Le occasioni perdute. 25 anni fa il sogno di Gianfranco Ferrè. "Restauro io la chiesa di S.Omobono, per farne il tempio dei creatori di moda". No grazie, fu la risposta
E’ stata la chiesa di Sant’Omobono il sogno proibito di Gianfranco Ferrè. Forse uno dei pochi che il grande stilista scomparso nel giugno 2007 non è riuscito a realizzare. Dieci anni prima, era allora il 1997 (25 anni fa) centenario della morte del patrono, Ferrè avrebbe voluto restaurare a spese proprie la chiesa di via Oscasali per farne il tempio degli stilisti: il luogo dove le grandi firme della moda avrebbero potuto pregare il loro santo protettore. Un luogo sacro unico al mondo legato alla figura del primo santo laico, un sarto come loro. Vi si sarebbero trovati periodicamente, in occasione degli incontri che si sarebbero tenuti nel vicino palazzo Cattaneo, eletto a sede logistica in occasione delle loro venute a Cremona.
Ferrè lo sapeva bene che quella chiesetta appartata era in realtà ricca di storia e di fede. Lo sapeva perchè sotto il Torrazzo aveva trascorso gli anni della fanciullezza, ospite della zia che abitava in via Larga. Conosceva quei vicoli e la bellezza segreta della piccola chiesa, nascosta dietro una semplice facciata barocca. Conosceva le vicende terrene di quel santo, così anomalo per il suo tempo, che dava quando gli altri prendevano, in anni in cui la violenza era la logica. Non è stata dunque per lui una sorpresa sapere che in quel periodo la chiesa era sottoposta ad un integrale restauro, portato avanti tra le inevitabili difficoltà economiche dalla parrocchia di Sant’Agostino. Ferrè si era fatto avanti, offrendo la propria disponibilità a sostenere interamente le spese purchè quel gioiello rococò diventasse la chiesa nazionale degli stilisti. Sarebbe stata un’idea unica nel suo genere. Ahimè troppo unica perchè venisse accolta. Ed infatti non lo fu: si temette in quel frangente che da edificio pubblico di culto la chiesa si fosse tra- sformata in una sorta di cappella privata per una ristretta cerchia di persone. Che i cremonesi la perdessero insieme alla memoria del “loro” santo. No grazie, Ferrè, facciamo da soli. Ed ancora oggi la chiesa di sant’Omobono, sussidiaria della parrocchia di Sant’Agostino, è ancora alla ricerca di una precisa funzione, che le consenta di essere aperta e fruibile con una certa continuità, in modo tale che il restauro effettivamente poi portato a termine dalla parrocchia non sia risultato inutile. Un peccato aver rifiutato l’offerta di Ferrè, che già aveva dimostrato il proprio attaccamento a Cremona, presentandosi solo, unico tra i vip invitati, alla prima del film su Stradivari interpretato da Anthony Queen al cinema Italia, in una sera del 1987. Una decisione sofferta, su cui ancora oggi, a distanza di 25 anni, e dopo la scomparsa dello stilista, ci si rammarica.
La foto di Gianfranco Ferrè è della Fondazione Ferrè
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commenti
La Maestrina
3 ottobre 2022 13:59
si temette in quel frangente che da edificio pubblico di culto la chiesa si SAREBBE trasformata in una sorta di cappella privata
michele de crecchio
3 ottobre 2022 17:43
Di Gianfranco Ferrè ero coetaneo e compagno di studi negli stessi anni (1963-1969) alla facoltà di architettura di Milano. Ricordo sin da allora la sua grande e singolare passione per l'abbigliamento che lo portava a visitare spesso i migliori ferramenta di Milano (mi pare che il suo fornitore preferito portasse il nome di Mangiarotti, come l'allora ben noto architetto) alla ricerca di pezzi particolari che si dilettava a combinare in modo particolare per arricchire le sue creazioni. Negli ultimi anni del corso di laurea avemmo poche occasioni di incontro perché i nostri interessi professionali andavano ormai in direzioni troppo diverse. Quando avanzò la proposta sopra ricordata di utilizzare la preziosa chiesa di Sant'Omobono ero ormai uscito dall'amministrazione comunale cittadina e mi fu impossibile sostenerne l'iniziativa. Ad un successo professionale straordinario seguirono poi, per il mio ormai antico compagno di studi, momenti più difficili che lo portarono, prima, a lavorare in Francia, abbandonando l'articolato complesso produttivo e commerciale che era riuscito a realizzare grazie alle sue eccezionali capacita creative, e poi a morire purtroppo molto prematuramente.