno il grandissimo successo di Giovanni Allevi. Un suono timbrato e rotondo, una ricchezza di dinamiche e un’espressività schietta e mai retorica. Mentre lo stesso non si può dire di altri personaggi che assurgono all’onore delle cronache con spettacoli televisivi in prime time ma non possono essere accettati come modelli per l’evidente scarsa qualità che emerge anche agli occhi di un ascoltatore mediamente acculturato. Divulgazione non vuol dire farsi andare bene quello che passa il convento (e l’amichettismo imperante).
Per cui ben vengano personaggi come il nostro Allevi nazionale: per un’ora e mezza sopporta stoicamente il dolore fisico, si racconta con doti da oratore nato, affabula e trascina; è sorprendentemente autoironico e provoca frequenti risate con le sue freddure.
Fra cento anni nessun musicista suonerà la musica di Tony Effe o di Elodie, ma qualche ragazzino dallo sguardo limpido e dalle mani agili probabilmente studierà “Tomorrow” o “Come sei veramente”, dopo averli scoperti tra i cd dei nonni.
C’è bisogno di bontà e valori positivi, e il pubblico di stasera ha ripagato Giovanni Allevi con calorosissime e interminabili standing ovation. Il suo sorriso fanciullesco e la sua musica hanno toccato i cuori di tutti per un concerto davvero indimenticabile.
Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (fotoStudio B12)
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commenti
Ilaria
12 gennaio 2025 13:50
Concordo pienamente con quanto scritto dalla Signora Alessi. Assistere al concerto di Allevi è stato un privilegio. Un cuore ed un'anima pura che ha dato a tutti una lezione di vita.
Antonio
12 gennaio 2025 16:29
Sopravvalutato