12 dicembre 2024

Arriva Santa Lucia. Perché i regali. Le sue reliquie, il mistero della tomba. L'altra Lucia di Metz in Francia, un bambola con all'interno le ossa di una ragazza

Anche la chiesa di Santa Lucia tornerà ad aprire i battenti domani mattina, venerdì 13 dicembre, per la celebrazione della Messa, occasione di incontro, preghiera e raccolta di offerte per sostenere il progetto di restauro dell'edificio, chiuso al pubblico. Le criticità emerse sono molteplici, da problemi strutturali ad interventi artistici. Infiltrazioni d’acqua susseguitesi nel tempo hanno portato a danni consistenti, causando caduta di intonaco, stucco e pellicola pittorica; a questo si aggiungono la presenza di fessurazioni, il restauro della volta centrale e la revisione dell’interno del campanile. Una situazione che dunque rende necessari ulteriori interventi sulla struttura, in termini di messa in sicurezza e a norma dei vari impianti. La chiesa di Santa Lucia non porta però solo preoccupazioni, ma anche speranza ed entusiasmo: Ezio Gozzetti, architetto direttore dei lavori, definisce la chiesa come un «bellissimo manufatto, straordinariamente efficace e dall’omogeneità splendida». Insomma un piccolo gioiello ricco di storia ed elementi pittorici poco conosciuti: per questo i lavori di ristrutturazione e restauro potrebbero anche diventare una bellissima occasione di studio e incontro con esperti di storia dell’arte e beni culturali.

La festa di Santa Lucia è molto sentita perchè anticipa il Natale, e fa propria una tradizione di origini contadine che si tramanda nelle province di Cremona, Bergamo, Lodi, Mantova, Brescia. Un tempo il solstizio d'inverno cadeva proprio nella giornata del 13 dicembre e in tale circostanza nelle campagne era uso praticare una specie di perequazione: chi aveva avuto raccolti più abbondanti ne donava una parte ai meno fortunati. 

A questa forma di solidarietà è legato il presunto miracolo avvenuto nel sedicesimo secolo a cui si fa risalire la tradizione che sia la Santa a portare doni ai bambini nella notte della sua festa. Alcune dame cremonesi avrebbero organizzato una distribuzione di sacchi di grano da lasciare anonimamente sulle porte di tutte le famiglie del Bresciano, colpito da una grave carestia. Così una carovana di asinelli carichi avrebbe raggiunto Brescia presa nella morsa della fame: ma poiché la distribuzione sarebbe avvenuta di nascosto, la notte tra il 12 e il 13 dicembre, si pensò che fosse stata una grazia della martire. L'antica tradizione di ospitalità, poi, voleva che si accogliessero nelle case i pellegrini che cercavano riparo dal freddo e questi ultimi, a loro volta, prima di ripartire, dovessero lasciare un dono sulla porta della casa che li aveva accolti. Con il trascorrere del tempo si consolidò così l'usanza di fare regali in occasione del 13 dicembre.

Ad oltre un migliaio di chilometri di distanza, troviamo un analogo episodio che accomuna a Brescia la tradizione siciliana. Attestato dalla testimonianza scritta di un testimone oculare, il canonico Antonino De Michele, è il miracolo che segnò a Siracusa la fine della carestia dell'anno 1646: domenica 13 maggio, una colomba fu vista volteggiare dentro la cattedrale durante la Messa celebrata dal vescovo Elia de' Rossi. Quando la colomba si posò sul soglio episcopale, una voce annunciò l'arrivo al porto di un bastimento carico di cereali. La popolazione vide in quella nave la risposta data da Lucia alle tante preghiere che a lei erano state rivolte. Dopo il miracolo, i palermitani, secondo la leggenda, avrebbero deciso di bollire il grano e di condirlo con dell'olio 

di oliva. Fu così che sarebbe nata la cuccìa, un dolce a base di ricotta e frumento tipico della Sicilia occidentale, il cui nome deriva da “coccio” cioè chicco. In realtà la cuccìa non è un dolce tipico di Siracusa, ma vi è stato introdotto solo negli anni Ottanta per iniziativa di alcune pasticcerie.

A Verona, invece, si venera Santa Lucia in quanto protettrice della vista. Intorno al X secolo le spoglie della santa, sarebbero transitate in città nel loro viaggio verso la Germania, spiegando in questo modo la diffusione del culto della santa nel nord Europa. Intorno al XIII secolo, in città, in particolare tra i bimbi, era scoppiata una terribile ed incurabile epidemia di un non meglio specificato “male agli occhi”. La popolazione decise allora di chiedere la grazia a S. Lucia, con un pellegrinaggio a piedi scalzi e senza mantello, fino alla chiesa di S. Agnese, dedicata anche alla martire siracusana, situata dove oggi c'è palazzo Barbieri, sede del Comune. Il freddo spaventava i bambini che non avevano nessuna intenzione di partecipare al pellegrinaggio. Allora i genitori promisero loro che, se avessero ubbidito, la Santa avrebbe fatto trovare, al loro  ritorno, tanti doni. I bambini accettarono e l'epidemia si esaurì. Da questo momento è rimasta la tradizione di portare in chiesa i bambini, per la benedizione degli occhi, il 13 dicembre e ancora oggi, la notte del 12 dicembre, i bambini aspettano l'arrivo di S. Lucia che porta loro gli attesi regali a bordo di un asinello. 

Secondo un'altra tradizione, il culto di santa Lucia a Verona risalirebbe al periodo di dominio della  Serenissima. Secondo l'opinione comune, Venezia già nel 1204 avrebbe trasportato le spoglie della santa in laguna. In realtà le città che si contendono le spoglie della santa sono due: Venezia e Metz, ma vi è anche un'altra tradizione secondo la quale il corpo di Lucia non si sia mai spostato da Siracusa e sarebbe sepolto sotto l'altare maggiore del Duomo. Inoltre reliquie della santa sono sparse in mezza Europa. Nel 1759, ad esempio, passando per il Veneto l'imperatrice Maria d'Austria, il Senato della Repubblica volle farle omaggio di una reliquia di S. Lucia. Con l'assistenza del patriarca Trevisan fu prelevata una piccola porzione dal lato sinistro del corpo della Santa. 

Altre reliquie della Santa si trovavano a Siracusa, portatevi nel 1556 da Eleonora Vega, che le aveva ottenute a Roma dall'ambasciatore di Venezia, così pure avvenne per alcuni frammenti di braccio sinistro, portati nel 1656 da Venezia, dal cappuccino Innocenzo da Caltagirone. Reliquie ancora sono possedute a Napoli, Roma, Milano, Verona, Padova, Montegalda di Vicenza e a Venezia stessa, nelle chiese di S. Giorgio Maggiore, dei SS. Apostoli, dei Gesuiti, dei Carmini. All'estero sono documentate a Lisbona nel 1587, con una reliquia ricevuta da Venezia; in chiese del Belgio nel 1676; a Nantes, in Francia, nel 1667. Nel 1728 una parte dell'urna fu donata a  papa Benedetto XIII.

A Siracusa la tradizione popolare vuole che, dopo avere esalato l'ultimo respiro, il corpo di Lucia sia stato devotamente tumulato nello stesso luogo del martirio, avvenuto  il 13 dicembre del 304. Il  corpo della santa sarebbe stato riposto in un arcosolio, cioè in una nicchia ad  arco scavata nel tufo delle catacombe, e usata come sepolcro. Le catacombe di Siracusa, che accolsero le sacre spoglie della Santa, ne assunsero anche il nome e ben presto attorno al suo sepolcro si sviluppò un cimitero, perché tutti i cristiani volevano essere tumulati accanto all'amatissima Lucia. Nell'878 Siracusa fu invasa dai Saraceni ed i cittadini tolsero il suo corpo dalle catacombe e lo nascosero in un luogo segreto per sottrarlo alla furia degli invasori. E qui inizia il giallo. Nel 1039, appena Maniace, generale di Bisanzio, riuscì a strappare Siracusa agli Arabi, portò le reliquie a Costantinopoli come preda di  guerra o piuttosto, secondo l'affermazione della Cronaca del doge Andrea Dandolo, su preciso ordine degli imperatori Basilio e Costantino. 

Secondo un'altra versione, riportata in un codice seicentesco della Biblioteca Marciana di Venezia, il corpo sarebbe stato portato invece a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, al tempo del doge Pietro Centranico. Comunque sia a Venezia esisteva già una chiesa dedicata alla martire nel 1167, ricordata anche nel 1182, per cui è probabile che la decisione di trasferire le reliquie nella laguna sia stata originata dalla necessità di arricchire una chiesa veneziana. Durante la crociata del 1204 i Veneziani trasportarono le reliquie nel monastero  di San Giorgio a Venezia ed elessero santa Lucia compatrona della città. In seguito le dedicarono pure una grande chiesa, dove il corpo fu conservato fino al 1863, quando questa fu demolita per la costruzione della stazione ferroviaria (che per questo si chiama Santa Lucia); il corpo fu trasferito allora nella chiesa dei SS. Geremia e Lucia, dove è conservato ancora oggi

Ma vi è ancora un'altra tradizione. Anche a Metz, in Lorena, si è sviluppato il culto di Santa Lucia intorno ad alcune reliquie che, però, i veneziani attribuirebbero ad un'altra martire siracusana, anch'essa di nome Lucia e confusa per omonimia con la nostra Santa. Il cronista medievale Sigeberto di Gembloux, monaco benedettino autore della Chronographia, opera storica che abbraccia il periodo compreso tra il 381 e il 1111, tracciando la biografia del vescovo di Metz Teoderico, inserisce nel testo una relazione coeva ai fatti dove si narra che il vescovo Teodorico, giungendo nel 970 in Italia insieme all'imperatore Ottone II, abbia trafugato molte reliquie di santi, fra cui quelle di San Vincenzo e della nostra Lucia, che allora erano a Pèntima in Abruzzo (l'antica Corfinium), portatevi da Feroaldo, duca di Spoleto. Era accaduto che Sergio, governatore della Sicilia, si era ribellato all'imperatore Leone III l'Isaurico e pertanto era stato costretto a fuggire da Siracusa e a  rifugiarsi da Romualdo II, duca longobardo di Benevento. Se questa tradizione fosse attendibile, si potrebbe pensare che il vescovo di Corfinium  abbia confuso Romualdo con Faroaldo. Lo stesso Sigeberto di Gembloux riferisce inoltre che Teoderico nel 972 abbia innalzato un altare in onore di Lucia nella nuova abbazia fatta erigere sull'isola della Mosella. Sigeberto ricorda pure che Teodorico di Metz, in presenza dei due vescovi di Treviri, Gerard di Toul e di Winofid  di Verdun, abbia dedicato a Lucia un oratorio nello stesso anno. Tanta e tale era la devozione di Teodorico per la Santa  di Siracusa che fece tumulare il conte Everardo, suo giovane nipote, prematuramente scomparso a dieci anni, proprio innanzi all'altare di Lucia. Per tutto il tempo in cui le spoglie di Lucia rimasero nella chiesa dell'abbazia di S. Vincenzo nella Mosella, la Santa di Siracusa  fu implorata durante i giorni delle Regazioni, con una grande processione che da Metz si fermò proprio nell'abbazia di S. Vincenzo. Così Metz divenne il fulcro da cui si irradiò ben presto il culto di Lucia tanto che già nel 1042 l'imperatore Enrico III reclamò alcune reliquie  della Santa di Siracusa per il convento nuovamente fatto erigere dalla  sua famiglia nella diocesi di Speyer a Lindeburch/Limburg. 

Pierre Edouard Wagner, docente associato della Facoltà di Teologia Cattolica di Strasburgo, nel 2002 ha scritto un saggio, “Culte et reliques de sainte Lucie à Saint-Vincent de Metz”, in cui sostiene che il corpo della santa sia sepolto in una cappella dell'abbazia di  Saint-Vincent. L'anno mille Metz fu meta di  pellegrinaggi da tutto il mondo germanico per vedere il corpo della santa conservato in una “bellissima”' cappella in fondo alla navata sinistra dell'abbazia di Saint-Vincent. Nel 1792 le 'presunte' reliquie di Santa Lucia furono attestate come autentiche dalle autorità ecclesiastiche del luogo e collocate nuovamente sotto un importante altare. Poi, nel 1867, prelevate dalla teca, vennero poste dal vescovo di Metz in una statua di cera rappresentante una  giovane ragazza, riccamente vestita e con una ferita al collo inferta da un pugnale. Il culto della santa avrebbe subito una 'pausa' perché l'abbazia venne pian piano abbandonata dai monaci ma ritornò in auge dopo che un frate francescano, aiutato da un medico, si introdusse di notte nell'abbazia e aprì la bambola di cera per studiare le reliquie in essa contenute. I due temerari (il frate venne espulso dall'ordine) appurarono che le ossa, appartenenti a varie parti del corpo, erano realmente di una ragazza  di 13-15 anni e mantenevano evidenti segni di bruciature.

Un altro elemento cui Santa Lucia deve la sua fortuna è sicuramente, come abbiano detto,  la coincidenza della festa con il giorno in cui cadeva il solstizio d'inverno, prima dell'introduzione del calendario moderno nel 1582, che lo ha fatto slittare di dieci giorni. Nei paesi nordici, che adottarono questo calendario circa duecento anni più tardi, il solstizio cadeva, invece, proprio il 13 dicembre. La celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d'inverno, è probabilmente dovuta alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebravano la luce e si festeggiavano nello stesso periodo nell'emisfero nord. Altre tradizioni religiose festeggiano la luce in periodi vicini al solstizio d'inverno, come ad esempio la festa di Hanukkah ebraica, che dura otto giorni come le celebrazioni per la santa a Siracusa, o la festa di Dipavali, celebrata in India. D'altronde intorno a quella data, il paganesimo romano festeggiava già una dea di nome Lucina. I genitori di Lucia, essendo cristiani, avrebbero scelto per la figlia un nome evocatore della luce, ispirandosi ai molti passi neotestamentari sulla luce. Tuttavia, il nome Lucia in sé non è prerogativa cristiana, ma è il femminile di un nome latino comune e ricorrente tra i pagani. Dal Medioevo si va sempre più consolidando la taumaturgia di Lucia quale santa patrona della vista e dai secoli XIV-XV si fa largo spazio un'innovazione nell'iconografia: la raffigurazione con in mano un piattino (o una coppa) dove sono riposti i suoi stessi occhi. Questo è probabilmente da ricercare nella connessione etimologica di Lucia a lux, molto diffusa soprattutto in testi agiografici bizantini e del Medioevo Occidentale.

Nella foto  Luigi Miradori detto il Genovesino, Santa Lucia, 1654, Castelponzone, Santi Faustino e Giovita

Fabrizio Loffi


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