20 ottobre 2022

Dagli archivi di guerra la storia di Luigi Savergnini da Soncino, mise in salvo molti soldati americani prima di essere fucilato a Torino

Il 16 luglio 1944 gli Alleati, nella Roma liberata da poco più di un mese, insediarono formalmente la “Allied Screening Commission – conosciuta come ASC”, ovvero una unità che aveva il compito di analizzare e selezionare le domande e le richieste di onorificenze o risarcimenti per i civili italiani che, a vario titolo, avevano aiutato militari anglo americani. La Commissione non era composta da ufficiali di manica larga anzi, la direttiva principale era di offrire medaglie o riconoscimenti con il contagocce, direttiva che voleva escludere quei civili che, a giochi già conclusi, presentavano il petto per ingraziarsi un atto eroico che era tutto tranne che eroico. Salire sul carro dei vincitori e magari denunciare come fervente nazifascista l'innocente vicino di casa perché parcheggiava vicino all'ingresso non era un motivo per chiedere alla commissione medaglie o denaro, l'attribuirsi meriti senza averne e scaricare responsabilità era una attività ben diffusa già da secoli. Dagli archivi spuntano quelle piccole storie che raccontano di grandi persone, persone che anche nel cremonese avevano aiutato attivamente militari alleati in fuga o svolgendo lavoro di supporto, per questo i servizi segreti angloamericani erano molto interessati ai rapporti di connazionali fuggiti dai campi di prigionia, il tutto serviva per capire se premiare coloro che avevano messo a repentaglio la propria vita per salvare quella di uno sconosciuto soldato alleato.

Il 23 gennaio 1945 poco dopo l'alba un gruppo di uomini viene messo in fila davanti ad un muro nel poligono di tiro del Martinetto, a Torino. Sono undici in totale e otto di loro sono accusati di attività partigiana mentre per tre l'accusa, oltre all'associazione ai nuclei partigiani, è quella di aver nascosto o aver aiutato a fuggire soldati nemici. Luigi Savergnini detto Gino è tra quei tre, lui a Torino ci viveva e faceva il commesso ma era nato nel 1916 a Soncino, ed era “l'ultimo dei vostri dodici figli”, come scriverà dal carcere alla madre alle 5.45 del 23 gennaio poco prima di finire davanti ad un plotone d'esecuzione. La storia legata alla ultima lettera di Luigi è quella che si incrocia leggendo la descrizione data alla ASC; nel gennaio 1944 il soncinese viveva a Torino in via Milano 7, con lui la moglie Egle e la sorella Marina ma, a gennaio, “Gino” che era già attivo nel movimento partigiano, ottiene nuovi incarichi facendo la conoscenza di Umberto, referente dei Servizi segreti americani in Piemonte. Luigi era felice per la sua scelta, il suo mandato era quello di ospitare prigionieri di guerra in fuga e portarli in Francia fino a Grenoble dove i maquis si sarebbero presi carico di nasconderli in attesa dello sbarco degli alleati. Il soncinese svolge il suo lavoro con “entusiasmo, disinteresse personale e coraggio”, valori che verranno riportati dalla ASC ma anche nella sua scheda dai servizi di sicurezza nazisti da sempre alla ricerca di persone come lui che conoscevano persone e percorsi per poter espatriare. Ad aprile viene contattato dalla Resistenza che lo informa di una prossima retata a casa sua, la Gestapo aveva allertato le SS perché procedessero all'arresto di Luigi e dei suoi familiari, l'aver avuto contatti con soldati alleati in fuga lo rende fonte di informazioni di estremo interesse. I tre scappano e si rifugiano sulle montagne dove era più intensa l'attività partigiana, ma Luigi vuole tornare a Torino e continuare con il suo mandato e così la famiglia Savergnini rientra a novembre nel loro appartamento di via Milano 7.

Passerà l'ultimo Natale con la famiglia, perché nei primi giorni di gennaio del 1945, complice un delatore che aveva tradito vari esponenti della Resistenza piemontese, Luigi e i suoi familiari vengono tratti in arresto e trasferiti in carcere. Egle aspetta un bambino e il soncinese conosce bene quali sono i rischi di un interrogatorio, così le due donne vengono rilasciate ma lui verrà sottoposto a quattro giorni di torture continue. Nella sua ultima missiva alla moglie Luigi ribadirà, “Tienilo Egle e ricordagli che il suo papà è stato un soldato che ha amato la Patria”, ultimo atto del soncinese dopo che il Tribunale Co.Gu, quello dedicato alla contro guerriglia, ne aveva decretato la sua condanna a morte. La ASC nell'agosto del 1945 legge i resoconti della attività di Luigi, sono minuziosi e attenti ai particolari gli ufficiali che devono decidere, incrociano il lavoro svolto dai candidati ai resoconti dei fuggiviti messi in sicurezza oltre confine. Dopo due gradi di giudizio la Commissione decide di risarcire Egle per il coraggio e il sacrificio dimostrato dal marito, un risarcimento economico non può sostituire un padre, ma avrebbe aiutato la vedova a far crescere il loro figlio. Nel 1947 la ASC cesserà la sua attività in quanto aveva già provveduto a decidere quali famiglie avessero diritto al sostegno per la morte di un loro congiunto, un risarcimento che aveva nel “disinteresse personale” il cardine del lavoro della Commissione.

Marco Bragazzi


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