21 ottobre 2022

Toni Capuozzo ha raccontato gli orrori della guerra, ricordando il sacrificio di Fabio Moreni: "Un seme di bene"

Mercoledì sera il famoso giornalista e inviato Toni Capuozzo è stato ospite a Cremona per presentare il suo ultimo libro, “Balcania”, che ripropone i suoi reportage realizzati durante i dieci anni di conflitto nell’Ex Jugoslavia. Invitato dal Centro Culturale S. Omobono, il cronista ha ripercorso i tragici fatti di quegli anni: i cecchini, i missili della NATO, i bombardamenti su Mostar e Sarajevo, i massacri dei civili. Lo ha fatto portando il ricordo personale, come quando ha raccontato al pubblico presente di un missile sganciato da un aereo dell’Alleanza. Una scheggia partita da quel missile rimbalzò andando a colpire la finestra di un bagno dove una bambina, ignara, stava preparandosi ad andare a letto. Quella bambina morì. “Non riuscii ad andare al suo funerale, provavo vergogna perché quella era una scheggia nostra. Mi sentivo in qualche modo responsabile.”

Fu una guerra difficile da raccontare, fatta di nomi quasi impossibili da pronunciare e dove non si poteva parteggiare a prescindere per l’uno o l’altro. Per me, però, fu un conflitto diverso da quelli che avevo già seguito in Nicaragua, Afghanistan, Libano… perché toccava i miei vicini di casa, toccava gente che potevo immaginare tranquillamente al bar o al cinema come accadeva nel mio paese. Eppure una guerra a poche centinaia di chilometri da noi, con gli aerei che partivano da Aviano e le navi nell’Adriatico, rimase un’incognita per tanti italiani. A parte rari casi non ci furono manifestazioni, non si capiva dove fossero i buoni e dove i cattivi”.

Nel raccontare l’orrore dei conflitti, il noto inviato di Mediaset non ha mancato di evidenziare tutte le similitudini con quanto sta accadendo oggi in Ucraina, dal ruolo non sempre lodevole della stampa a quello incomprensibile della politica. “L’unico che invoca davvero la pace, una voce che grida nel deserto, è il Papa. Tutti gli altri, politici nostrani, Bruxelles per non parlare degli USA, sembra che giochino solo ad alzare la posta e a scansare ogni possibilità di trovare un negoziato. Basti pensare ai referendum indetti da Mosca nelle regioni occupate. Invece di deridere Putin, avrebbero dovuto “fregarlo” dicendogli “bene, facciamo i referendum. Ma alle nostre condizioni: fra sei mesi, facendo votare tutti gli sfollati e con osservatori internazionali sul posto. Invece non è stato fatto nulla. L’ennesima occasione persa”.

Il sacrificio del cremonese Moreni “un seme di bene”

L’invito di Capuozzo è stato quello dell’essere grati del fatto di vivere in un Paese che ripudia la guerra e a non dare per scontata la pace. In questo senso, commovente il passaggio in cui ha ricordato il sacrificio di Fabio Moreni, giovane cremonese ucciso 30 anni fa in Bosnia mentre portava aiuti umanitari e al quale è dedicata la Cascina che ha ospitato la presentazione del libro. “Ha dato la vita per un ultimo gesto di bene. Non voglio essere consolatorio, la guerra è orribile, ma la lezione di Moreni rimane”. E rimane viva anche grazie alla Fondazione Moreni che ancora oggi invia ogni mese convogli pieni di aiuti sia in Bosnia sia in Ucraina e che in cascina ospita, tra le altre, la bellissima realtà della cooperativa Ecocompany impegnata nell’accompagnare ragazzi con disabilità psico-fisica in un percorso educativo e formativo anche in ambito professionale.

Per tutti i cremonesi che stanno leggendo, forse vale la pena ricordare allora cosa accadde a Fabio Moreni. 

L’assassinio di Moreni e una lezione che rimane

 E’ un pomeriggio dal tempo incerto, quello che il 29 maggio 1993 vede un convoglio di aiuti della Caritas bresciana impegnato a percorrere la strada di Gornjim Vakuf per portare aiuti umanitari agli abitanti della cittadina bosniaca di Zavidovići, da settimane sotto assedio. Partita da Spalato, la carovana conta un camion della Croce Rossa su cui viaggiano Fabio Moreni e l’amico Sergio Lana, mentre su un fuoristrada contrassegnato con le scritte “Press” e “Caritas” viaggiano invece Agostino Zanotti, Guido Puletti e Christian Penocchio. A bordo ci sono medicine, indumenti, cibo, denaro,  documenti per far evacuare donne e bambini e i permessi garantiti dall’ONU, dalle autorità musulmane e croate per poter operare nell’area.

Non è la prima volta che viaggiano in quelle zone, lo fanno con regolarità e cercando di avere tutte le attenzioni del caso. Non sarà sufficiente. I guerriglieri di una milizia bosniaco-musulmana, guidata da comandante “Paraga”, Hanefjia Prijć, assalta i convogli dirottandoli verso le montagne. Come raccontano le cronache uscite sui giornali nelle settimane successive, i cinque vengono sequestrati e portati in una miniera abbandonata nei boschi di Gornji Vakuf. Sono quasi le sette di sera, non c’è ancora buio. I primi ad essere uccisi sono proprio Fabio e Guido. Gli altri tre provano a scappare, ma solo Zanotti e Penocchio riusciranno a salvarsi. Lana, ferito, prova a buttarsi in un burrone ma viene freddato dopo pochi minuti. Solo grazie ai due sopravvissuti, tratti in salvi poche ore dopo, è stato possibile ricostruire le responsabilità di quanto avvenuto (sebbene permangano punti mai del tutto chiariti).

Nel 2002 il comandante Paraga è stato condannato con sentenza definitiva dalla Corte Suprema della Federazione di Bosnia Erzegovina a tredici anni di carcere per “crimini di guerra contro la popolazione civile”. Arrestato in Germania ed estradato in Italia, è stato recluso nel carcere di Brescia. E’ tornato in libertà nel 2018.

Nel 1997 il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha consegnato alle famiglie di Fabio, Guido e Sergio il Premio per la Pace. Nel 2012 il Giardino dei Giusti del Mondo di Padova ha dedicato ai tre giovani un albero. Il 17 maggio 2013 è stata posta una lapide in memoria dei tre ragazzi a Gornji Vakuf.

 

Maria Acqua Simi


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