E' passata dalla Cremona del '500 la storia del gioco degli scacchi. Dal poemetto di Marco Gerolamo Vida ai quadri dei Campi e dell'Anguissola
Nei giovedì d'estate in centro città, in tanti hanno potuto provare il gioco degli scacchi negli spazi allestiti al gazebo dei Giardini pubblici. Non tutti però sono al corrente di come la storia degli scacchi sia strettamente connessa con quella della nostra città. Ecco una ricerca storica dell'amico e giornalista Angelo Locatelli.
Un poemetto sugli scacchi del cremonese Marco Girolamo Vida (Cremona, 1485- Alba,1566) divenne parte integrante della cultura Rinascimentale non solo italiana. La fortuna dello “Scacchia ludus”, questo il titolo dello scritto, (che a volte mutò in “La scaccheida”, “De ludo scacchorum”. ecc.) andò avanti per oltre due secoli raggiungendo circa trecento edizioni.
Il Vida, che iniziò a comporre quanto sopra nel 1507, fu nominato arciprete di Paderno, nel Cremonese, da Papa Leone X nel 1515; divenne poi priore della chiesa dedicata alle Sante Margherita e Pelagia di Cremona che provvide a far ricostruire nel 1547, con fondi propri, su progetto di Giulio Campi, autore pure degli affre- schi e dei dipinti insieme al fratello Antonio. Papa Clemente VII, Giulio de' Medici, lo designò protonotario apostolico e, quindi, vescovo di Alba, nel Monferrato, incarico che ricoprì dal 1533 al 27 settembre 1566, data della morte.
Una piccola opera, quella sugli scacchi ma di grande valenza sia dal punto di vista compositivo che per l'interesse suscitato.
Gli scacchi e Cremona: un connubio colto e di antiche origini che si fonde e si esalta nelle opere letterarie e artistiche di alcuni illustri cremonesi. Fu specialmente nel '500 che Cremona ebbe una straordinaria fioritura di personaggi che lasciarono un'impronta indelebile nella storia attraverso le loro opere. Alcune di queste ebbero come soggetto gli scacchi in quel periodo un gioco di larga diffusione nel Cremonese dove, secondo lo storico Francesco Robolotti, era già conosciuto nel XIII secolo.
Tra coloro che si occuparono dell'argomento, oltre al citato poeta e letterato Marco Girolamo Vida, i pittori Giulio Campi e Sofonisba Anguissola che lasciarono splendide opere.
Il gioco degli scacchi, a quel tempo, era ancora in evoluzione e ad esso prestarono la propria attenzione il Lucena nel 1497, il portoghese Damiano nel 1512 e lo spagnolo Ruy Lopez de Sigura che, nel 1561, elaborò nuove teorie per le aperture e diede un approccio scientifico al gioco. Ma a dare forma e fama letteraria al gioco ci pensò il cremonese Marco Girolamo Vida autore dell'operetta latina che ebbe tantissima fortuna nel '500 e che venne pubblicata in decine e decine di edizioni diverse anche in altre lingue europee (famosa l'edizione inglese del 1736).
Il Vida, che fu uno dei cremonesi più illustri del XVI secolo, già in giovanissima età, alla corte dei Gonzaga, aveva dimostrato il suo talento nella stesura di poemetti latini che furono graditi per contenuti ed eleganza dello stile. Così avvenne per tutte le sue composizioni molto apprezzate per lo stampo virgiliano della poesia (venne definito il “Virgilio cristiano”) e per le caratteristiche ciceroniane della prosa.
Negli esametri latini della nominata opera sugli scacchi vengono illustrate le regole del gioco e lo svolgimento di una partita tra Apollo e Mercurio alla presenza degli dèi dell'Olimpo: una sfida che si svolge tra mosse ingegnose, mosse astute o di puro imbroglio con interventi anche esterni dei numi protettori dei due contendenti. La partita si svolge durante il matrimonio di Oceano con la Terra e trova un giudice nel dio Giove e spettatori Venere, Marte, Vulcano, le Muse...
Il finale è tra re e donna da una parte e re dall'altra.
La vittoria arride ai neri di Mercurio, il più astuto tra gli dèi, che seduce Scacchide, ninfa del fiume Serio - fiume che si getta nell'Adda non lontano da Cremona, alla quale dona una scacchiera insegnandole le regole del gioco. Da detta occasione ebbe origine, secondo il Vida il gioco degli scacchi che prese il nome dalla nominata ninfa.
Nel 1763 il poeta inglese William Jones, ispirandosi all'idea di una divinità femminile degli scacchi ideata dal Vida, scrisse un poema in versi intitolato “Caissa”, dea degli scacchi conosciuta anche attualmente da coloro che praticano detto gioco.
La composizione del Vida, un sacerdote esemplare, venne contestata specialmente dall'Abate Gaume nel “Ver rongeur de la société moderne” (“Tarlo della società moderna”). Egli mise in evidenza l'infiltrazione del paganesimo nella letteratura e nella morale incolpando il Vida di aver ripudiato l'eredità letteraria dei secoli di fede per adeguarsi al Rinascimento che non permetteva di scrivere se non usando il linguaggio “pagano”, esaltando cioè i suoi uomini e i suoi dèi. Nel componimento il Vida - secondo il Gaume - aveva parlato degli dèi molto più di quanto avrebbe fatto un autore pagano, arrivando a scrivere, in tempi tanto difficili, che Virgilio era una specie di dio (“Verba deo similis”) che egli onorava e a cui si potevano dedicare corone, incensi, altari e un culto sacro... Tutto questo fu og- getto della dura contestazione dal Gaume.
Ma il Vida, che in detta opera si era immedesimato negli autori classici, era riuscito a dimostrare, anche con le opere successive, tra le quali il poema in esametri “Christias”, “Cristiade”, che quello era stato solo l'intento ispiratore ad imitazione degli antichi.
Fatto sta che il Vida trovò un estimatore in Papa Leone X, Giovanni de' Medici, appassionato giocatore di scacchi che aveva letto la composizione del sacerdote cremonese, e che, nel 1510, lo aveva voluto accanto a sé: gli assegnò un podere nel Tuscolano, San Silvestro in Monte Corno o Montecompatri, che in seguito si trasformò in convento dei carmelitani scalzi. Un'epigrafe, collocata nel 1605 sotto un ritratto del Vida conservato nel convento, ricorda che fu in quel luogo che lo stesso compose la sua opera principale, “la Cristiade” la cui prima edizione fu pubblicata per la prima volta presso alcuni locali annessi alla chiesa cremonese dedicata alle Sante Margherita e Pelagia.
La pittura cremonese e il gioco degli scacchi nella Cremona del Rinascimento.
Il Rinascimento fu anche per Cremona il periodo della rinascita culturale: il pensiero fu più libero di esprimersi sia dal punto di vista letterario che artistico producendo opere che hanno lasciato una traccia profonda nella storia. Un discorso ampio che qui si limiterà a poche opere pittoriche relative ad un ben deter- minato argomento: gli scacchi.
Al poeta e letterato cremonese Marco Girolamo Vida (Cremona, 1485- Alba, 1566), priore della chiesa di Santa Margherita e Pelagia in Cremo- na e vescovo di Alba, si deve il merito indiretto di alcuni di questi capolavori. Egli, all'inizio del '500, pubblicò una piccola opera intitolata “Scacchia ludus” (“La scaccheida” e altri titoli in edizioni diverse), avente come te- ma una partita a scacchi tra Apollo e Mercurio, per i quali parteggiavano alcuni dèi. Un'opera letteraria che, in fretta, conquistò le corti italiane ed europee e che fece degli scacchi uno degli emblemi irrinunciabili di distinzione.
Nel Cremonese come nelle Fiandre, il Rinascimento aveva portato nelle famiglie nobili e dell'alta società il concetto che fosse praticamente indispensabile suonare strumenti musicali (da ricordare l'autoritratto di Sofonisba Anguissola e il ritratto della sorella Lucia ambedue alla spinetta), cantare, danzare, giocare a scacchi.
Nel 1547 l'umanista Vida, a quel tempo vescovo di Alba, aveva fatto ricostruire integralmente la chiesa dedicata alle Sante Margherita e Pelagia affidandone il progetto a Giulio Campi (Cremona, 1508 circa-1573) e allo stesso e al fratello Antonio (Cremona, 1522 circa - Milano,1587) la decorazione a fresco della stessa facciata, in parte bugnata in pietra di Botticino, e dell'interno.
Tra le più famose opere pittoriche lasciateci da artisti cremonesi, tra cui i nominati Giulio Campi e Sofonisba Anguissola, ve ne sono due che ritraggono lo svolgimento di partite a scacchi, sfide dell'intelletto ambientate in luoghi comuni: la prima all'interno di un probabile corpo di guardia, l'altra all'aperto, in un giardino.
Il dipinto del Campi, che può essere intitolato “Partita a scacchi in un corpo di guardia”, si trova presso i Musei Civici di Torino. L'opera può essere considerata un'allegoria dell'amore sentante l'uomo “cacciatore” di avventure. Nel dipinto sono presenti: un soldato con armatura, di spalle; due altri uomini, uno dei quali, con cappello, ricorda ampiamente quello rappresentato nella miniatura di un manoscritto per “Louise de Savoie” conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi (1500 circa); due ragazze o giovani donne e un buffone. Quest'ultimo sta forse a ricordare la brevità della vita e la conseguenza delle scelte sbagliate. Un po' come il teschio moraleggiante nell'“Allegoria della vanità”, dello stesso autore, al Museo Poldi Pezzoli di Milano, che ricorda alla donna la brevità della vita e la condanna nel peccato.
“La partita a scacchi”, dipinta da Sofonisba Anguissola (Cremona, 1534 circa- Palermo, 1625), si trova al Muzeum Narodowe di Poznan. E' una delle opere maggiormente identificative della pittrice che ebbe una certa fortuna nella diffusione anche tramite delle incisioni. Il dipinto, un olio su tela, raffigura una partita giocata per divertimento o come passatempo e non presenta secondi fini come nel quadro di Giulio Campi.
Venne eseguito quando la pittrice aveva circa vent'anni. Raffigura tre sorelle della pittrice vestite con capi raf- finati; nell'ordine: Lucia, Europa, Mi- nerva e una serva. E' una bella compo- sizione, ambientata in un giardino con un paesaggio sullo sfondo. Lucia guarda verso la pittrice, verso l'osservatore del dipinto, quasi come per un'istantanea, ma viene richiamata a non distrarsi con un gesto della mano dalla sorella Minerva, sua antagonista nel gioco; quanto sopra induce al sor- riso la piccola Europa. Anche la serva, attenta al gioco, accenna ad un sorriso. Bella e ben dipinta la scacchiera con i relativi scacchi che mostrano la foggia spagnola identificabile negli elmi dei pedoni o degli alfieri.
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