Una ventata d'aria "classica" a Cremona: De Maria e i fiati di Santa Cecilia ammaliano i cremonesi con un programma inconsueto
In un momento in cui la nostra città soffre a causa di un inquinamento devastante e di una qualità dell’aria pessima è significativo ritrovarsi nel nostro teatro e respirare insieme a musicisti che sublimano questo elemento nella più intangibile delle arti, quasi a volerlo purificare dalle torbidezze a cui siamo ormai ingiustamente abituati.
La scorsa serata il gruppo formato da Pietro De Maria (pianoforte), Francesco Di Rosa (oboe), Alessandro Carbonare (clarinetto), Guglielmo Pellarin (corno) e Andrea Zucco (fagotto) ha offerto al pubblico un programma che ha messo in luce alcune delle molteplici sfaccettature della musica dei Maestri della Prima Scuola di Vienna, Haydn, Mozart e Beethoven.
La sonata Hob. XVI: 34 per pianoforte di Franz Joseph Haydn ha aperto la serata in maniera convincente: la forma severa del primo movimento è stata ammorbidita dal tocco genuino di De Maria il quale ne ha cesellato le linee più “spigolose” enfatizzando al contempo i tratti più Sturm und Drang della sospirante melodia principale.
La serena scrittura dell’Adagio ha fatto preludio al brillante Finale dal carattere popolaresco i cui temi sono stati caratterizzati in ogni minimo dettaglio curando abbellimento e fronzoli in maniera quasi gouldinana.
La prima parte si è conclusa con l’esecuzione del quintetto K452 di Mozart, un lavoro maturo dall’organico quasi rivoluzionario. Il pubblico ha potuto subito assaporare le sonorità sontuose e sfavillanti di questo gruppo estremamente coeso. L’equilibrio tra le parti ha fatto trasparire la scrittura quasi sinfonica del pezzo, una sorta di concerto per cinque solisti.
La nobiltà dell’introduzione dell’ampio primo movimento ha subito appassionato gli ascoltatori che sono stati trasportati in una dimensione quasi fiabesca. Le raffinate melodie dell’Allegro si sono susseguite con serenità senza mai scadere nel sentimentalismo. Ogni virtuosismo è stato calibrato e finalizzato esclusivamente alla buona resa della partitura senza alcun gesto retorico. Notevole la scioltezza mostrata nei passi più insidiosi specialmente da parte di Pellarin.
Il secondo movimento, Larghetto, è stato interpretato con grazia e cura della timbrica, la melodia inizialmente esposta dall’oboe si è mano a mano sviluppata passando di strumento in strumento trasfigurandosi e infine spegnendosi riportandoci alla realtà. Un timbro morbido e dai colori soffusi ha pervaso l’intera esecuzione.
Il Finale, brano più giocoso tra quelli finora sentiti, ha dato modo ai musicisti di mostrare il lato più disimpegnato di questa magnifica composizione: ritmi e articolazioni, domande e risposte ed altri espedienti hanno reso l’esecuzione travolgente.
La seconda metà del concerto è stata interamente dedicata a brani di Beethoven, tra cui la blasonatissima sonata Op. 27 n. 2 “Al chiaro di luna”.
Amatissimo sia dal grande pubblico che dagli intenditori, questo pezzo ci ha mostrato una lato più dichiaratamente drammatico e cupo del repertorio classico: la tendenza all’introspezione è stata espressa in vari modi all’interno del programma ma in questa sonata essa è apparsa in una maniera che a noi oggi risulta più famigliare.
L’arco narrativo della composizione è stato esposto con chiarezza, ogni movimento è stato eseguito senza eccessi, con grande padronanza tecnica e compostezza. Le scelte interpretative di De Maria sono state gradevoli senza essere stucchevoli o ridondanti. Ammirevole il tocco perlato emerso soprattutto nel secondo movimento.
Il gruppo si è infine riunito per affrontare l’esecuzione del giovanile quintetto Op. 16 del Titano di Bonn.
In questo brano di ispirazione mozartiana i musicisti hanno esaltato la franchezza delle scelte competitive dell’autore riscontrabili maggiormente nelle melodie incisive e dai ritmi marcati che ancora oggi stupiscono per la loro originalità.
La scrittura estremamente densa della parte pianistica è emersa fin dalle prime note di un’introduzione che ha tirato la curiosità della platea fin dalle prime squillanti note.
Lo sviluppo del primo movimento ha dato una scossa alla serata grazie all’eroicità dei temi e ai passi di bravura che si sono vorticosamente susseguiti. Il dialogo serrato tra gli strumenti ha messo in luce le personalità di tutti e cinque gli esecutori, nonché le peculiarità timbriche di questo inconsueto ensemble.
Il secondo movimento ha convinto per fluidità ed omogeneità del fraseggio sbrogliando l’intricata scrittura beethoveniana. La qualità timbrica dell’oboe di Di Rosa è spiccata nella per la sua grazia eterea. Il Rondò conclusivo ha travolto gli spettatori che hanno potuto deliziarsi con un programma che raramente viene eseguito.
Gli artisti sono stati salutati con ripetuti applausi, bissata una parte del movimento conclusivo del quintetto di Mozart.
Prossimo appuntamento della stagione concertistica del Teatro il 28 marzo alle 20.30 con l’Orchestra della Svizzera Italiana diretta da Michele Mariotti.
fotoservizio di Gianpaolo Guarneri (Fotostudio B12)
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