16 ottobre 2022

"Don Camillo e la solitudine di un parroco in riva al Po che ricorda più Cicognara che Brescello". Quelle lettere tra Giovannino Guareschi e don Primo Mazzolari

Nell'archivio di Giovannino Guareschi a Roncole di Busseto, ci sono due lettere di don Primo Mazzolari. Pur su posizioni distanti e con dure polemiche, i due si rispettavano. Soprattutto concordavano sul modo con cui i francesi hanno gestito i film su don Camillo. Il nostro Egidio Bandini scrive del rapporto tra i due grandi padani. 

«Guareschi è in crescente fase d’incredulità circa una possibile convivenza tra cristiani e comunisti. “Candido” ne è la prova settimanale. Lo indispone perfino ogni tentativo di dialogo fra i due mondi. E poi, c’è caduto dentro nel dialogo o in qualche cosa di ben più grave, ed ha lasciato mano libera a Duvivier, sprovveduto di quel calore affettuoso che Guareschi sa mettere in ogni sua cosa. Chi vede Don Camillo sullo schermo, avverte immediatamente la mancanza di interiore certezza: e il Vuoto, che non può non far male, tanto a Duvivier come a Guareschi, viene “ingombrato” dal frastuono dei due personaggi principali e del loro seguito, che non sono i veri inquilini di quel “piccolo mondo” che ho anch’io sotto gli occhi e nel cuore al pari del direttore di “Candido”».

Siamo nel 1953 e a scrivere queste righe, che sembrerebbero venire dalla penna stessa di Giovannino Guareschi, sempre più in contrasto con quelli che chiamava i “cinematografari” di Rizzoli, è uno che ben poco aveva da spartire con lo scrittore della Bassa: don Primo Mazzolari.

Il “parroco d’Italia”, di idee opposte a quelle di Giovannino, si ritrova, in questo articolo dal titolo emblematico “Addio, don Camillo!”, scritto per l’“Eco di Bergamo”  a criticare esattamente come Guareschi, il “tradimento” del messaggio di “Mondo piccolo”, alla vigilia dell’uscita nelle sale del secondo film della serie: “Il ritorno di don Camillo”. Un film che, nonostante le indicazioni di Guareschi, era stato girato quasi tutto negli studi di Cinecittà, con pochi esterni brescellesi e la collocazione dell’esilio del pretone di “Mondo piccolo” a Rocca di Cambio, in Abruzzo, così come si trovano a Fiano Romano e direttamente a Roma le scene del collegio da cui don Camillo fa “evadere” il figlio di Peppone.

Don Mazzolari prosegue: «Non ci mancava che il volto espressivo ma sconveniente di Fernandel per rendere burlesco ogni particolare e ogni parola di don Camillo, che ne esce sfrondato. Non amo i «virgulti prelatizii»: so per mestiere cosa vuol dire fare il parroco di campagna e come se ne esce dopo venti-trent’anni anche nel corpo». I dubbi su Fernandel, Guareschi li aveva espressi chiaramente a Rizzoli, con una lettera del 1951, nella quale sosteneva, con tanto di fotografia dell’attore di profilo, che Fernandel avesse una «faccia da cavallo» e dell’eccesso di comicità di certe scene, anche del primo film, Giovannino si era lamentato spessissimo. Ma leggiamo ancora don Primo: «Il pubblico non va disturbato quando si diverte. Le roi s’amuse. L’episodio della benedizione del fiume poteva “sfondare”. L’ombra di quel Crocifisso che va solo verso il Po (ma il mio fiume non parla nel film, non ha sufficiente presenza!) portato a fatica da un povero prete che l’abbandono sta per inghiottire, è un’ombra tragica, fino a quando, a fianco del legno, Fernandel non sporge il suo muso. Allora l’incanto scompare e la scena diviene quasi banale nella manifestazione di una religiosità orchestrata da un’obbedienza pronta e cieca (quanto Guareschi! Ndr.). La stessa solitudine quando don Camillo lascia il paese e attraversa da solo, valigia e fagotto alla mano, la piazza e le contrade deserte. Fischia il treno: Fernandel si mette a correre, dando l’avvio al farsesco dei due incontri alle due diverse stazioni. Questo il capolavoro di Duvivier. Comunisti e no, gente di Azione Cattolica e no, corrono allo spettacolo e ridono».

Don Mazzolari, che lo stesso Giovannino, dopo il loro unico incontro a Villa Cagnola (Varese) aveva definito «Un prete intelligente», conclude addirittura con un invito a rivedere Guareschi, per ritrovare quella spiritualità, quella fede che Giovannino aveva sparso a piene mani nei racconti di “Mondo piccolo”: «Quei francesi questa volta vi hanno giocato, caro Guareschi. Se è vero che nel lasciare Parigi avete risposto jamais al loro aurevoir, siete stato grande. Il vostro cuore ha ricominciato a battere da buon rivierasco, ed io vi vengo incontro, fino a metà ponte di Casalmaggiore, per darvi la mano. E non penso più, mentre vi stringo la mano, né a Duvivier né a Fernandel: penso a un don Camillo sognato nella solitudine di un presbiterio in riva al Po, che ricorda più Cicognara che Brescello: penso a una testimonianza fatta più di silenzi che di proteste, di preghiere più che di violenze, di attese più che di assalti. La parrocchia è una città senza mura e i suoi pochi resistenti hanno rinunciato alla violenza perché hanno rinunciato al successo senza rinunciare alla vittoria».

Dell’affinità di don Primo con il pretone di Mondo piccolo ha parlato anche papa Francesco che, proprio nel ricordare la figura di don Mazzolari ha ribadito come fossero tre le caratteristiche del ministero, della missione di don Primo, le stesse di don Camillo: il fiume, la cascina e la pianura. Ha detto papa Bergoglio: «Don Mazzolari, parroco a Cicognara e a Bozzolo, non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente, che lo ha plasmato come pastore schietto ed esigente, anzitutto con sé stesso. Lungo il fiume imparava a ricevere ogni giorno il dono della verità e dell’amore, per farsene portatore forte e generoso. […] La cascina, al tempo di don Primo, era una “famiglia di famiglie”, che vivevano insieme in queste fertili campagne, anche soffrendo miserie e ingiustizie, in attesa di un cambiamento, che è poi sfociato nell’esodo verso le città. La cascina, la casa, ci dicono l’idea di Chiesa che guidava don Mazzolari. […] il terzo scenario è quello della vostra grande pianura. Chi ha accolto il “Discorso della montagna” non teme di inoltrarsi, come viandante e testimone, nella pianura che si apre, senza rassicuranti confini. Don Primo ha vissuto da prete povero, non da povero prete.» Quest’ultima frase di papa Francesco descrive come meglio non si potrebbe il pretone di «Mondo piccolo» e, allo stesso modo, un motto di don Mazzolari, sembra uscire dritto dritto da uno dei tanti dialoghi fra don Camillo e l’immancabile Peppone, che mette il sacerdote di fronte all’umanità, incapace di comprendere appieno la grandezza della Provvidenza divina. Diceva don Primo: «Lo stile dell’uomo: con molto fa poco. Lo stile di Dio: con niente fa tutto».

Egidio Bandini


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commenti


Jim Graziano Maglia

16 ottobre 2022 10:49

Grazieee! Articolo emozionante,originale che ho gustato e "bevuto" tutto d'un fiato. Sono rimasto senza parole nel rivedere nella mia mente e cuore due grandissimi titani,Don Mazzolari e Giareschi della Storia e della Cultura Italiana(e non solo) alla luce di una appassionata corrispondenza epistolare..
Senza dimenticare il prezioso commento di Papa Francesco.Un sentito grazie
al bravo Bandini e alltrettanto Dirett.Silla.E mentre scrivo questo mio semplicissimo
commento, azzardo:perché non "tradurre"il tutto per la scena teatrale o videoteatrale..? Grazie mille ancora e buona continuazione con un caro saluto.

Primo Bonesi

18 ottobre 2022 07:57

Certo il commento di Don Primo non poteva essere altro.Leggendo "Mondo piccolo"Si capiscono molte più sfaccettature significative,ma la versione cinematografica doveva mettere lo spettacolo in evidenza.Anche la scelta di Fernandel a me personalmente sembra azzeccata.La spiritualità nel film per chi la vuole cercare c'è.

Franco Ressa

18 ottobre 2022 12:45

Se si dovesse tradurre la Divina Commedia in una lingua estera, cosa resterebbe della potenza di fede ed immaginazione di Dante ? Molto poco. Questo è il difetto di dover trasporre qualcosa da un tipo di espressione all'altra. Io da vecchio guareschiano, che conobbe Giovannino di persona al''età di 13 anni, vidi all'età di 7 anni il film Don Camillo monsignore ma non troppo, e solo dopo qualche anno lessi i libri. Se non c'era il film non avrei apprezzato di più il testo e non sarei andato ad incontrare l'autore.