Il vescovo spiega il nuovo presbiterio: "Questo è zelo che la comunità deve avere verso la propria casa"
Quasi a voler prevenire le perplessità dei fedeli di fronte all’adeguamento liturgico del presbiterio della Cattedrale, il vescovo Antonio Napolioni della sua omelia durante il rito di ordinazione, ha voluto porre l’accento sul significato di questo intervento che si inserisce nello zelo che la comunità deve avere verso “la propria casa”, la “casa dello sposo” come è il titolo della lettera pastorale scritta per l’occasione. “La Cattedrale è fatta su misura di un solo uomo, Cristo Gesù e il suo corpo che è la Chiesa, il popolo di Dio. Chi ha osservato che cattedra e altare non sono abbastanza allineati, dovrà riconoscere che questa pianta a croce latina con il corpo, le braccia e il capo, ha il capo reclinato, l’abside è piegata non di poco sulla sua sinistra come vediamo tante volte il capo del Cristo crocifisso. La Cattedrale è fatta su misura di Gesù e di tutti i chiamati ad incorporarsi in Gesù. Che almeno i cristiani imparino a vivere in pace, che davanti all’altare siano uniti. Il messaggio è quello di una grande chiarezza, qualche volta mi sento giudicato come se non riuscissi a dare chiarezza. Guardate la chiarezza questa sera, dalla cattedra Gesù, maestro e profeta ci dice ‘io ci sono’; dall’ambone Cristo, parola vivente del Padre, ci dice ‘io vi parlo’, accogliete il mio Vangelo, lì c’è tutta la chiarezza necessaria. Sull’altare il Cristo, sacerdote e pastore, si fa vittima, sacrificio, pane. Non c’è chiarezza nell’essenzialità di questi luoghi che sono simbolo sacramentale? Ciò che qui accade perchè accada nella storia”. Il vescovo si richiama all’Inno di san Paolo agli Efesini: “In queste forme che ci trasmettono luce, che vogliono squarciare le forme della vita che rischia di appiattirsi, io vedo la chiamata a credere nella presenza del Cristo che è Redentore nella gloria in mezzo ai santi che attira Maria, gli Apostoli, l’umanità a compimento del proprio cammino nel tempo non solo nell’attesa che si compia la speranza del suo ritorno, ma nelle vicende della vita reale quotidiana”. “Non ci attacchiamo agli altari del tempo perchè vogliamo che l’altare cammini con noi nel tempo e la nostra Chiesa sia si raccolta in un edificio così bello ma non perda la caratteristica della tenda” “Qualcuno dirà ma questo Vangelo è un po’ guastafeste, abbiamo fatto tutto così bello, pensiamo già che qualcuno possa buttare tutto per aria? Gesù cosa penserà di ciò che stiamo facendo ora, non solo dei soldi che si spendono per la bellezza della liturgia, ma della cura che mettiamo nel vivere bene questi momenti di comunione. Lo zelo per la tua casa mi divorerà, lo zelo per la casa del Signore, perchè qui si impara nell’ascolto della parola, nella preghiera nella celebrazione dei santi misteri deve necessariamente diventare zelo per il tempio di Dio che è ogni persona umana. Parlava infatti del tempio del suo corpo”.
La dedicazione dell’altare, come qualsiasi altra liturgia, si celebra durante l’Eucarestia, che inizia, anche in questo frangente, con la processione d’ingresso e il saluto.
Il primo rito peculiare è quello della benedizione dell’acqua e dell’aspersione, tanto del popolo quanto dell’altare stesso. L’acqua – viene precisato – è segno di penitenza, perché veniamo purificati dai nostri peccati, e ricordo del nostro Battesimo. Nella preghiera di benedizione, infatti, si acclama che «nel disegno della tua misericordia hai voluto che l’uomo, immerso peccatore nelle acque del Battesimo, muoia con Cristo e risorga innocente alla vita nuova, fatto membro del suo corpo ed erede del suo regno». Inoltre, nel prosieguo, si invoca: «Benedici e santifica quest’acqua che verrà aspersa su di noi e sul nuovo altare, perché sia segno del lavacro battesimale che ci fa in Cristo nuova creatura e altare vivo del tuo Spirito». Quest’ultima immagine richiama una affermazione di s. Gregorio Magno in forma interrogativa: «Che cos’è l’altare di Dio se non il cuore di coloro che conducono una vita santa? A buon diritto, quindi, altare di Dio vien chiamato il cuore dei giusti». L’identità battesimale è la radice di qualsiasi scelta nella vita divenuta “altare”, cioè luogo dell’offerta al Padre di se stessi.
Dopo la proclamazione della Parola e l’omelia del vescovo, si invocano i santi, che hanno condiviso la vita con Cristo nel martirio o in qualsiasi altra modalità di testimonianza e ora sono suoi commensali nel convito eterno. Prospettiva quanto mai perspicace, che si ricollega al rito successivo, e cioè la deposizione delle reliquie dei nostri santi locali in una apposita urna, così esplicitato: «La dignità dell’altare consiste tutta nel fatto che esso è la mensa del Signore. Non sono dunque i corpi dei santi che onorano l’altare, ma piuttosto è l’altare che dà prestigio al sepolcro dei santi. Cristo però sta sopra l’altare, perché ha patito per tutti; i santi, riscattati dalla sua passione, sono collocati sotto l’altare, in rispondenza all’affermazione del libro dell’Apocalisse: “Vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso” (Ap 6,9)».
Segue la solenne preghiera di dedicazione, fulcro del rito, strutturata come tutte le grandi preghiere liturgiche: anzitutto contempla il riferimento ad eventi prefiguratori del Primo Testamento (Noè, Abramo, Mosè) e a Cristo, centro della storia, che «compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna». Nella parte invocativa vera e propria della preghiera l’altare viene salutato come segno di Cristo, mensa del convito festivo, luogo di intima comunione con il Padre, fonte di unità per la Chiesa, centro della nostra lode e del comune rendimento di grazie: una ricca e ben calibrata prospettiva di salvezza, che abbraccia le tre dimensioni del tempo, anche quella futura, concludendo: «…finché nella patria eterna ti offriremo esultanti il sacrificio della lode perenne con Cristo, pontefice sommo e altare vivente».
L’unzione con il crisma, entrata ampiamente nella liturgia occidentale anche delle Ordinazioni sul finire del primo millennio, in questa celebrazione di dedicazione assume dimensioni assai ampie, perché, come recita la rubrica, «il vescovo versa il sacro crisma al centro dell’altare e ai suoi quattro angoli e ne unge opportunamente tutta la mensa». Cristo è nome che significa “consacrato, unto”. Dio infatti lo unse di Spirito Santo (cfr. At 10,38), perché offrisse sull’altare il sacrificio del proprio corpo per la salvezza di tutti. Anche noi nel Battesimo e nella Cresima siamo stati consacrati alla missione della Chiesa, mediante l’unzione. Ungendo con l’olio del crisma la nuova mensa si vuole significare che essa diviene per sempre espressione simbolica di questa realtà di vita tipicamente cristiana.
Pure il rito dell’incenso, che segue immediatamente, bruciato in un piccolo braciere collocato sull’altare, richiama anzitutto la missione, tipica dei battezzati, di diffondere ovunque, appunto come il profumo dell’incenso, la conoscenza di Cristo (cfr. 2 Cor 2,14-16). Inoltre, rifacendosi alla visione dell’Apocalisse (cfr. Ap 8,3-4), si vuole indicare che le preghiere dei fedeli si innalzano come volute di fumo fino all’altare di Dio, posto davanti al suo trono.
Infine avviene la copertura dell’altare e la sua illuminazione. Ricoperto delle tovaglie, che lo fanno apparire meglio come mensa del convito festivo dell’Eucarestia, si accendono le candele, e poi tutte le luci, in segno di gioia. Si richiama ancora Cristo, salutato nel tempio da Simeone come luce per illuminare le genti (cfr. Lc 2,32). E, nello stesso tempo, diviene indicazione di vita per ogni credente, chiamato a risplendere davanti agli uomini, perché tutti vedano il bene compiuto e rendano gloria al Padre celeste (cfr. Mt 5,16).
Per questo il miglior auspicio, che scaturisce da questo straordinario evento di vita della nostra Chiesa locale, viene espresso dalle parole pronunciate durante l’accensione delle candele, che uniscono in felice connubio altare e fedeli: «La luce di Cristo rifulga su quest’altare e siano luce del mondo i commensali alla cena del Signore».
Fotoservizio di Gianpaolo Guarneri-Studio B12
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commenti
michele de crecchio
6 novembre 2022 18:25
Interessante la spiegazione che il Vescovo propone di quelle che sembrerebbero solo imperfezioni nell'originale tracciamento della planimetria della nostra Cattedrale. Poiché, però, tali imperfezioni sono abbastanza frequenti nell'edilizia medioevale, personalmente ritengo che rimanga interessante anche la tradizionale spiegazione che le attribuisce alla antica credenza che l'angolo retto fosse "opera del demonio" (altri sostengono che tale credenza fosse stata diffusa da maldestri capomastri per giustificare i loro errori di tracciamento!)