21 aprile 2021

L'Archivio di Stato compie 65 anni, cambiati i tempi ma i problemi sono quelli di sempre: spazi ristretti e cronica scarsità di personale

Sono passati sessantacinque anni, sono cambiati i tempi e gli uomini, ma i problemi sono sempre gli stessi. Dove sistemare le migliaia, o meglio i milioni, di documenti che costituiscono la nostra storia? Dove proteggerli dall’inclemenza del passato? E per quanto tempo ancora basteranno quei nove chilometri di scaffalature dove sono depositati? E poi, con quale personale, visto che in servizio sono rimasti solo in tre, compresa la direttrice Valeria Leoni? Ha solo 65 anni l’Archivio di Stato di Cremona ma ne contiene mille. Quella dell’Archivio di Stato è d’altronde anche una storia di contrattempi e di traslochi, di impiegati un po’ diversi dalla norma, così come sono abituati a trafficare con le antiche carte, di direttori e pionieri, di uscieri tuttofare. Fin dai tempi della sua fondazione. Che non sono poi così lontani. Si era parlato della costituzione di un Archivio di Stato già nel 1947, quando si pensava di aggregare l’archivio Albertoni, l’archivio storico e l’archivio segreto del Comune alla Biblioteca governativa che già dal 1885 aveva ricevuto in deposito la Libreria Civica. La proposta era venuta dall’assessore Dante Bernamonti, ma non venne accolta perchè molti consiglieri ritenevano che fosse compito del comune provvedere alla conservazione dei propri documenti. In un summit tenuto in Prefettura, però, si prese atto della necessità di costituire al più presto anche a Cremona una sezione di archivio di stato. Bisognò aspettare però altri nove anni prima che si trovasse una sede consona nei locali degli ex bagni pubblici di via Palestro, con circa 3400 metri lineari di scaffalature e una stanza blindata per collocarvi l’archivio segreto del Comune. 

Tutto era pronto. C’era anche il direttore, dapprima individuato nella dirigente dell’archivio storico comunale e poi nella persona di William Montorsi, allora direttore dell’Archivio di Stato di Reggio Emilia. Ma la commissione conservatrice si oppose al concentramento degli archivi comunali in un’unica sede, adducendo il motivo che la scaffalatura predisposta dall’Amministrazione provincia- le, ma mai completata per le pressioni dei consiglieri ed amici della ex direttrice, fosse insufficiente, il personale inadeguato, i locali inadatti e via dicendo. 

Tra gli oppositori due nomi illustri della cultura cremonese, il marchese Agostino Cavalcabò e il professor Ugo Gualazzini. Ma questo non bastò. E seppure con il voto contrario di Calatroni e le astensioni di Antonioli, Bettinelli e D’Alessandro, il Comune decise di depositare l’archivio presso i nuovi uffici. Su una cosa gli oppositori, forse, avevano ragione. Il problema del personale era uno dei più urgenti da risolvere. Il primo Archivio di Stato di Cremona funzionava con un direttore, William Montorsi, ed un usciere, Antonio Mezzoprete, invalido per cause di servizio, che proveniva dai ranghi della Pubblica Sicurezza. Il direttore era riuscito ad avere in missione Gilberto Carra, da Mantova, che tuttavia si era rifiutato di venire a Cremona, ed era stato sostituito da Sergio Fanti il 15 dicembre 1958. 

Proprio in quell’anno vennero versate all’Archivio le liste di leva ed il materiale del Distretto militare e l’archivio notarile. L’anno dopo seguirono l’archivio della Prefettura, l’archivio segreto del Comune, l’archivio storico. Nel 1960 avviene il primo avvicendamento: Montorsi lascia per Piero Castignoli, con l’aiuto per la contabilità del ragionier Schillaci della Prefettura, mentre iniziano le trattative per avere in deposito anche l’archivio storico degli Istituti Ospedalieri. Manca sempre un direttore stabile e l’usciere non può sopperire a tutto. A questo si aggiunge che i locali negli ex bagni pubblici sono ormai inadeguati, al punto da dover rifiutare l’acquisizione dell’Archivio dell’Ufficio delle Imposte dirette di Crema, e dai muri trasuda l’umidità. Ma il Comune e la Provincia non sembrano raccogliere le istanze di Tirelli, che attribuisce questa indifferenza ad un mai sopito rancore. Tanto che ancora nel 1962 giungono all’Archivio solo 45 pezzi contro i 2264 dell’anno precedente. Sembra che il presidente della Provincia Ghisalberti sia propenso a soddisfare le richieste dell’Istituto, ma subentra una grave infermità e un rimaneggiamento della giunta che bloccano tutto quanto. L’attività archivistica rischia il blocco: languono le acquisizioni ed i lavori archivistici, restano stazionari i dati di affluenza, aumentano solo i danni recati dall’umidità eccessiva dei locali ed il lavoro per l’usciere Mezzoprete, promosso al rango di aiuto operatore fotografo ed affiancato da un nuovo usciere, Pietro Bolzoni. Nel frattempo comincia ad affacciarsi l’ipotesi di un trasferimento a palazzo Soldi, acquistato dalla Provincia nell’ottobre 1963, di cui, però non se ne farà nulla. Nel marzo del 1967 avviene la svolta. La dottoressa Maria Luisa Corsi è comandata a Cremona per tre giorni alla settimana dall’Archivio di Stato di Pavia. Dal 10 maggio diventerà effettivamente il primo direttore dell’Archivio di Stato dove rimarrà 34 anni, inaugurando una vera e propria “era”. Ma che dire anche del nostro usciere Mezzoprete, che per i primi dieci anni è stato la vera colonna portante dell’istituto? A lui Roberto Navarrini, segretario dell'Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova, propose di dedicare una targa di riconoscimento per l’abnegazione “nel conservare le memorie della città di Cremona”. 

Solo nel 1979 l’Archivio ha potuto avere la sua attuale sede nell’ex Istituto Manini di via Antica Porta Tintoria. Ed oggi? “Stiamo cercando di razionalizzare l’esistente - spiega la direttrice Valeria Leoni - Si è particolarmente acuito il problema del personale, dovuto a pensionamenti ed alla contemporanea emergenza sanitaria che sta rallentando le procedure, ma speriamo di risolverlo al più presto. I nostri servizi sono comunque rimasti aperti dal 4 dicembre e molte ricerche si fanno online, tuttavia gli studiosi non mancano. Anche i versamenti di materiale sono in stand by, ma speriamo di riprendere ad emergenza terminata”.

Fabrizio Loffi


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