Alla scoperta delle lapidi "cremonesi" in terra emiliana che restano a testimonianza della nostra storia: le memorie delle terre di confine incise sulla pietra a imperitura memoria
C’è la storia, quella che viene scritta e studiata nei libri (ed oggi anche sulle pagine web); c’è la storia che viene raccontata e tramandata dalle persone nei dialoghi e negli incontri di tutti i giorni; c’è la storia fatta dagli avvenimenti della quotidianità e c’è anche una storia che è quella che si conserva nelle lapidi sistemate su edifici pubblici e privati, nei cimiteri, nelle piazze, nelle chiese, sui monumenti e anche nelle case.
Lapidi che spesso sono “segnate” dal tempo (col rischio di andare irrimediabilmente perse) e che, in tante occasioni, vengono ignorate dai più che, presi dalla fretta, da altri impegni e altri pensieri, nemmeno badano di aver “inciampato” in un pezzo del nostro passato, rimasto lì, nella pietra, non solo per essere conservato ma anche per essere conosciuto e tramandato, da una generazione all’altra. Nonostante la frenesia di tutti i giorni sarebbe bene che, quando ci troviamo a transitare da qualche parte, ci fermassimo a leggere quello che le lapidi narrano. A volte può capitare che, in un determinato territorio, specie se posto ai confini tra province e regioni, si conservino memorie di territori vicini.
Così ecco che nella bassa emiliana ci sono un paio di lapidi (ma a ben cercare ce ne sono tante altre) che raccontano pezzi di storia cremonese. Una in particolare si trova a San Martino in Olza, frazione del Comune piacentino di Cortemaggiore ed è posto sul muro esterno di una azienda agricola in via Gerbida. Si tratta della Cascina Chizzola e nella lapide che, ottimamente conservata e ben valorizzata dalla proprietà attuale della Cascina si legge: “Hospitale Pauperum Cremone Mendicare Erubescentium Fundatum Anno MDIL. Ab Augustino Calarate et Patricio Cremonensi” che, tradotta, significa “Alloggio per i poveri di Cremona che si vergognavano di mendicare Fondato nell’anno 1549 da Agostino Gallarati nobile cremonese”. Il luogo, tra l’altro, oltre che cascina, fu un ricovero per i poveri nel XVI e XVII secolo ma anche un alloggio dell’esercito francese nel XVIII secolo.
Qui ci si porta indietro esattamente di 475 anni e si va al 1549. Il nobile Agostino Gallarati, decurione e giureconsulto cremonese (in città gli è anche dedicata una via), nel territorio di Cortemaggiore possedeva due proprietà di 1150 pertiche, e decise di destinare il complesso Chizzola a ricovero per i poveri, ossia ad opera di assistenza e beneficenza d’intesa con l’umanista Marco Girolamo Vida (i due erano intimi amici). Da evidenziare che già nel 1495 i marchesi Pallavicino, a Cortemaggiore avevano fondato la “InstitutioDomus Misericordiae et Pauperum Christi”, luogo vincolato ad un complesso regolamento organizzativo ed a legati testamentari molto precisi. Ecco che dopo mezzo secolo l’iniziativa dimostrò di essere decisamente attuale; infatti anche l’istituzione cremonese, attraverso sovvenzioni economiche, provvedeva ai poveri di Cremona che non volevano mendicare (specie durante le carestie si chiudevano nella loro sofferenza casalinga) e si occupava anche di far sposare le loro figlie. L'istituzione nata dall’iniziativa del Gallarati si occupava di provvedere mediante sovvenzioni economiche a quei poveri della città di Cremona (spesso nobili o comunque aristocratici caduti in “disgrazia”) che, non mendicando, rimanevano in casa e soffrivano soprattutto durante le carestie ed in particolare il luogo pio provvedeva a maritare le loro figlie. L'apparato organizzativo ideato dal Gallarati era assai complesso, comprendendo una compagnia di sedici dispensatori (quattro dei quali estratti a sorte tra gli uscenti) eletti annualmente, tra i loro rispettivi membri, dal capitolo dei canonici del Duomo, dal collegio dei giureconsulti, dagli abati del collegio dei notai e dai reggenti dell'ospedale Grande, a tre per corpo; i dispensatori dovevano operare in quattro squadre trimestrali. Monsignor Vida modificò poi il sistema rendendendolo più agevole: i dispensatori vennero ridotti a quattro, tre di loro nominati tra i membri del capitolo e dei due collegi già ricordati e il quarto dispensatore veniva nominato in rappresentanza di tutti i gentiluomini della città. Alla scadenza del mandato i dispensatori uscenti designavano i loro successori, nonchè il tesoriere e il cancelliere, un conservatore, con il compito di prendersi cura delle proprietà e seguire le cause, e un soprintendente che garantisse l'osservanza delle disposizioni del Gallarati controllando anche l'operato dei provvisori delle vicinie, cioè gli "uomini da bene", nominati dalle parrocchie per segnalare i poveri da assistere.
Nel 1784 i reggenti, divenuti otto, nominarono gli amministratori interinali, che consegnarono, allo scioglimento dell'ente, un discreto patrimonio formato dalle due proprietà originarie di Cortemaggiore, lasciate dal Gallarati, di circa 1.150 pertiche, da 14 pertiche nei Corpi Santi di Cremona, da 244,5 pertiche a S. Martino in Beliseto e da una casa nella vicina di S. Sofia, usata come sede del luogo pio, oltre a vari censi, livelli e capitali attivi. Alla fine del Settecento l’ “ospedale dei poveri vergognosi” venne poi inglobato con altre opere pie, prima nell’Istituto Elemosiniere e poi nella Congregazione di Carità. Il Gallarati, uno dei simboli di una società di nobili e mercanti per i quali era fondamentale l’attività assistenziale, e che nominò erede universale la figlia Partenia (per l’educazione della quale si affidò a Giovanni Musonio) è stato, tra l’altro, fra i protagonisti della mostra “Le radici della carità: testimonianze del passato” che si è tenuta nel 2021 a Palazzo Fodri, nella galleria PQV Fine Art dedicata alla storia di Cremona e ai suoi istituti di beneficenza che. Mostra curata da Tiziana Cordani e da Pietro Quattriglia Venneri. Un po’ di anni prima, tra fine 2008 e inizio 2009, è stato anche al centro della mostra documentaria “Cremona caritativa e previdente – Storia della carità cremonese dal Consorzio della Donna alla Fondazione Città di Cremona” curata da Angela Bellardi al Palazzo della Carità.
Altra lapide che “parla” cremonese è quella posta invece in terra parmense, a San Rocco di Busseto, lungo strada Bianca ed è a sua volta sistemata sul muro esterno di una tenuta di campagna. In questo caso viene ricordato il lascito da parte della signora Elvira Piazza del podere Porta a favore dell’Ospedale Maggiore di Cremona e l’anno è il 1931.
Eremita del Po
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