13 gennaio 2025

Solarolo Monasterolo, poche case oggi, una grande storia passata: tra misteriosi cunicoli e antiche cascine e castelli, la storia del borgo sulle rive del Po

 

Una bomboniera densa di storia, con un fascino tutto particolare: quello di un villaggio di fiume che si assomiglia ad un presepio, con cascine e strutture plurisecolari che, fin da un primo sguardo, lasciano intravedere un passato importante. Che, nel caso di Solarolo Monasterolo, è fatto anche di misteri e leggende che si intersecano con la storia stessa e rendono il borgo meritevole, più che mai, di essere conosciuto anche nella sua stessa essenza. Qui le storie riguardano antichi, misteriosi cunicoli, spettrali presenze, pozzi dei tagli e, forse, addirittura sortilegi legati ad una vecchia chiesa scomparsa da mezzo secolo.  

Solarolo Monasterolo, la cui stessa denominazione è curiosa e rimanda a strutture del passato, ha una storia molto avvincente che risale al Medioevo, con una serie di cascine disposte a quadrilatero attorno al remoto monastero che fu dell’ordine degli Umiliati (da tempo soppresso), l’attuale ostello. La più antica è la Cascina Rangone costruita nel XIII secolo  sorta quando i Rangoni di Modena  si accamparono lungo le rive del Po in attesa di incontrarsi nientemeno che con Federico Barbarossa. Solarolo, nei tempi, ebbe la fortuna di non incappare in eventi bellici di rilievo. Da un documento datato 3 luglio 1301 al comando del condottiero cremonese Filiberto Ronconi erano affidati militari dediti alle armi di parecchi villaggi della zona, fra cui quello di Solarolo.  Una sola volta, sul finire del XVI secolo la borgata dovette  subire i saccheggi da un gruppo di Lanzichenecchi che, comunque, non fecero alcun male alle persone.

C’è poi il “Curgnac”, la cascina Maggi Stanga che richiama ovviamente l’attenzione per il suo imponente e svettante portale reso ancora più elevato dal lungo pinnacolo che parte dalla sommità del timpano curvilineo che lo sovrasta. Fino a metà Settecento la cascina appartenne alla famiglia Maggi, passò poi in proprietà al marchese Vallardi e poi ai Silva e infine, nei primi anni del Novecento, passo di proprietà della famiglia Stanga. Il complesso viene chiamato anche Villa Bertini oppure Villa del Corgnacco, ma anche il Corvo tout-court. Denominazione, quest’ultima, dovuta alla presenza sul fastigio del portale  di un corvo in rame di ragguardevoli dimensioni. Una opera notevole divenuta, in pratica, il simbolo di Solarolo.

Imponente è la cascina Castellazzo, che sorge laddove esisteva un castello  che certamente era presente già nel 1711, come dimostrato da una iscrizione individuata su un pilastro dall’attuale proprietario Alessandro Balestrieri. Castello che apparteneva ad un Conte di Parma.  Nel tempo ha subito diversi rimaneggiamenti e molte tracce medioevali sono state cancellate prima della seconda guerra mondiale. Studi ed  approfondimenti effettuati hanno permesso di determinare che la casa, come parte della vecchia cascina, risalgono all’inizio del Settecento, ma gli interventi di ristrutturazione effettuati negli anni hanno permesso anche di determinare che vi sono parti molto più antiche.  Nel corso delle varie opere realizzate sono emersi anche probabili cunicoli, ma da dove partissero e dove terminassero non è noto. Pare comunque che arrivassero fino a Dosso dè Frati all’altezza della chiesa di Santa Rita.  Una persona che vi viveva in passato riferì anche di aver scorto più volte, scendendo nei sotterranei  (caratterizzati da archi a tutto sesto) sagome di frati fantasmi mentre è certo che un  affittuario del passato oltrepassasse regolarmente il Po per andare a pagare l’affitto dal proprietario a Parma. Lo faceva, molto probabilmente, utilizzando l’antico porticciolo sul Po di cui si trova traccia evidente nel Catasto Teresiano del 1723 (e nello stesso Catasto sono riportati ed indicati anche tutti i vari terreni con i nomi dei possidenti ed i loro valori).  

Tradizione vuole che vi sia una fitta rete di cunicoli sotterranei che collegano il monastero  alle cascine citate e che arrivavano fino alla chiesa dell’Assunta posta lungo il Navarolo, poi sconsacrata e infine abbattuta. Chiesa di cui non resta alcuna traccia, comunemente definita “Navèra”, eretta intorno al XVI secolo in onore della Vergine in seguito ad un miracolo legato al fiume Po (che all’epoca, come noto, aveva il suo corso più a Nord rispetto a dove scorre oggi), rasa al suolo negli anni settanta del Novecento. Un fatto che, quello del suo abbattimento, seguito da una serie di conseguenze singolari, capaci di far pensare addirittura ad un sortilegio. Infatti sembra  che tutti quelli che si sono occupati della cosa siano poi morti di morte violenta ed inoltre, per alcuni anni, i campi in cui sorgeva la chiesa non avrebbero dato frutto rimanendo completamente privi di fertilità. Anche in questo caso si parla di cunicoli sotterranei, mai ritrovati, che la collegherebbero con la chiesa, tuttora esistente, di Dosso dei Frati, sorta laddove in precedenza si trovava un altro edificio religioso: fatto, questo, confermato anche dalla posizione “sopraelevata” del tempio stesso. Della chiesa di Navèra, per chi desidera approfondirne la conoscenza, si è già scritto qui e se ne parla diffusamente anche nel libro “La fede e l’aratro” di Michela Garatti.

Dell’esistenza di una fitta  rete di cunicoli che collegherebbe, tra loro, i luoghi storici di Solarolo e si spingerebbe fino a Dosso dè Frati ed al luogo in cui si trovava la chiesa di Navèra si è sempre parlato; un tema tornato di attualità anche dopo la storica piena del Po del 2000 quando il peso del camion posteggiati nel piazzale della chiesa parrocchiale causò un cedimento del livello del piazzale stesso, il che fece pensare all’esistenza di locali sotterranei, di cui oggi tuttavia non sembra trovarsi traccia. Ma lavori effettuati, negli scorsi decenni, nelle cascine storiche del villaggio confermerebbero questo particolare storico. Tra le voci di paese, anche quella secondo la quale in passato alcune persone avrebbero provato a percorrere questi cunicoli, senza tuttavia spingersi oltre per il timore di restare senz’aria o di perdersi. Ad aumentare il fascino di questo mistero, anche la presunta presenza del cosiddetto “Pozzo dei tagli” che si aggiunge alla storica leggenda della  “Goosa” .

Altro luogo ricco di storia e di fascino è la chiesa parrocchiale, dedicata ai santi Pietro e Paolo, voluta da Matilde di Canossa per ospitare i pellegrini che transitavano sul Po per arrivare a Roma o in Terra Santa. Ai tempi Solarolo era infatti sede quindi di un presidio di passaggio sul Po. Grazie alle memorie lasciate dai parroci, ed in modo particolare a quelle raccolte da don Mario Ghidoni e valorizzate da Rosella Cernuzzi, si conosce tanto della storia del luogo.

Nel 1685 anche i reggenti del Consorzio S.Omobono (tra cui Nicolao Dusi) riconobbero al canonico titolare della Parrocchia la dotazione dei terreni posti nella località di Gera Stanga e Malcantone. Anticamente le cascine erano chiamate frazioni, quindi la Cascina Gera, la Cascina Stanga, i Livelli Pallavicini e il Malcantone formavano il Comune unitamente a Solarolo Monasterolo. Andando inoltre a rileggersi le carte relative alle visite pastorali emerge che già dal 1675 (visita del vescovo Lodovico Settala in “Solaroli Veteris Monasteri”) esisteva una “DomumParochialem ex Cemeterio” addossata alla chiesa attraverso i locali della sacrestia in alto sud, e la descrizione “Status Domum Parochialem” parla anche di una piccola porta di accesso a sinistra della chiesa che attraverso un piccolo vestbiolo conduceva, da un lato, in sagrestia e dall’altro nell’atrio della casa  con due piccole stanze, e la scala che conduce alle stanze superiori descrive che la casa era dotata di cucina, celle vinarie, fienile, porticati, stalla e pollaio. La visita di Litta del1723 “De domo parochi” fornisce altri particolari sulla casa parrocchiale in buono stato di conservazione, cosa poi ribadita anche nelle visite successive dei vescovi Offredi (1808) e Novasconi (1855). I registri parrocchiali documentano l’attività religiosa a partire dal primo gennaio 1626 col parroco Francesco De Picenardi. La mancanza di una documentazione scritta precedente nell’archivio parrocchiale può avere due spiegazioni: la prima è che solo dopo il Concilio di Trento nel 1563 fu fatto obbligo ai parroci di annotare  su appositi  registri i nati ed i morti. La seconda è che dopo la soppressione dell’ordine degli Umiliati il priore del convento, che era anche il parroco, portò probabilmente la documentazione nella casa madre di Sant’Abbondio dove potrebbe essere andata perduta.

Don Antonio Ghidoni, (1868 – 1963) storico parroco che guidò ininterrottamente la comunità rivierasca dal 1913 al 1963 ed era animato da una notevole fede mariana (per questo andava di frequente a Lourdes in pellegrinaggio) fu animato dall’idea di realizzare, in parrocchia, una grotta simile a quella di Lourdes. Fu Paolo Gabelli (1846-1928) a finanziare interamente l’opera. Nel corso dei lavori, avviati nel 1931, si presentarono diversi problemi specie per la realizzazione della volta, tanto che ad opera quasi ultimata questa crollò travolgendo l’operaio Paolo Fanti che, fortunatamente, riportò solo la frattura di una gamba. I lavori ripresero subito e la grotta fu ultimata, ed inaugurata l’11 febbraio (ricorrenza della Beata Vergine di Lourdes) 1932. Coniugato con Elvira Chiappari, Paolo Gabelli era tra l’altro intenzionato a realizzare un ospedale per il ricovero degli anziani del paese, specie quelli poveri; con testamento olografo del 31 ottobre 1923 istituì il Legato Gabelli Chiappari dotando la Congregazione di Carità di Motta Baluffi, legataria, di una parte dei suoi beni, non solo in denaro ma anche il campo Ronco, il campo Dosso e il campo Gerre del Piano ed il campo Bonelli. Purtroppo però, tra aumenti dei prezzi, conseguenze degli eventi bellici e il forte deprezzamento della moneta il progetto non andò mai in porto.

Successivamente, negli anni 1985/86, grazie al ricavato della vendita dei terreni del Legato Gabelli-Chiappari e quelli del Legato Superti si poterono  costruire  sei confortevoli alloggi per gli anziani poveri del paese. Paolo Gabelli, per la cronaca, fu anche sindaco dal 1905 al 1910.  La grotta di Lourdes che tuttora sorge nei pressi della parrocchiale non è comunque stato il primo edificio mariano. Intorno al 1500, come ringraziamento alla Vergine per un miracolo legato al fiume Po, come già anticipato, venne costruita la chiesa di Navèra dedicata a Maria Vergine al confine tra i territori di Dosso dè Frati e Solarolo Monasterolo dove ogni anno, il 25 marzo, giorno dell’Annunciazione si festeggiava la santa Patrona con la processione  lungo le rive del Navarolo e la celebrazione della messa solenne e la “Fera ad la Navera” che si mantenne anche dopo che si smise di celebrare le funzioni religiose.

Per quanto concerne la storia generale del villaggio, in età Napoleonica, dal 1810 al 1816, Solarolo Monasterolo fu già frazione di Motta Baluffi, ma recuperò però l’autonomia con la costituzione del Regno Lombardo Veneto allorquando le fu aggregata Stagno Pallavicino, una striscia di territorio in riva al Po che già Napoleone aveva staccato dal Ducato di Parma. In pratica fece Comune dal XV secolo al 1757. Grazie sia alle ricerche condotte dallo storico locale, il compianto Angelo Galli (scomparso nell’aprile del 2017 ma sempre vivo nella memoria e nel ricordo di tanti), custodite con cura dai familiari, e grazie alle memorie conservate dai parroci, ecco che emerge che  le prime notizie riguardanti il paese  risalgono a quasi mille anni fa, al periodo 1093/1095 con lo storico Guido Lucchini che descrive il territorio di “Solarolo – Veteris Monasterii”. Pur dipendendo dall’imperatore , assogettato ai conti di Brescia insieme ad altre corti regie, tra cui quelle di Sospiro e Sabbioneta in un unico contado che si estendeva tra il Po e l’Oglio.

Avanti il Mille Solarolo Veteris Monasterii era una corte circondata da una grande selva e da terreni acquitrinosi . Le corti erano agglomerati di povere casupole attorno ad un castello (quello dell’attuale cascina Castellazzo?) o nelle vicinanze di “ville” che avevano più l’aspetto di un piccolo fortilizio che di abitazioni. Queste ville esistevano già al tempo dei Longobardi e dei Franchi ed ospitavano i “vassalli” del signore del luogo che vi esercitavano diritti di vita e di morte. Verso la metà del XII secolo, quando Cremona si estese a Comune libero ed autonomo venne inglobato nel Contado di Cremona di cui seguì le sorti fino  ai giorni nostri. Fu soggetto alla dominazione dei  Cavalcabò, di Buoso da Dovara, di Cabrino Fondulo e dei Visconti sino al 1499. Dal 1499 al 1519 fu sotto il dominio veneziano, poi francese; più tardi passò sotto al dominio spagnolo fino al 1712 a cui subentrò il dominio dell’Austria che cessò nel 1859 quando passò a far parte del Regno d’Italia. In età napoleonica, come anticipato, fu già frazione di Motta Baluffi ma poi recuperò l’autonomia con la costituzione del Regno Lombardo Veneto allorquando gli fu aggregata Stagno Pallavicino, una striscia di territorio  con 110 abitanti in riva al Po che Napoleone aveva staccato dal Ducato di Parma .Nello specifico porzioni del Comune di Roccabianca si trovarono in Lombardia perché la maggior forza degli affluenti di sinistra del Po, riforniti dai ghiacciai alpini, aveva prodotto nei secoli la deviazione a sud del Grande fiume senza che i confini statali fossero stati corretti.

A tutt’oggi, come noto, vi sono terreni cremonesi in sponda destra e porzioni emiliane in sponda sinistra. Per ragioni di difesa i rivoluzionari francesi decisero di correggere l’anomalia annettendoli a Solarolo. Nel 1868 il Comune di Solarolo Monasterolo venne definitivamente annesso, con Regio Decreto  del 4 giugno, a quello di Motta Baluffi.  Sulla origine del nome ci sono due versioni: la prima fa riferimento alla grande selva che circondava il luogo abitato e che diede il primo nome alla borgata che dall’originale “Selvarolo”, per naturale logorio o, comunque, modifica del linguaggio si tramutò nell’attuale Solarolo. La seconda versione fa derivare il nome da un terreno elevato posto al sole (”Solatio”) tra i numerosi acquitrini circostanti. Il fatto è ben comprensibile data la vicinanza del Po che durante le piene inondava i terreni della zona (gli argini furono costruiti più tardi). “Monasterolo”, che venne aggiunto per distinguerlo dal vicino Solarolo Paganino (frazione di San Daniele Po), ove restavano ancora riti e costumi paganeggianti è dovuto al monastero costruito intorno al XII secolo dai Padri Umiliati che si esercitarono nell’opera di bonifica attirando attorno al convento contadini o servi della gleba, affamati, non protetti e sfruttati dai padroni. Nel 1563 Solarolo Monasterolo ebbe anche l’onore di ospitare il grande vescovo di Alba e poeta Marco Girolamo Vida che era stato investito della parrocchia di Solarolo verso il 1520 da parte di papa Leone X e, in un suo libro “Hinni de Rebus Domini” parla dei restauri compiuti nella chiesa di Solarolo Monasterolo dedicata a San Paolo ed in sagrestia è ancora conservato un suo pregevole ritratto del XVI secolo di autore ignoto. Fu investito del Beneficio solo per un periodo limitato perché venne appunto eletto vescovo di Alba.  Nell’epoca della Repubblica Cisalpina e del Lombardo Veneto Solarolo Monasterolo fu comune indipendente con 960 abitanti ed un territorio di 19391  pertiche. Sul luogo sorgevano un posto di Finanza per il controllo delle merci nel passaggio del Po ed un Cambio Sussidiario per le pariglie dirigenziali dei carichi statali. Furono sindaci Luigi Quinzani e Andrea Capra.  Da qui passarono anche i volontari tosco emiliani nella seconda guerra di indipendenza e ci fu qualche “scaramuccia” con la retroguardia austriaca che portò alla morte anche di alcune persone, i cui resti vennero raccolti in una urna di cemento nella cappelletta posta nella discesa della chiesa, di cui si è già scritto qui . Cappelletta in cui erano senz’altro stati posti anche i poveri resti degli Umiliati. Aspetto, questo, confermato dal fatto che proprio nell’area adiacente si trovava il vecchio cimitero dei monaci stessi. Cimitero di cui sono riemerse le tracce durante i lavori di realizzazione del salone parrocchiale negli anni Ottanta.

Tornando, un istante, alla chiesa parrocchiale, non passa certo inosservata la alta torre campanaria, totalmente rifatta nel 1847  come non passato inosservate, sulla facciata, le statue bronzee dei santi Pietro e Paolo del Ferraroni ed un mosaico di Gesù Buon Pastore opera del Vezzoni. Internamente, la pala dell’altare maggiore, raffigurante il Battesimo di San Paolo, è opera del pittore Ubert de Lange (1650 circa) sormontato da un affresco del 1614 che rappresenta San Paolo che cade da cavallo. In più, tra la quadreria,  Sant’Antonio da Padova che riceve il Bambino Gesù con ricca cornice; San Francesco che ottiene la grazie del Perdono di Assisi di G.B. Trotti detto il Malosso. C’è anche una Sacra Famiglia di scuola veneta con la Madonna col Bambino e Santi Francescani forse del Massarotti. Anche ad un occhio distratto non sfugge il fatto che molti dei quadri sono “sproporzionati” rispetto alle dimensioni della chiesa. Un fatto, questo, che è presto spiegato. Infatti parecchi di questi quadri provengono dalla  antica basilica cittadina di San Domenico, demolita nel 1868 per far posto ai giardini pubblici di Cremona.

Quando si giunge in questo piccolo fazzoletto di terra fluviale bisogna stare in silenzio, osservare (cosa sempre ben diversa dal guardare), studiare con gli occhi, con la testa e cogliere ogni dettaglio, prima di cimentarsi tra le pieghe della storia rimasta scritta e narrata. Quella storia raccolta da persone indimenticate come Angelo Galli e don Mario Ghidoni (e, andando più indietro nel tempo da non dimenticare storici come l’Astegiano, il Lucchini e don Angelo Grandi) , custodita e tramandata da Rosella Cernuzzi (“anima” per altro del grande presepio posto all’ombra della chiesa dei santi apostoli Pietro e Paolo), da Alessandro Balestrieri (che con passione minuziosa e intelligenza premurosa si prende cura della sua cascina Castellazzo) e dal sindaco Antonietta Premoli. Ci vuole silenzio, appunto, per vivere e respirare il passato, per ricordare coloro che ci hanno preceduti e ci hanno lasciato le loro testimonianze, per immaginare quella probabile e fitta rete di cunicoli che, chissà, cosa potrebbero celare e poi, dall’argine che difende il villaggio, bisogna scrutare verso l’orizzonte, verso l’infinito e verso quel fiume che è custode silente e tenace delle memorie dell’una e dell’altra riva e, infine,   di ogni cosa che si vive, si impara e si coglie, si deve ricordare di ripetere sempre quel “Grazie” che non è mai di troppo. 

Eremita del Po

 

 

Paolo Panni


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commenti


Lilluccio Bartoli

13 gennaio 2025 11:03

Sull'argine vi è affissa una lapide con epigrafe recitante Solarolo Monastirolo (con la i!) e il curgnàcc è invece un rapace che ghermisce un collega pennuto con l'intenzione di iscriverlo al registro degli ex pennuti; lassù dove è posto è facente funzione della morte cicca. Ho avuto per le mani èl "curgnàcc", abbattuto da un cacciatore che aveva sbagliato target e posso affermare che è piuttosto grande a quanto si suppone sia vedendolo dal basso. Il rapace in questione non so se sia attinto dalla fauna locale, falchetto, poiana, albanella o similia, di certo è un rapace con poderosi artigli, non così possenti come quelli di Montecitorio dove altri predatori sono rapaci di tutto.

Michele de Crecchio

13 gennaio 2025 16:13

Se la memoria non mi inganna, il cosiddetto "curgnac" dovrebbe ricordare lo stemma di una delle famiglie nobili che, in passato, furono proprietarie del complesso edilizio a corte chiusa il cui singolare portale di ingresso è sovrastato da una guglia-obelisco sulla punta del quale era "appollaiata" una statuetta metallica (attualmente sostituita da una copia) riproducente l'immagine di un rapace che stringe tra le sue unghie una piccola preda. Nel merito del bel complesso edilizio, che meriterebbe quanto prima un intervento generale di restauro, esiste un ottimo studio redatto dall'architetto Assandri, attualmente tecnico comunale a Piadena.