Il palazzone della Banca d'Italia, quel lungo iter per la costruzione. Il braccio di ferro con il Comune. Le polemiche, le proteste, il compromesso
La notizia della probabile vendita all'asta dello stabile della Banca d'Italia in piazza Stradivari per ricavarvi alloggi di lusso, ha fatto discutere Cremona in questo fine settimana. Il nostro Fabrizio Loffi ha ricostruito l'iter (ci sono voluti 6 anni) per realizzare il palazzone in marmo rosso e le controversie che lo stesso aveva sollevato in città.
Gli uffici della Banca d'Italia aprirono nella nuova sede il 24 ottobre 1960. Fu uno dei progetti più discussi e controversi, rimasto a lungo bloccato, che si inseriva nel rifacimento complessivo di piazza Cavour, che si sarebbe concluso qualche anno dopo. Nel settembre 1959 il palazzo era ormai terminato e restavano da sistemare solo i marciapiedi posti di fronte che, seguendo le indicazioni del piano regolatore, avrebbero comportato un notevole restringimento della strada. Quello realizzato è il secondo dei due progetti presentati: il primo, approvato dalla commissione artistico edilizia nell'aprile del 1956 dopo due anni di studi, prevedeva una costruzione di cinque piani, con un porticato a tre arcate rivolto su piazza Cavour, ed un rivestimento in marmo rosso di Verona, ma era stato bocciato dal Soprintendente veronese Pietro Gazzola, che aveva richiesto di realizzare un piano in meno. L'architetto romano Luigi Vagnetti aveva allora presentato un nuovo progetto con un piano in meno, approvato dalla commissione solo con 4 voti favorevoli e 3 astenuti, ottenendo che la facciata, anzichè in mattoni come richiesto dalla Soprintendenza, fosse realizzata in marmo. Ne era nato un animato dibattito perchè, in realtà, nessuna delle due soluzione era del tutto soddisfacente. Lo spiega Mario Coppetti, presidente della commissione: “Per oltre due anni la Commissione artistico edilizia si rifiutò di approvare il porticato a tre fornici e cedette soltanto quando fu posta davanti al dilemma o approvare il progetto come era o detto palazzo non sarebbe più stato costruito a Cremona. La Commissione aveva suggerito fin da allora di fare cinque o sette fornici anziché tre, ma l'architetto progettista si era sempre rifiutato di studiare tale variante. Dopo l'intervento del Soprintendente il progettista presentò l'ultimo disegno addirittura con nove aperture e con un piano in meno”. Nel marzo del 1957 iniziano le demolizioni verso via Boldori, tra lo scetticismo generale, dal momento che “molti avrebbero voluto che questo palazzo fosse il più maestoso di tutta la città, ma sarà, invece, come gli altri”.
Un anno dopo arriva la doccia fredda. La direzione generale della Banca d'Italia nel marzo 1958 ordina la sospensione dei lavori del nuovo palazzo in via Verdi per un motivo quanto mai strano. In seguito al confronto tra la Soprintendenza ed il Comune sul rifacimento di piazza Cavour si era concordato che di fronte alla nuova sede della banca venisse costruito un corpo di fabbricato in vetrocemento in prosecuzione di quelli che dovevano essere realizzati nel progetto. Ma la Banca d'Italia si oppone perchè pretende che la piazza antistante venga lasciata completamente sgombra, in base a quanto previsto dal vecchio piano regolatore, e, in attesa che venga assunta una decisione definitiva, decide per il momento di interrompere i lavori. Una decisione che sorprende, ma che non fa una grinza. Per qualche motivo la banca dovrebbe infatti eliminare un piano del proprio edificio, in quanto concepito come cornice a piazza Cavour, se il Comune decide ora di edificare di fronte un palazzo, senza alcun riguardo al rispetto del contesto monumentale? I dirigenti dell'Istituto bancario inviano un esposto al Consiglio di Stato dove fanno presente che il Comune si era impegnato a lasciare libero lo spazio e la Soprintendenza aveva già fatto rifare una dozzina di progetti scegliendo quello che risultava più idoneo a far da cornice alla piazza, imponendo una facciata in pietra con caratteristiche monumentali tali da imporsi sugli altri vuoti presenti. La Banca d'Italia chiede pertanto che il nuovo palazzo sia distante almeno 25 metri, rispetto agli 11 previsti, costringendo in questo modo il Comune a prevedere un edificio non più a L, ma a T, aprendo una serie di problemi di difficile soluzione per l'architetto Dodi, supervisore del piano regolatore. Si susseguono riunioni su riunioni e si infiamma il dibattito, ma l'ipotesi di chiudere la piazza con una edifico a L viene sostenuta anche da Italia Nostra. Invece verso la fine di maggio, tra lo stupore generale, viene elevata un'impalcatura in tubi di ferro che simula il nuovo edificio, destinato a tagliare a metà la piazza, secondo le richieste della Banca d'Italia. “Una bruttura, uno sconcio -si indigna il giornale “La Provincia” del 28 maggio 1958 – Ma quando il Comune finirà di fare quel che Perpetua attribuiva a don Abbondio (e quanto lo rimproverava!) nei primi capitoli dei Promessi Sposi? E quando capirà che soltanto reagendo vivacemente alle utopie scatenate e sostenute soltanto da quei due o tre 'patiti' che vorrebbero vivere in un mondo imbalsamato, fatto a loro immagine e somiglianza, eviterà un danno alla città? Energia non solo con i privati indifesi: è troppo facile. Ma specialmente contro lo strapotere di organi che agiscono ancora in base a leggi dittatoriali espressa dalla dittatura”.
Alla fine prevale il buonsenso. La commissione ristretta composta dall'ingegnere capo del Comune Marcatelli, dall'architetto Ranzi, ispettore della Soprintendenza di Verona, dall'assessore ai lavori pubblici Calatroni, e dal presidente della commissione artistico edilizia Coppetti si incontra il 13 giugno con il soprintendente ai monumenti Gazzola, il rappresentante del Ministero della pubblica istruzione Barbacci, l'ingegnere Dodi, il sindaco Feraboli e il rappresentante della Banca d'Italia Giglio. Si decide che non verrà costruito alcun palazzo e la piazza resterà tale e quale, vi si potrà realizzare un parcheggio sotterraneo. “Il Comune verrà autorizzato a sventrare l'intero lotto e a rinnovare gli appartamenti con criteri moderni purchè questo moderno non esca dalle finestre. Il Comune potrà rifare, come vorrà, mantenendo le stesse caratteristiche della facciata, anche il lato verso il palazzo della Previdenza Sociale lungo il quale, con molta probabilità, sorgerà una serie di negozi. L'altezza, da questo lato, apparirà uguale all'attuale ma la Sovraintendenza ha concesso che venga costruito una specie di attico che servirà ad innalzare la costruzione di un piano ma non sarà visibile dalla strada”. Soddisfatti i vertici della Banca d'Italia, che sventano la minaccia del palazzone in vetrocemento. Si ipotizza di riutilizzare le colonne ed i capitelli cinquecenteschi depositati nel museo civico per il porticato che si vorrebbe edificare a complemento della parte posteriore dell'edificio (su via Capitano del Popolo, ndr) e sul lato su via Gramsci a corona del fabbricato che incorpora la torre del capitano.
Tutto sembra ormai risolto quando avviene un altro colpo di scena. La giunta convocata la sera del 25 giugno respinge integralmente l'accordo appena raggiunto tra Soprintendenza, Banca d'Italia e Comune e rimette tutto quanto in discussione, sulla base delle motivazioni offerte dal legale del Comune, avvocato Soldi. Secondo il parere del legale la Banca d'Italia non può pretendere nulla, dal momento che la variante al piano regolatore approvata dal consiglio comunale nella seduta dell'8 gennaio 1958, che prevede la realizzazione del famoso palazzo in vetrocemento ad L, non può essere modificata per un interesse privato. Si prospetta, dunque, un nuovo braccio di ferro: il Comune pretende di riqualificare piazza Cavour secondo le proprie intenzioni, ed intima alla Banca d'Italia di iniziare i lavori per la realizzazione della propria sede entro tre mesi. Diversamente sarà costretto a ricorrere all'esproprio dell'area, concedendo ad altri la possibilità di realizzare un nuovo edificio con negozi, così come richiesto dagli abitanti nella zona. La Prefettura, dal conto suo, sostiene il progetto della Banca d'Italia per motivi di tipo occupazionale, in quanto il cantiere darà lavoro per almeno due anni, non entrando nel merito di considerazioni estetiche.
A sbloccare la situazione arriva in Comune, a metà luglio, una lettera della Banca d'Italia che annuncia la riapertura del cantiere, usando toni particolarmente concilianti, tanto che l'amministrazione intima ai negozianti che, sfrattati dalle abitazioni demolite per far posto alla banca avevano provvisoriamente occupato lo spazio antistante il cantiere, di lasciare libera l'area. Effettivamente il cantiere riapre un paio di giorni dopo, ma la vicenda è ancora lontana dall'essere conclusa. A metterci lo zampino, questa volta, è la giunta provinciale che il 31 gennaio 1959 respinge la deliberazione del consiglio comunale che ha approvato la variante al piano regolatore, dando un mese di tempo al Comune per presentare il piano particolareggiato su piazza Cavour concordato con la Soprintendenza, e, di conseguenza anche il bando per il concorso di idee che dovrebbe definire gli interventi sulla piazza. A questo punto il Comune è costretto a rimettere mano alla questione e, salomonicamente, la giunta approva il 23 marzo il progetto definitivo che fa piazza pulita dell'edificio a L, accontentando Amministrazione provinciale, Soprintendenza, privati e Banca d'Italia. Tutto resta come prima e la Banca d'Italia può continuare il lavoro per terminare il palazzo, che a metà giugno è definito nelle sue linee essenziali: il 25 giugno gli operai iniziano a smantellare l'impalcatura. Nel frattempo si decide di demolire definitivamente la costruzione provvisoria innalzata quattro anni prima per ospitare i tre negozi che erano precedente collocati nelle case demolite per lasciare posto al nuovo palazzo: un'iniziativa che non aveva mai soddisfatto nessuno, in quanto sottraeva posti auto nella piazza, allora adibita ancora a parcheggio.
Ma si apre un altro contenzioso: tre commercianti, due fruttivendoli ed un barista, che hanno il loro esercizio sulla fronte posteriore del caseggiato di piazza Cavour, unica parte che dovrà essere demolita e ricostruita, chiedono di entrare negli stand provvisori per non allontanarsi dalla piazza, rendendo vani nuovamente tutti gli sforzi per liberare lo spazio antistante la nuova sede della banca, secondo gli accordi. Ci vorrà un altro anno prima che venga trovata la soluzione, allargando temporaneamente gli stand per ospitare i tre negozianti, dando inizio ai lavori per ristrutturare l'antico caseggiato secondo le indicazioni della Soprintendenza. Ma intanto può finalmente inaugurare, a sei anni dalla stesura del primo progetto, la nuova sede della Banca d'Italia.
Nelle foto il progetto definitivo per la Banca d'Italia, il progetto non approvato, piazza Cavour con il nuovo edificio mai realizzato, i lavori ultimati nel 1959, la simulazione del nuovo edificio con tubi innocenti.
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