Villa Verdi. Dallo Stato la proposta di indennizzo per 7 milioni e 609mila euro agli eredi. Due hanno già accettato. Gli altri due, non avendo ricevuto notifiche ufficiali, si riservano la decisione
Solo un giorno dopo la notizia dell’esproprio di Villa Sant’Agata da parte dello Stato e della proposta di indennizzo, quantificata precisamente in 7 milioni 609mila euro,l’avvocato Fabio Mezzadri, erede di Emanuela Carrara Verdi e rappresentante legale della cognata Ludovica, dichiara che, per parte sua e della dottoressa Ludovica Carrara Verdi, l’esproprio e l’indennità proposta dal ministero sono accettati.
Gli altri due eredi, Maria Mercedes e Angiolo Carrara Verdi, al momento, non avendo ricevuto notifiche ufficiali, si riservano la decisione. L’avvocato Mezzadri ha dichiarato al Tg1 che l’obiettivo di restituire Villa Verdi ai tantissimi appassionati di tutto il mondo, riaprendola alle visite dopo il recupero, indispensabile dopo due anni di abbandono, è senz’altro primario e ciò giustifica l’accettazione dell’acquisizione di Villa Sant’Agata e pertinenze al patrimonio dello Stato e dell’indennità proposta.
Una degli eredi, Maria Mercedes Carrara Verdi, non nasconde comunque il suo disappunto, soprattutto nel metodo: "Se non si fosse perso tempo, dopo la messa all’asta della villa, in una sorta di batti e ribatti fra “accantonamenti” milionari, concerti, eventi e altre iniziative per raccogliere fondi, per poi arrivare alla riduzione sostanziale del valore di Villa Verdi, passato dagli iniziali 30 milioni, ai 20 “accantonati”, quindi a 10 e infine a 8 dopo la dichiarazione di voler procedere all’esproprio per “pubblica utilità”, se non si fosse perso tempo non si sarebbe provocato il pesante degrado in cui versano oggi l’edificio, il parco e, lo si vedrà una volta valutato, gli arredi e i documenti contenuti nella villa".
"Da una parte – commenta ancora Carrara Verdi – posso dire che qualcosa di positivo in questa acquisizione d’imperio c’è: era stato programmato un recupero e restauro delle terrazze che, come sempre, sarebbe stato esclusivamente a spese di noi eredi. Ora tutto si ferma per l’ennesima volta. Comunque, registrato il provvedimento, a febbraio dell’anno prossimo lo Stato entrerà nella proprietà di Villa Verdi e potrà iniziare l’iter dei sopralluoghi, delle perizie, dei bandi, degli appalti e, infine, dei lavori di restauro. Quanto durerà tutto questo? Noi, per il bene che vogliamo alla Villa sin da bambini e per l’amore che nutriamo per il Maestro e per ciò che rappresenta, ci auguriamo che Villa Sant’Agata torni al più presto nel posto che le compete, un tesoro a disposizione di tutto il mondo".
Ha accolto positivamente il decreto di acquisizione il presidente del comitato "Verdi, la sua epoca, la sua terra", Giampietro Comolli: "Come Comitato nel cassetto abbiamo messo due sogni: Villa Verdi di Sant’Agata aperta al pubblico come casa storica e reale voluta dal maestro, e non ospite o in affitto per vacanze per ben 51 anni, e l’ex hotel San Marco in centro a Piacenza come luogo direttamente legato ai rapporti con amici piacentini, con il mercato agricolo, con gli spostamenti in treno del maestro verso Milano e Genova. Il decreto dirigenziale a firma del direttore generale Luigi La Rocca è un passaggio ufficiale perché riguarda anche le pertinenze della villa (parco e cantine) ma soprattutto lega la villa ad altri luoghi amati e vissuti dal maestro nella prima gioventù, prima di andare a Milano. Sancisce l’acquisizione definitiva di un bene, la Casa di Verdi (come è stato per Van Gogh o per Wagner), per la conservazione di tutto l’immenso bagaglio culturale, storico, umano legato all’epoca risorgimentale italiana, alla primogenitura piacentina all’Unità d'Italia, ma anche a tutte le opere artistiche musicali verdiane che richiamano la sua terra e la nazione".
Emblematico di quale sia il reale significato di Villa Verdi, è quanto scrisse il maestro Riccardo Muti nell'introduzione a quel meraviglioso volume d’arte uscito nel 2013, dal titolo più che mai attuale: "Viva Villa Verdi": "Sono convinto che la Villa di Sant’Agata andrebbe annoverata tra le opere di Verdi, talmente essa compendia il suo pensiero, il suo modo di essere, di costruire ed organizzare, concresciuta com’è alla vita del suo abitatore e intrecciandovisi in modo inestricabile. Che lo applichi ai suoni o meno in fondo poco cambia, si tratta sempre di comporre, mettere assieme ed edificare. Un’opera la cui elaborazione vissuta giorno dopo giorno lo assorbe per quasi 50 anni (come 50 sono le stanze della villa), dal 1848 fino alla fine, dal termine degli “anni di galera” agli “anni della malinconia” successivi all’ultima fatica artistica, Falstaff. Villa di Sant’Agata ci è giunta miracolosamente intatta (e tale auspichiamo rimanga) e tanto ci dice ancora oggi di lui, che ci si aspetterebbe di vederlo apparire da un momento all’altro. Di questo non possiamo che essere grati alla famiglia Carrara Verdi che con così grande amore e dedizione si è dedicata, nel succedersi delle generazioni, non solo a conservare amorevolmente Sant’Agata, ma a mantenerla viva. Lì respiriamo la stessa aria che lui respirava e siamo circondati dagli stessi oggetti (i mobili, i quadri e le sculture, ma anche la biblioteca che testimonia l’ampia cultura così europea e – soprattutto – un’inesauribile curiosità e vivacità intellettuale, che non si limita alla sfera umanistica ma che travalica nella scienza e nella tecnica, riannodandosi così al Rinascimento: quel motto “Tornate all’antico e sarà un progresso” insospettabilmente si avvera a Sant’Agata) che fungevano da muti testimoni delle sue creazioni, fino al Falstaff (che Verdi aveva concepito come proprio lì ambientato, tra villa e giardino, in una dimensione famigliare-conviviale). Oggi tra quelle solide mura si respira il genius loci, perché nulla vi è di casuale, dall’ultima delle suppellettili fino al paesaggio circostante (paesaggio che si fa musica e musica che si fa paesaggio), il giardino in cui passeggiava, il laghetto in cui amava giocosamente navigare. Verdi ha dato potentemente forma, ha plasmato l’ambiente circostante, la terra così ben messa a frutto, in un perfetto equilibrio tra la tradizione (le radici, la terra) ed innovazione (le novità, il progresso). Il senso della parola economia in Verdi assume un significato ampio come l’estensione dei campi che possedeva, passando dal mondo immateriale dell’arte (in cui nulla deve essere superfluo rispetto a ciò che è essenziale) a quello delle cose, del lavoro. Mondi, entrambi, dove parole dal sapore antico, come alacrità ed anche fatica, hanno un senso pieno. Sono mondi paralleli apparentemente antitetici che operosamente convivono. E così le partiture di Bach, Haydn, Mozart e Beethoven (ma anche Corelli!) convivono con gli altrettanto ordinati registri contabili dove regna incontrastata la “partita doppia”, che pure Goethe elogiava come “una delle più belle invenzioni dello spirito”. Forse è anche questa una delle lezione di Verdi (certo non la principale, ma sicuramente significativa): saper coniugare economia della cultura con economia del territorio (che questa stessa cultura ha espresso) – Cultura e – perché no – coltura, dove lo stesso paesaggio compenetra di sé la musica e la parola e viceversa. Un tutto inscindibile che qui ancora, nella Bassa emiliana miracolosamente permane: sta solo a noi farcene partecipi ed entrare a far operosamente parte del quadro o dell’Opera. Qui dove il paesaggio è come una partitura, con i filari degli alberi e le linee incise dall’aratro sulla terra grassa e fertile. Basta mettersi in ascolto e Verdi è ancora qui, è anche qui".
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