Dal Convegno diocesano «una Chiesa sinodale che sappia raccontare il bello che la accende» Trecento partecipanti alla giornata di lavori aperta dall'intervento del giornalista Maccioni
Con le immagini e le parole della serata in Cattedrale ancora negli occhi e nella mente, la comunità della Chiesa cremonese si è riunita nella mattinata di sabato 30 settembre in Seminario per il convegno diocesano con cui, insieme, condividere e approfondire i temi su cui il vescovo Antonio Napolioni, nelle sue Linee pastorali, propone di lavorare nelle parrocchie e nelle comunità. «Per chiederci – ha detto nella sua introduzione richiamando il tema-guida – quale vita accende vita, quale fede condivisa nella comunità genera vita».
Circa 300 gli iscritti tra sacerdoti, religiosi e laici, alla giornata aperta nel salone Bonomelli dall’intervento del giornalista Riccardo Maccioni, caporedattore del quotidiano Avvenire, cui il vescovo ha chiesto di «aiutarci a guardare da credenti la realtà, con le sfide che ci pone».
Il punto di vista proposto da Maccioni è stato quello della sua professione, lo sguardo «del giornalista che osserva la realtà per interrogarla e poi rendere conto». La domanda è quella di partenza per aprirsi al dialogo. «Quando penso alla Chiesa oggi – ha quindi iniziato la relazione – qual è la prima immagine che mi viene in mente? Forse la Messa con pochi fedeli, l’incontro con la sofferenza di chi cerca un sacerdote per un po’ di consolazione, forse il cumulo di obblighi burocratici che sommergono i sacerdoti o l’ultimo campo estivo con i ragazzi; l’incapacità di farsi ascoltare, o – perché no – la carica dei 65mila ragazzi italiani alla Gmg di Lisbona… mentre però gli oratori non sono più pieni come una volta».
I riferimenti del giornalista di Avvenire tornano spesso al cammino sinodale, da cui emerge – osserva – un dato costante: «La Chiesa viene percepita come distante, poco concreta, staccata, a volte chiusa. Come se il Cristianesimo stesse a fianco e non dentro la vita reale». Una considerazione che non può lasciare indifferenti e che chiama due atteggiamenti di risposta: l’ascolto e la reazione.
Atteggiamenti che chiamano a una riflessione e a un confronto con la realtà che indica una via di cambiamento. E nel suo intervento Maccioni trova questa indicazione nella voce delle giovani generazioni. Quelle che hanno “invaso” Lisbona e quelle che provocano ogni giorno il mondo adulto e le comunità cristiane. «Ai ragazzi interessano poco le riflessioni sociologiche. Chiedono di poter parlare e di essere ascoltati. Chiedono agli adulti vicinanza e tempo da trascorrere insieme. I giovani di oggi vivono una dimensione molto diversa rispetto alla nostra: ricevono un mondo peggiore rispetto a quello che abbiamo avuto in dono noi (il clima, la precarietà del lavoro…). Sono loro a insegnarci cose che non conosciamo, non solo nelle tecnologie che scavano fossati profondi tra le generazioni, ma anche nella gerarchia dei valori in cui la relazione con le persone sta al primo posto. Ci insegnano la disponibilità a lasciare la casa, un diverso rapporto con le cose meno possessivo e più orientato alla condivisione». Una disponibilità che apre all’accoglienza e che chiede alla Chiesa di essere «Chiesa in uscita, capace anche di far entrare».
E anche capace di «far conoscere il bello che sa ancora esprimere». Il pensiero corre ancora alla Gmg e al poco risalto mediatico ricevuto dal milione e otto di giovani che hanno risposto all’invito del Papa. Fuori dalla «sindrome dell’accerchiamento» il giornalista sottolinea l’importanza di una «testimonianza gioiosa della propria fede», affrontando «con creatività il dialogo con la realtà», dando forza ai riti anche se sono sempre meno frequentati, condividendo senza timore anche dubbi, domande e fragilità, evitando esaltazioni di una fede di nicchia e ricordando che «il Cristianesimo che non è di tutti, ma deve continuare ad essere per tutti».
La proposta è quella di uno stile sinodale, quello che la Chiesa sta cercando nell’ascolto e nell’incontro del cammino in corso, che inizi – come ha poi ripreso in conclusione il vescovo Napolioni – da ciò abbiamo di bello: «C’è tanta vita, tanta presenza del Signore di cui rischiamo di non accorgerci. Dobbiamo metterci nell’atteggiamento giusto, con lo stile giusto, con una gratitudine di fondo: siamo quelli un po’ matti che non chiudono gli occhi davanti alle sfide, ma che hanno una riserva di speranza e di senso che “dà benzina” alla nostra pastorale».
Questo lo stimolo ripreso nel corso della giornata nei gruppi della conversazione nello spirito in cui è risuonata la testimonianza di Maccioni, e nei laboratori del pomeriggio in cui tutti i partecipanti hanno lavorato insieme, con una prospettiva aperta ai prossimi mesi sulle questioni decisive messe in cantiere della Chiesa cremonese. (www.diocesidicremona.it)
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