9 ottobre 2022

Il Quartetto della Scala ed il pianista Giuseppe Albanese incantano l’auditorium del MdV con “Teatro in camera”, omaggio all’800

Teatro in camera” è il titolo del concerto proposto per il secondo appuntamento con StradivariFestival. E proprio in una camera, ovvero in un salotto, si sono sentiti gli spettatori accorsi a questo concerto. L’Auditorium del Museo del Violino crea sempre questa magia tale per cui il pubblico si sente parte dello spettacolo, come se anch’esso avesse un ruolo nell’esecuzione. Si respira con i musicisti, si tiene il fiato sospeso, e a fine pezzo l’applauso è quasi una liberazione. A Fare gli onori di casa, come di consuetudine, il direttore artistico Roberto Codazzi che ha introdotto la serata con cenni storici e aneddoti legati allo stupore di Brahms alla vista del nostro centro storico. Nel cerchio centrale della sala il prestigioso Quartetto d’Archi del Teatro alla Scala insieme al pianista Giuseppe Albanese. Ad impreziosire ulteriormente, come se ve ne fosse ulteriormente bisogno, l’utilizzo di strumenti eminenti di altissima liuteria. Francesco Manara suona un violino Nicola Amati 1665,

Daniele Pascoletti ha utilizzato un violino Fratelli Amati 1590, 

Simonide Braconi si è esibito su una viola Francesco Bissolotti 1994 e Massimo Polidori chiude il cerchio con un  violoncello Paolo Castello 1760.

Come già avvertito distintamente nella serata inaugurale con gli strumenti dei fratelli Quarta, anche in questa serata perfino gli auditori meno allenati potevano distinguere nitidamente quanto un suono cambi utilizzando strumenti di questo livello. Certo, non basta avere una Ferrari per essere dei piloti, ma con questi musicisti suonerebbe bene anche uno strumento di fabbrica. Il programma presentato ha omaggiato l’ottocento con il meraviglioso quintetto in Fa minore di Brahms ed il grande repertorio lirico con due trascrizioni firmate da Antonio Melchiori e Franz Liszt sui temi di Rigoletto e Norma. L’operazione di trascrivere brani operistici per piccoli organici testimonia quanto la musica da camera fosse anche un vero e proprio antesignano dell’odierno disco, un modo (ad appannaggio della nobiltà) per poter ascoltare, talvolta anche in anticipo sulla prima, una composizione nel proprio salotto. Tanti sono i compositori che hanno trascritto per organici cameristici, così come, sempre nell’ottocento, troviamo nelle chiese possenti organi-orchestra con piatti, gran cassa e campanelli, e per essi sono giunte a noi le più svariate fantasie organistiche su temi d’opera. Melchiori ha all’attivo diverse trascrizioni verdiane fra cui Trovatore, Un Ballo in Maschera, Traviata, Aroldo ed, appunto, Rigoletto. Il quartetto percorre le pagine più conosciute dell’opera con articolazione nitida ed intensità, riuscendo ad evocare perfino gli strumenti a fiato che normalmente compongono l’orchestra. Ben differenziati sono i piani sonori che i quattro riescono a realizzare con grande coesione. I temi che si susseguono fra gli strumenti trovano sempre la giusta importanza senza mai sovrastare gli altri in un’alchimia sonora con pochi eguali. Curiosa anche l’impronta di Liszt nella realizzazione di Réminiscences de Norma per pianoforte – Grande Fantasia di bravura sulla “Norma” di V. Bellini. Il gioco si fa duro, e qui è Albanese a trovare spazio per mostrare tutto il suo virtuosismo. Alla tastiera il pianista riesce a far apparire pagine di vertiginosa difficoltà come una “passeggiata” rilassante. Una delle prime cose che si insegna ad un cantante è di non far mai apparire il proprio sforzo, tenendo sempre un’espressione serena e sorridente. Ai pianisti non è richiesto, ma talvolta l’ascoltatore riesce a percepire anche la fatica oltre che il talento. Non è questo il caso. Giuseppe Albanese mette tutto di se stesso, anche l’anima nelle sue esecuzioni e danza sulla panchetta quasi fosse un ballerino. L’ultimo brano in programma è il meraviglioso quintetto in fa minore per pianoforte e archi op.34, composizione di rara bellezza frutto di diversi rimaneggiamenti da parte del trentenne Brahms. La prima versione era infatti per soli archi, a cui ne è seguita una per due pianoforti. Giunti finalmente alla versione definitiva ci troviamo davanti ad una delle pagine più belle del repertorio cameristico tardo-romantico, che il quintetto di musicisti in auditorium ha affrontato con trasporto e vigore. Se in orchestra un piccolo errore di passaggio di un violino di fila può camuffarsi e perdersi nel mare di note, in quartetto una piccola sbavatura si amplifica e viene immediatamente colta, ma anche in questo caso i cinque musicisti hanno portato in scena una pulizia di suono degna di un’incisione, unita ad un gusto interpretativo seducente e ad una prassi esecutiva coerente ma mai stucchevole o “vecchia”. Tante le sfumature emerse dalla partitura, in particolare il bel suono legato vibrato densissimo di armonici che ben si sposa con le composizioni del genio tedesco. 

Una serata di incredibile livello esecutivo che ha lungamente meritato i forti applausi tributati a questi grandi musicisti, musicisti che tutto il mondo (giustamente) ci invidia. 

 

foto di Danilo Codazzi

Loris Braga


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