24 novembre 2024

I luoghi verdiani che cadono a pezzi: ecco lo storico Mulino Verdi del Castellazzo nella campagna di Sant'Agata

Si è scritto ampiamente, nelle ultime settimane del degrado in cui versa la storica chiesa della Beata Vergine Annunziata, meglio conosciuta da tutti come “Madonna delle Spine” di San Giuliano Piacentino e, soprattutto, del significativo e lodevole progetto di recupero che sta prendendo forma grazie anche all’impegno fattivo del giornalista e scrittore cremonese Roberto Fiorentini. Ma, ad una manciata di chilometri da lì, c’è un altro luogo, che a suo modo “parla” cremonese, che da tempo versa in condizioni di grave fatiscenza  e grida “aiuto”, con la speranza che in qualche modo possa essere salvato e, chissà, riprendere vita come giacimento di storia e cultura, nel nome del suo più illustre, celeberrimo proprietario: il maestro Giuseppe Verdi che, molto probabilmente, si rivolta nella tomba nel vedere come sono oggi ridotti numerosi luoghi legati alla sua vita e alle sue opere (su tutti la villa di Sant’Agata, l’ospedale da lui fondato a Villanova sull’Arda, il palazzo Orlandi di Busseto, ma anche la chiesa di Roncole Verdi, il santuario mariano di Madonna Prati e diversi casolari che facevano parte delle sue proprietà). Il luogo in questione è lo storico mulino del Castellazzo, immerso nella verde campagna di Sant’Agata Verdi, ad ormai due passi dalla villa del maestro. In passato si è parlato, più volte, della possibilità di un suo recupero, ma non se ne è mai fatto nulla, ed alle tante parole sprecate non sono corrisposti fatti di sorta.

Lo storico mulino già due anni fa  è finito al centro di un'esecuzione immobiliare del Tribunale di Piacenza e come si legge anche nell’avviso dell’asta datato 2022, l’edificio, un tempo appunto adibito a mulino (ex Mulino Verdi), attualmente “è in pessime condizioni di manutenzione aggravate dallo stato di abbandono, con gran parte degli orizzontamenti crollati ed anche le murature parzialmente in rovina, così come il porticato ormai completamente crollato”. Non è abitato e, soprattutto, è inabitabile, con tanto di provvedimento (in questo senso) del sindaco di Villanova sull’Arda. Sono compresi nella vendita l’area di sedime e di pertinenza e i terreni agricoli adiacenti. Parte di questi terreni risultano occupati in forza di un contratto di affitto stipulato nel 2013 con scadenza prevista il 7 aprile 2022. Venivano accettate, sempre due anni fa, offerte fino a un valore minimo pari al 75 per cento del prezzo base d’asta fissato in ventimila euro. Che cosa sia successo negli ultimi due anni non è dato sapersi ma è facilmente immaginabile visto che l’edificio è sempre lì, lasciato al suo destino, con tutte le sue memorie e con qualche crollo in più. Abitato, per ora, da nutrie, ragni, topi e rettili vari. Volendo fare una battuta verrebbe da dire che, con qualche migliaio di euro, potete diventare proprietari di un luogo verdiano. Un rudere, giusto precisare. Un rudere, tuttavia, impregnato di storia, sia per la sua antica ed originaria funzione di mulino che per il blasone dei proprietari che si sono succeduti (tra questi il barone Profumo prima e il maestro Giuseppe Verdi poi) che meriterebbe di essere recuperato, salvaguardato, valorizzato e, perché no, inserito in un vero e proprio itinerario sentimentale e culturale tra i luoghi di Verdi agricoltore, che “sconfinano” anche nel cremonese, alla cascina Gerre del Sole, che il Cigno di Busseto acquistò nel 1870, prima ancora quindi di acquistare (nel 1875) l’enorme tenuta del Castellazzo da diciassette eredi di Ugo Testa (ed in precedenza di proprietà, come anticipato, del barone Profumo). Tenuta della quale faceva parte anche il mulino che Verdi stesso fece sistemare e restaurare.   Il celeberrimo musicista e compositore nato il 10 ottobre 1813 a Roncole Verdi, come noto, era anche un eccellente, scrupoloso e lungimirante imprenditore agricolo. Tra l’altro, giusto aggiungerlo, nel  1877 il Tribunale di Piacenza si pronunciò a favore del maestro in una causa riguardante le acque del canale di Castellazzo (tuttora esistente) che serviva per irrigare i campi posti dietro alla villa.

L’avvocato di Verdi era Gaetano Grandi di Piacenza, avo del celebre avvocato Filippo Grandi. Nella tenuta del Castellazzo, tra gli altri, vi lavorò Silvestro Luigi Bellingeri, nato a Casanova d’Offredi il 7 maggio 1869 da Demetrio Bellingeri (celebre fattore del maestro, uno dei suoi uomini di maggior fiducia) e Petronilla Carletti (dei coniugi Bellingeri -leggi qui - si è già scritto nel servizio dedicato alla tenuta Gerre del Sole di Stagno Lombardo acquistata dal Cigno nel 1870) . Casanova d’Offredi, piccolo centro nel “cuore” del cremonese, giusto ricordarlo, all’Unità d’Italia, nel 1861 contava 348 abitanti e fu Comune autonomo fino al primo gennaio 1868 quando venne aggregato a Cà d’Andrea: infatti Silvestro Luigi Bellingeri, come si legge negli atti di allora, risulta nato nel Comune di Cà d’Andrea (era l’anno successivo, il 1869), nella frazione di Casanova d’Offredi. Il suo atto di nascita, tra l’altro, è pubblicato nel libro  “Lo sgabello di Verdi tra la gente del Castellazzo” di Maura Quattrini e Davide Demaldè, ed il prezioso sgabello (finito al centro del volume di Demaldè e Quattrini) fu donato al maestro Verdi a Demetrio Bellingeri (che lavorarono alle sue dipendenze) con la raccomandazione che doveva solo essere guardato e non utilizzato, per non  rovinarlo. Demetrio aveva quindi promesso di regalarlo al primo figlio che si fosse sposato, che fu appunto Silvestro. Il maestro aveva fama di padrone oculato e piuttosto intransigente, ma era sempre al centro di tutte le conversazioni della famiglia. E la fidanzata di Silvestro, Regina Bonomi, che tanto aveva sentito parlare del Cigno durante il fidanzamento, quando vide per la prima volta lo sgabello  in occasione delle sue nozze  ne rimase incantata. Quel prezioso cimelio esiste ancora ed è custodito, con grande cura, dalla milanese Marcella Savi che lo ha avuto in ereditò dalla nonna Paolina Demaldè. Marcella savi torna spesso nelle terre verdiane perché da quelle parti è rimasta la casa dei nonni e quando si reca al Castellazzo osserva, cerca di immaginare,  pensa a quando quei terreni erano del maestro Verdi, quando nei cortili delle cascine i contadini venivano sorpresi dal suo arrivo. Il canale del Mulino scorre fin qui e procede fino a Sant’Agata, poco più avanti, e il reticolo delle carraie sembra congiungere tutti i poderi con la Villa del Maestro, quella di Sant’Agata.  Nel libro “Lo Sgabello di Verdi tra la gente del Castellazzo” (Edizioni Fantigrafica, Cremona, 2018)  Maura Quattrini e  Davide Demaldé hanno ricostruito un racconto storico descrivendo la vita in questa località, a partire da documenti d’archivio e dalle testimonianze dei discendenti delle famiglie che lavorarono per quel Verdi non solo musicista, ma moderno e lungimirante imprenditore agricolo. Un volume che è un vero e proprio “affresco” della vita agreste piacentina a cavallo tra Ottocento e Novecento nel vasto latifondo del Castellazzo di proprietà del maestro Verdi. Col tempo lo sgabello, passando da una proprietà all’altra, è finito alla famiglia di Paolina Demaldè,  rimanendo al Castellazzo. Marcella Savi è sicura che quel che le diceva la nonna fosse vero: lo sgabello era di Verdi. Si è confrontata anche con il Conservatore del Museo del Teatro alla Scala di Milano, Matteo Sartorio, il quale le ha fatto notare che l’oggetto è del tutto simile a quello che appare in una famosa illustrazione nella quale Verdi siede al pianoforte in compagnia del librettista Boito a Villa Sant’Agata. La relazione peritale diagnostica dello Studio Rosati Verdi Demma di Parma (2015) al contempo certifica che lo sgabello è autentico per epoca e manifattura. Marcella, dunque, presenta uno sgabello da pianoforte ottocentesco, conservato da famiglie che vissero nel contesto rurale delle proprietà di Verdi, identico a quello che utilizzava il Maestro. Nel clima trepidante per le sorti di Villa Sant’Agata, mentre va in scena il docufilm di Pupi Avati “Le stanze di Verdi” e si costituisce il Comitato “Giuseppe Verdi, il suo tempo e la sua terra”, anche Marcella Savi vuole fare la sua parte e porre all’attenzione del mondo questo trofeo di tradizione, simbolo del Verdi musicista, uomo dalle robuste radici agrarie e, soprattutto, attento benefattore. Che, tra i suoi beni, ebbe anche il mulino del Castellazzo che, a “gran voce” chiede di essere salvato. 

Eremita del Po

 

Paolo Panni


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti