A Solarolo Monasterolo, quel che resta di una vecchia cappelletta e l'urna con le ossa degli Umiliati. Il mistero dell'incisione del Fiore della Vita
Storia e mistero si intrecciano, tra le nebbie d’inverno e le afose giornate d’estate, lungo l’argine del Po, a Solarolo Monasterolo, piccola ma vivace frazione di Motta Baluffi. Proprio a ridosso dell’argine, in una piccola cappelletta posta a ormai due passi dalla chiesa, spicca il richiamo al Sesto giorno della Genesi, accanto a misteriose sepolture che ricordano l’antico e potente ordine degli Umiliati, ormai da secoli soppresso. Accanto all’antica e bella chiesa dedicata ai Santi Pietro e Paolo, sorge un imponente e suggestivo cascinale che, proprio per la sua forma, ricorda molto la struttura di un convento. Quello che in secoli ormai remoti, apparteneva alla congregazione degli Umiliati. E già la denominazione del paese, nel termine Monasterolo, indica chiaramente la presenza di un complesso monastico. Quello degli Umiliati fu un movimento religioso che fiorì e si sviluppò proprio in Lombardia, allargandosi poi al resto del Nord Italia tra il XII ed il XIII sec. Le sue origini si perdono nel mito, esistendo ben due diverse tradizioni: una, che fa risalire la sua fondazione agli inizi dell’XI sec., l’altra, alla seconda metà del XII sec., quando era imperatore Federico I di Svevia. Quello che è pressoché certo è che tutto fu fondato da un gruppo di nobili milanesi e comaschi che, esiliati in Germania, maturarono una conversione religiosa e, tornati in patria, decisero con altri aderenti di dare vita appunto ad una comunità religiosa. Come numerosi altri ordini esistenti all’epoca, gli Umiliati predicavano un ritorno alla vita frugale ed austera, improntata sulla spiritualità, in opposizione alle ricchezze ed alla vita dissoluta che sempre più spesso erano diffuse anche all’interno della Chiesa stessa. Impegnati nella difesa della fede cattolica, si diedero il nome di Umiliati sulla base del fatto che, disdegnando indumenti tinti e quindi costosi, si accontentavano in grande umiltà di una semplice veste. La loro regola, di fatto, era un misto tra quella benedettina e quella agostiniana. Si suddividevano in tre gruppi: il primo era costituito dai chierici, che praticavano il celibato e vivevano in una casa comune, come in una tipica comunità monastica. Il secondo era quello dei laici, uomini e donne organizzati in gruppi di vita comunitaria, che non prendevano formalmente i voti, potevano sposarsi e vivevano in comune alcuni momenti della giornata, come, ad esempio, i pasti. Il terzo gruppo erano i laici che praticavano una forma limitata di povertà volontaria. Tutti e tre i gruppi si impegnavano a dare ai poveri quello che eccedeva il normale fabbisogno. Il primo gruppo degli Umiliati divenne un ordine religioso (Ordo Humiliatorum, sigla O. Hum.) con regola approvata dal papa Innocenzo III nel 1201: tra gli esponenti più illustri di questo ordine sono da ricordare Luca Manzoli di Firenze, che fu vescovo di Fiesole e venne creato cardinale sotto papa Gregorio XII, e il beato Giacomo Pasquali di Siena, che arrivò fino ai più alti gradi dell’ordine e venne nominato cardinale da papa Giovanni XXII, morendo poco prima che la notizia giungesse da Avignone. Questi si occupavano principalmente della lavorazione della lana, fondarono fiorenti manifatture tessili, accumulando importanti guadagni, con i quali finanziavano attività bancarie. Tentarono di stabilire un nuovo stile di vita per tutti proponendo modelli di vita quotidiana molto più restrittivi nelle città del nord Italia dove si diffusero; promossero e diedero il via, infatti, ad una serie di leggi che avevano lo scopo di proibire diverse spese di lusso e voluttuarie, in particolare per l’abbigliamento, le ‘leggi suntuarie’, che vennero adottate in tutte le città-stato italiane a partire dal 1300.
La loro principale sede fu l’Abazia di Viboldone, situata nella periferia di Milano, ma come evidenziato, la loro presenza si estendeva a tutto il nord Italia. Nel Cinquecento, con la Controriforma, i movimenti di questo tipo, che potevano facilmente scivolare su posizioni eretiche o di opposizione di principio alla Chiesa, vennero scoraggiati. In particolare gli Umiliati erano sospettati di calvinismo: entrarono quindi in contrasto sempre più acceso con l’arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo, fino a che un membro dell’ordine, Gerolamo Donato detto il Farina, tentò addirittura di assassinarlo con un colpo di archibugio alle spalle. Il colpo mancò il bersaglio, ma l’attentato provocò una dura repressione e l’ordine fu soppresso il 7 febbraio 1571 con una bolla di papa Pio V. Le comunità femminili, invece, per lo più sottoposte alla regola benedettina, furono spesso il nucleo da cui si svilupparono, soprattutto nel XV secolo, autentici monasteri di clausura ed esse furono soppresse solo nel XVIII e nel XIX secolo.
A Solarolo Monasterolo, l’antico complesso monastico è tuttora ben visibile nell’area dove oggi sorge l’ostello La Canonica. Ma a colpire, in modo particolar, è ciò che si conserva proprio a ridosso dell’argine maestro del Po, all’inizio della stradina che conduce alla chiesa parrocchiale e, quindi, al vecchio convento. In una modesta ed ormai fatiscente piccola cappella, si conserva, ben evidente, ciò che resta di un’antica urna sepolcrale. Al suo interno, dopo che la pietra che la ricopriva è stata rimossa da ignoti, si possono ancora osservare poche e povere ossa umane. A questa cappella sepolcrale, non è mai stato dato un particolare rilievo, anche se in realtà meriterebbe una maggiore tutela (almeno un cancelletto che la chiusa e un mazzo di fiori, o una preghiera, ogni tanto).
Addirittura, come confermato anche da alcune persone della zona, negli anni immediatamente successivi la seconda guerra mondiale, i ragazzini del paese la violarono più volte, mettendosi addirittura a giocare a calcio con i teschi che qui si conservavano. Teschi di cui oggi non rimane alcuna traccia: restano solo poche, povere ossa appartenute, certamente, ai frati Umiliati che qui vissero nei secoli passati.
Anche nei tempi attuali questa piccola cappella sepolcrale è stata più volte manomessa e violata, con azioni chiaramente sacrileghe andate così a colpire una pagina comunque significativa di storia. Ma non è finita perché, all’interno della stessa cappellina, proprio sull’urna che conteneva i resti dei religiosi, compare in bella evidenza un simbolo che, a prima vista, richiama anche l’occhio più inesperto a qualificarlo come un fiore. E si tratta, infatti, come confermano anche gli esperti di simbolismo, del Fiore della Vita che, nella sua forma più semplice è chiamato anche Sesto giorno della Genesi poiché ottenuto dalla ‘rotazione’ di sei cerchi o sfere, corrispondenti ognuna ad un giorno della Creazione. Esso rappresenta la struttura interna del Creato, ed il suo completamento. È un simbolo antichissimo, che è stato trovato in tutto il mondo ed in ogni cultura. Era conosciuto, ad esempio, dai primi cristiani copti, che lo incisero sulle pareti del tempio di Ibis, a El Kharga o nelle mura dell’Osireion di Abydo; dagli Etruschi, raffigurato sullo scudo di un guerriero in un bassorilievo nelle rovine di Vetulonia; dai Cinesi, nell’ex dimora dell’Imperatore, inciso sotto le zampe di un leone solare; dagli Ebrei, che lo raffigurarono all’interno del Tempio di Gerusalemme. Presso gli antichi Celti veniva interpretato come simbolo in movimento; pertanto rappresentava la potenza vivificatrice e generatrice del Sole: l’astro trasmetterebbe al segno il suo potere guaritore e protettivo. Propizierebbe una nascita e una vita fortunate: ecco quindi che non sembra affatto un caso, quindi, che questo simbolo emerga, molto spesso, in luoghi bisognosi di protezione e di difesa, quali le serrature e le culle dei neonati. Il fatto di essere riferito al numero 6, che simboleggia la Creazione, lo accomuna inoltre alla Ruota della Vita a sei raggi, che simboleggia l’alternarsi delle stagioni e delle vicende umane, ed all’Esagramma che, come il Fiore della Vita, è inscrivibile all’interno di una struttura perfettamente esagonale. La Sapienza Ebraica lo ha associato all’Albero Sephirotico o Albero della Vita, la cui struttura può essere costruita a partire da questo simbolo. Nella sua forma estesa, il Fiore della Vita riveste un’importanza notevole perché viene riconosciuta nella sua struttura una matematica perfetta, con la presenza del numero aureo che è esotericamente considerato sacro, poiché in natura esso è presente in moltissime forme, nella materia visibile. Gli antichi architetti lo hanno inserito in ogni struttura da loro costruita, i pittori rinascimentali ne facevano invece un modello di perfezione nelle scene rappresentate con proporzioni, appunto, auree. Il fiore della vita veniva inoltre considerato, dai simbolisti, dai primi iniziati e dalle scuole misteriche quale punto di partenza per la costruzione dei solidi platonici, secondo un meccanismo che consente di passare dalla bidimensionalità alla tridimensionalità.
Per concludere sarebbe da auspicare, come già scritto, una maggior tutela di questa cappelletta e di quel che ne rimane, almeno in nome della storia e delle nostre radici.
Eremita del Po
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