Quando 120 anni fa nasceva la prima linea elettrica per l'illuminazione pubblica. Un'antica lampadina al museo di storia naturale ricorda la Società vetraria cremonese
Nelle collezioni del museo di storia naturale è conservata un’antica lampadina Osram che nasconde una storia del tutto particolare. E’ datata ai primi anni del secolo scorso ed è una di quelle che, 120 anni fa, agli albori della illuminazione pubblica con la nascita della prima linea di distribuzione nel 1903, venivano date dal Comune di Cremona in dotazione alle antiche latterie ed alle farmacie comunali. Ed è anche il prodotto finale di una lunga storia iniziata secoli prima, nel 1725, in un piccolo laboratorio di vetreria nella zona compresa tra Porta Mosa e Largo Pagliari, fondato dal veneziano Gaetano Dolfini, che il Grandi ricorda ancora esistente verso la metà dell’Ottocento. Da piccolo opificio l’attività venne trasformata in azienda dalla famiglia Mina, trasferendo la sede in via Aporti. Nel 1881 fu costituita una Snc denominata Martini-Rizzi & C. che nel 1887 assunse il nome di “Vetraria Cremonese” ed aveva come soci Pietro Rizzi, Fanny Mina, Teresina Cremonesi, Luciano Ferragni, Ernesto Cremonesi Ulisse Dongiovanni e Amtonio Gamba. L’anno successivo l’azienda cessò l’attività con il subentro di Carlo De Stefani che nel 1900, a sua volta, cedette l’impresa ad imprenditori milanesi che, il 4 novembre 1900 costituirono la ditta “Società Vetraria Cremonese”, con sede in via Morbasco, nei pressi di porta Po. Ne facevano parte Giuseppe Bellavita, Guido e Arturo Stabilini, Enrico Cadari che, il 25 aprile 1901, accettarono l’ingresso di tre nuovi soci milanesi: Achille Magnani, Giovannina Lucioni e Luigi Clerici. Fin dal 1889, peraltro, Carlo De Stefani aveva già specializzato l’azienda nel settore della illuminazione utilizzando il logo “Comune di Cremona”, presente sulle lampadine a filamento di carbone, di cui sono rintracciati esemplari fin dal 1886. La “Società Vetraria Cremonese”, come abbiamo visto si era trasferita nella zona del Morbasco. Si è potuto rilevare che la fabbrica sorgeva in via Massarotti, sulla riva del colatore, a circa 50 metri dall’incrocio con via Trebbia.
Una parte fu demolita per costruirvi la sede dell’Ufficio di collocamento mentre un’altra parte è stata per anni sede del marmista Galli. Demolita del tutto nel 2005, ospita oggi un piccolo residence. Il Morbasco, nel tratto compreso tra via Massarotti e piazza Cadorna formava due anse soggette ad allagamenti, dove i cremonesi erano soliti recarsi a pescare. Nel frattempo nel 1888 era nata la “Sturla & C. Società di Elettricità” di cui era stato nominato amministratore il farmacista Francesco Cavana, presidente immobiliare membro del collegio sindacale della Banca Mutua Popolare, che era riuscito a farsi rinnovare per tre anni dal Comune la concessione per la realizzazione di installazioni elettriche “nella parte più popolosa e importante della città, allo scopo di distribuire energia per uso pubblico e privato, per l’illuminazione e la forza motrice”. Tra le prime installazioni elettriche vi furono la stessa casa del Cavana, il caffè Soresini, il Garibaldi, la pagoda dei giardini pubblici di piazza Roma e i ritrovi mondani più esclusivi del centro. Al Cavana venne rinnovata la concessione anche nel 1890, grazie ai buoni auspici del sindaco Ferragni, nonostante l’amministrazione preferisse adottare ancora il gas per l’illuminazione delle strade e delle piazze, limitando l’uso dell’elettricità ai sobborghi o alle zone più buie, stante gli alti costi dell’energia elettrica. Ma la “Società Cremonese di Elettricità” era destinata ad avere vita breve. Erano gli anni in cui in Comune si iniziava a studiare la possibilità di produrre energia elettrica in proprio. L’ingegnere Giuseppe Vacchelli, ad esempio, intendeva applicare una dinamo ad una ruota di mulino posta in mezzo a due grosse barche ancorate nel corso di un fiume, e nel 1900 progettò una centrale elettrica a Mirabello Ciria, con cui il Comune si assicurò l’acquisto di energia a prezzo conveniente, sperimentando la realizzazione di cabine di trasformazione per ridurre la caduta di tensione provocata dal superamento di lunghe distanze. La linea venne completata nel 1903 e nell’amministrazione comunale si fece strada l’idea di un organismo istituzionale di tipo pubblico che potesse sostituirsi al privato nella distribuzione dell’energia elettrica. In breve la Società Elettrica di Cavana fu liquidata sfruttando una discutibile regola di procedura che prevedeva la possibilità di concludere una transazione senza riunire il consiglio comunale. La società fu acquisita dal Comune per 25.000 lire. Il Cavana, costretto a cedere la propria azienda al Comune, decretò in questo modo anche la fine della vetreria che fabbricava la famosa lampadina FR 900 OSRAM. Erano indubbiamente più durature delle Comune-Cremona al carbonio, ma nell’immediato poco capite ed accettate data la forte differenza di prestazioni luminose rispetto alle abituali in fibra vegetale. Per il momentaneo errato impiego della FR 900 il malcontento da parte del Comune e degli stessi cittadini aumentava, invece di diminuire. Lamentavano, date la luce difforme e gli ingannevoli giochi d’ombra prodotti dalle FR 900, di non riuscire a distinguere bene a distanza nell’oscurità delle nottate, le insidiose buche, gli immancabili dislivelli nel cuore cittadino, del selciato lastricato... Non si può definire un bell’esordio, quello della nostra prima lampadina a filamento metallico con arcolaio, se pur presentando soluzioni e caratteristiche d’avanguardia richiedeva in effetti un diverso tipo di distribuzione più folta e omogenea, per potere essere usata e utilizzata al meglio. Nel 1904 Francesco Cavana entra a far parte della Vetraria Cremonese come socio amministratore, ma nel corso dello stesso anno ne decreta la chiusura.
Se pur tecnicamente più valida e duratura la FR 900 non aveva le caratteristiche compatibili con la primitiva tipologia impiantistica ancora in uso, nè risorse economiche proprie, o finanziamenti necessari per conquistarsi l’attenzione. I nostri ingenuamente pensavano che per vendere bastava avere un nuovo prodotto. Decretavano però in questo modo un altrettanto immediato, quanto rapido e mai pubblicamente risaputo declino, lo dimostra il fatto che la conoscenza e diffusione della nostra FR 900 non riuscì mai a varcare le mura della città di Cremona. Il Comune stesso, pur riconoscendo al Cavana il diritto di monopolizzare la FR 900 col suo stemma in esclusiva, al posto di impiegarle aumentando il numero delle lampadine accese sul territorio, ne prese le distanze liquidandole; le ritennero un lusso che non ci si poteva permettere. Preferì mantenere quelle ad arco, più costose in tutti i sensi e incrementare i becchi a gas di Auer. Pur dopo aver sperimentato i pregi della nuova illuminazione, specialmente durante le sontuose feste da ballo e di carnevale al teatro Ponchielli, magistralmente illuminate da grandiose piantane e lampadari equipaggiati proprio con le nostre lampadine, da sempre fabbricate in loco, uniche, impareggiabili nel loro genere.
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