Il culto di Santa Lucia indenne dopo duemila anni di storia. Le tradizioni longobarde. Il mito di Epona
Il tratto principale del culto di Santa Lucia è il forte attaccamento popolare, nel ripetersi di tradizioni e riti che affondano le radici nel più profondo humus della storia, nonostante siano ormai perduti i loro specifici significati.
I simboli legati al fieno, alla scodella di acqua o di latte, l'accensione di una luce per guidare la santa/dea/sacerdotessa, l'asino o il cavallo che la trasportano, i doni ai bambini, il campanello che ne annuncia la venuta, sono tutti elementi che rimandano a un culto molto più antico dell'avvento del cristianesimo, connesso al solstizio invernale. Un processo quello del passaggio alla nuova religione monoteista che, specie nelle campagne, rimase sospeso per secoli diventando patrimonio comune solo in pieno medioevo, e solo grazie alla sovrapposizione di santi e festività già presenti da secoli. A confermare queste deduzioni proprie degli studi antropologici è stata la scoperta del calendario di Guidizzolo (Mantova) un raro esemplare di calendario romano stilizzato su una tegola (in foto), che riporta dietro il nome di Epona molti dei tratti caratteristici di Santa Lucia. Il calendario è datato tra il I secolo a.c. e i primi anni del I secolo d.c. in un momento cruciale nello sviluppo delle aree dove ancora oggi è forte la venerazione della santa, le provincie di Vicenza, Verona, Mantova, Lodi, Cremona, la bassa bergamasca e Brescia con propaggini anche nell'oltrepò tra Reggio, Piacenza, Modena e Parma. La sua origine celtica, tesi sostenuta sino a pochi decenni orsono, è stata confutata da studi più recenti che individuano nella dea a cavallo una delle figure create durante il difficile processo di romanizzazione avvenuto a partire dal II sec a.c. proprio nelle zone di maggior presenza del culto tra il Veneto e la Lombardia Orientale. In realtà, inizialmente, la religione cattolica avversa ai culti arcaici diede un significato negativo alla dea della luce, identificata con Venere la prima stella del mattino portatrice di luce (Lucifero) per poi sovrapporla alla figura della martire siciliana protettrice della vista.
Epona, la nonna della nostra Santa Lucia, sarebbe il nome di una divinità creata ex novo in occasione della grande riforma augustea dei culti tradizionali che univa nella nuova organizzazione dello stato, il nascente impero, alcune divinità arcaiche già conosciute dalle élites locali che avevano ormai accettato l'ineluttabile romanizzazione. Un momento fondante della Cisalpina e di Cremona, Mantova e Brescia in particolare, con una nuova organizzazione del territorio, la monumentalizzazione di templi precedenti e la distribuzione di terre a migliaia di veterani.
La sovrapposizione del culto cristiano, un fenomeno avvenuto per decine di altre festività, ricorrenze, santi, è in realtà molto più recente di quanto sia possibile credere. Un processo lento, durato secoli che nonostante le sferzate della Controriforma (1570) che colpì molti residui di culti pagani presenti soprattutto nelle festività abbinate alle fasi delle stagioni dell'agricoltura, non si è mai sopito. Durante le interviste raccolte nel corso delle mie ricerche nell'area del casalasco ho potuto registrare diverse testimonianze dall'importanza della festività presso i ceti più umili. In un caso risalente al 1958, Giacomo, un vecchio agricoltore zoppo da una gamba, nonostante avesse già superato i 60 anni pur di portare dei biscotti fatti appositamente dalla moglie di Castelponzone alle piccole nipotine residenti a Vicobellignano di Casalmaggiore in occasione della festa di Santa Lucia, non esitava a farsi a piedi, al freddo di dicembre trascinando la gamba inferma da Scandolara Ravara sino a Vicobellignano (12 chilometri) andata e ritorno.
Il culto di Santa Lucia sopravvisse e si modificò anche dopo la fine degli ultimi possedimenti imperiali nel cremonese, dopo la caduta della linea di difesa del Po. Nell'ultimo quarto del VI secolo l'intero territorio cremonese ancora assoggettato all'Impero venne investito a più ondate dall'invasione longobarda con diversi contingenti provenienti da Brescia, sede già da diversi decenni di un potente ducato, e si ridusse dopo il 595 alla sola Cremona. I nuovi venuti, come analiticamente rilevato dallo storico cremonese Ugo Gualazzini, si sovrapposero alle strutture amministrative, ai centri di potere territoriale esistenti (come a San Giovanni Vecchio, Zenevedro/San Giovanni in Croce) creando solo due nuove corti regie a Sospiro e a Sesto Cremonese ed è molto probabile che assimilassero anche i culti esistenti come nel caso di Santa Lucia. La connessione tra la Dea nordica Freya, e la sacerdotessa Gambara e santa Lucia è rilevabile in più punti: il colore dei lunghi capelli, il mulo o l'asino abbinato alla dea, il ruolo della luce e del particolare momento della fase del sole, che proprio nei giorni in cui si festeggia Santa Lucia rinasce dopo un lungo periodo di buio. Anche la cittadina bresciana oltreoglio che prende il nome dalla sacerdotessa a cavallo è posta su uno dei cardini della suddivisione agraria cremonese che in questo punto continuava nella stessa direzione anche oltre il fiume.
Non può essere frutto di un semplice caso se proprio lì nei luoghi dove più capillare è stato l'insediamento longobardo, dove più frequenti sono i rinvenimenti di tombe o di opere d'arte di chiara matrice longobarda,siano più radicate la tradizione e i simboli che rimandano a Santa Lucia. Una figura sacra tanto presente nella cultura delle comunità da passare indenne attraversando più di 2000 anni di storia. Continuando ancora oggi a far sognare e sospirare migliaia di bambini in attesa di un mistero che non ha ancora smesso di affascinarci.
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commenti
Renata
12 dicembre 2024 16:52
Mi piace molto, e ben documentato!