Dove sono finiti gli stucchi di Vincenzo Guindani tolti al Politeama? La Soprintendenza ne intimava la conservazione e la catalogazione
Che fine hanno fatto gli splendidi stucchi realizzati da Vincenzo Guindani per il Politeama Verdi e "vincolati" dalla Soprintendenza di Mantova? Dove sono? Chi li ha conservati? Siamo in possesso di un documento protocollato il 12 luglio 1991 che porta la firma del Soprintendente Ruggero Boschi. Riguarda proprio le decorazione a stucco dell'ex Politeama Verdi. La lettera intima alla ditta Gori che li aveva rimossi senza autorizzazione scritta della Soprintendenza di conservare, opportunamente numerati e fotografati gli stucchi decorativi del loggiato del vecchio Politeama Verdi allora depositati presso il magazzino dell'impresa in via Rebuschini 4. "In attesa della ricollocazione dei manufatti in oggetto, si autorizza il loro mantenimento nel deposito attuale. Si ricorda all'impresa l'obbligo di buona conservazione dei manufatti, e che sarà ritenuta responsabile degli eventuali danni arrecati agli stessi. Si rammenta che per ogni eventuale intercvento sui manufatti in oggetto l'impresa e il progettista dovranno attendere il nulla osta di questo Ufficio". L'impresa Gori è fallita, degli stucchi di Vincenzo Guindani nessuno sa più nulla, così sparisce un pezzo di storia della vecchia Cremona. Lo stesso documento del Sovrintendente Boschi raccomanda una protezione provvisoria dei dipinti murali ancora presenti e "la protezione con alcuni salvabordi delle parti decoese e pericolanti".
La mattina del 9 dicembre 1896, un enorme incendio divorò il teatro Ricci, il teatro popolare di Cremona costruito interamente in legno. Un rogo enorme ed impressionante. La città non poteva stare senza un teatro popolare che facesse concorrenza al teatro Concordia, poi diventato Ponchielli. I cremonesi diedero così vita ad una società con alla testa Ettore Sacchi e subito ricostruirono un nuovo teatro al posto del vecchio Ricci. Nacque così in pochi mesi il magnifico teatro Politeama tra via Cesare Battisti e via Arisi, a venti metri da corso Campi. Un gioiello fatto di stucchi, palchetti e pitture, uno scrigno disegnato dall'architetto Sfondrini, uno specialista del settore che aveva già realizzato lo Storchi di Modena. Questa era la Cremona dell'Ottocento quando l'arte, la cultura, il buongusto lo spettacolo erano di casa in città. L'esordio avvenne con la Boheme di Puccini, quasi una prima nazionale. Altri tempi, altri uomini, altra cultura. Guardate nelle immagini di Antonio Leoni e Francesco Sessa, com'è ridotta oggi la struttura e in una vecchia cartolina com'era in originale.
E' vero i più giovani probabilmente ne ignorano addirittura l'esistenza. Vedono la grande cupola da lontano ma neppure sanno che in pieno centro città, tra via Cesare Battisti e via Arisi, a trenta metri da corso Campi c'è quel che resta del teatro che faceva concorrenza al Ponchielli. Opere liriche, concerti, spettacoli da circo, persino incontri di boxe si facevano nella vecchia struttura. Infine il cinema e poi la chiusura e il declino. I più avanti negli anni si ricorderanno di certo del Politeama Verdi.
Trent'anni anni fa si ebbe l'idea sciagurata di un recupero utilizzando la legge regionale Verga, togliendo al teatro gli spazi dei palchetti, le gallerie, parte del palcoscenico, i locali accessori per farci appartamenti. Un autentico disastro. E' rimasto il matitone centrale con la splendida cupola rifatta in vetro (non più in rame), la platea, un misero palcoscenico, il foyer e la prima fila di palchi. Rimosse tutte le decorazioni, i gessi, gli arredi, persino il sipario dipinto da Antonio Rizzi che servì da quinta per coprire le impalcature del cantiere. Il proprietario è un imprendtiore lodigiano fallito qualche anno fa e iquel che resta del Politeama è entrato nel fallimento a prezzo di saldo (pare 200mila euro). Il Politeama è uscito da tempo dalle idee delle varie amministrazioni eppure sarebbe lo spazio ideale per farne un archivio, una sala concerti oppure una sala esposizioni sfruttandone la verticalità. Infatti la struttura è ancora lì e la Soprintendenza ci ricorda che dovrebbero esserci da qualche parte anche gli splendidi stuchi del Guindani. E' lì a ricordarci cos'era la Cremona dell'Ottocento quando arte, cultura e buongusto erano di casa sotto il Torrazzo. Altri tempi, altri uomini, altra cultura.
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commenti
François
9 luglio 2021 15:10
"Altri uomini, altri tempi, altra cultura"... non mi sembra: qualche decennio prima fu distrutto San Domenico, mentre qualche anno dopo furono abbattute le mura e le porte della città. A parte i tempi, il livello culturale è rimasto lo stesso: quello che si misura in quintali di "melegòt".
Paolo Ghiringhelli
10 luglio 2021 06:49
in molte città "civili" e con attrattive di buon gusto per turisti e locali, ci sono mercati coperti in cui trovare eccellenze gastronomiche del luogo e non, in cui fare anche spuntini veloci in ambienti informali ma archettonicamente accattivanti. Possibile che nessuno pensi a cose del genere in questa nostra triste città....
Michele de Crecchio
10 luglio 2021 13:26
Sono ormai passati, giusti giusti, ben trent'anni, da quel tristissimo documento che documenta uno dei tragici "effetti collaterali" di una sciagurata decisione di consiglio comunale che, poco tempo prima, a differenza di quanto accade oggi per l'urbanistica cittadina, era stata almeno oggetto di un vivace dibattito e approvata solo a stretta maggioranza.