13 marzo 2025

Marino Cannata e Marisa Fiorani al Torriani, due testimonianze delle vittime della mafia. Il 21 marzo la manifestazione con la marcia di 700 studenti

Quando Marino Cannata racconta della bomba esplosa di notte, sotto casa sua, quando aveva dodici anni, nell'aula Magna dell'IIS Torriani il silenzio è un abbraccio di duecento studenti che si immaginano il corpo del padre dilaniato nell'abbraccio della madre. E quando Marisa Fiorani spiega che sua figlia è stata prelevata da casa, portata in un bosco e lapidata, il silenzio si fa di nuovo eloquente e solidale.
 
Questo significa organizzare gli incontri di testimonianza dei 100 passi che accompagnano le scuole aderenti alla rete del Cpl Cremona (scuola capofila Torriani) alla manifestazione del 21 marzo in ricordo delle vittime innocenti di mafia. "Saranno in marcia 700 studenti - ha spiegato la ds Simona Piperno -. Un evento bellissimo e complesso per cui dobbiamo ringraziare tutti gli studenti, tutti i docenti delle scuole aderenti, Libera e il Cpl".
 
La storia di Marino Cannata attraversa gli anni Settanta nella piana di Gioia Tauro in Calabria. I Cannata, infaticabili lavoratori che hanno sudato il successo dell'impresa agricola di famiglia che dà lavoro a settanta persone, danno fastidio. La 'ndrangheta li minaccia, chiede soldi con lettere minatorie, di notte taglia le piante di ulivi e limoni della loro proprietà. Loro resistono, proteggono i figli, denunciano, ma il 16 aprile del 1972 a Polistena scoppiano due bombe, una destinata ai proprietari di un bar che non si sono piegati alle intimidazioni e una alla famiglia Cannata.
 
La storia di Marisa Fiorani è quella di una mamma che, uscita da un matrimonio violento, da sola deve crescere le figlie; una di queste, Marcella, come molti suoi coetanei all'epoca cade nella tossicodipendenza e per questo viene espulsa dalla scuola superiore che frequentava a Brindisi. È l'inizio di una storia di grande sofferenza per Marcella, per la madre e per le sorelle. Ma è anche una storia di grande bellezza per il coraggio che la ventenne Marcella dimostra quando decide di denunciare la cupola mafiosa dietro lo spaccio. "Ho paura di tutto -scrive nel suo diario- c'è un muro da abbattere e sono troppo fragile". E invece ce la farà. Come afferma il magistrato Santacaterina "se nel 1990 si è potuto celebrare il maxi processo contro la sacra corona unita pugliese, lo dobbiamo a Marcella e al suo sacrificio".


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