25 marzo 2021

"La mia odissea con il virus. Tre terapie intensive in tre ospedali" Il medico Francesco Catani racconta. "Pronto ad aiutare a vaccinare"

“Mia moglie mi ha detto: devi promettermi che ce la metterai tutta per tornare a casa il prima possibile. E io gliel'ho promesso”. Francesco Catani, 54 anni, medico di famiglia, sportivo, non fumatore, attento alla dieta, uno dei primi in città a contrarre il coronavirus, è stato di parola: dopo quasi tre mesi nelle terapie intensive di tre ospedali diversi e più di due mesi in una clinica per la riabilitazione, è guarito. "A Cremona mi davano per morto. Sono un miracolato. Ho offerto la mia disponibilità per la campagna di vaccinazione. Ci tengo a fare la mia parte anche in questo". 

La sua odissea comincia l'8 marzo 2020. “Prima avevo un po' di tosse. Quella domenica mi sveglio alle 6 con i brividi. Mi misuro la febbre: 38. Ho capito che c'eravamo perché avevo avuto contatti con pazienti positivi e all'epoca i dispositivi di sicurezza erano carenti”. Il dottor Catani telefona alla moglie, Anna, in quel momento nella loro abitazione di Legnano (Milano). “Mi dice: oh, Franci, che brutta festa della donna mi fai passarePer qualche giorno resto nel mio appartamento di Gadesco con la febbre che va su e giù. A portarmi la spesa ci pensavano i miei colleghi. Il 13 marzo una di loro mi sente tossire e mi impone: da bravo, vieni con me alle Ancelle per una radiografia al torace. La faccio. Il radiologo mi chiama: in passato avrei detto che è tutto a posto, ma con il Covid ti consiglio una Tac. E da lì salta fuori che è polmonite”. Il medico viene ricoverato al Maggiore, non però in reparto, perché tutti i letti sono occupati, ma in astanteria. “Avevo la febbre sempre molto alta”. Finalmente si libera un posto. “Comincio ad accusare qualche problema di saturazione, mi mettono gli occhialini per l'ossigeno e vengo trasferito sotto i tendoni dei Samaritan's. Ma la mia saturazione peggiora decisamente e mi riportano in ospedale”. Si arriva al 26 marzo. “Viene una rianimatrice: purtroppo ti dobbiamo intubare, mi spiega. Le chiedo di telefonare a mia moglie e tra le lacrime ci salutiamo. La dottoressa la tranquillizza: prima di intubarlo, lo addormentiamo e poi lo portiamo giù da me in reparto”. E qui, come la chiama lui, termina “la parte cosciente” del racconto. Inizia quella degli incubi. “Tantissimi”. Uno fra i molti: “Ricordo che ero in un ambiente cupo, carico di angoscia, freddo. Percepivo dentro di me un 'tubo' che mi creava un disagio enorme e chiedevo all'infermiere: Paolo, togli il tubo. Lui trovava sempre le scuse più assurde per non farlo: sei stato cattivo, fuori piove, e così via. Avevo un'arsura micidiale e al risveglio un'infermiera molto gentile mi ha bagnato la bocca con una garza umida. Quella notte mi hanno fatto diversi prelievi e messo vari cateteri: i miei polmoni sono stati un campo di battaglia per tutti i germi immaginabili. I medici dovevano scegliere l'antibiotico più adatto per combattere l'infezione. Ero talmente debole che sollevare un braccio era una fatica infinita. In quelle stesse ore nel letto accanto al mio è deceduta una persona”.

La notte diviene mattino. “Credo fosse la domenica di Pasqua: mi tolgono il tubo e mi mettono il casco. All'inizio la cosa aiuta, ma dopo un po' non ne potevo più. Si avvicina la dottoressa: c'è in linea sua moglie, le vuole parlare? Stai tranquillo, mi dice Anna, io sto bene, i tuoi genitori pure, ti aspettiamo a casa”. Le cose sembrano migliorare. “Finalmente mi levano il casco e lo sostituiscono con un altro tipo di maschera. E' un grosso sollievo, ma poi c'è un peggioramento delle condizioni. Per cui mi intubano un'altra volta”. La crisi si aggrava. “La Tac conferma il sospetto: ho un'embolia polmonare. Questo secondo periodo dura fino a quando vengo trasferito al Niguarda di Milano (un viaggio infinito durato 7 ore) perché a Cremona non ci sono le apparecchiature in grado di garantire la mia sopravvivenza mentre là hanno un macchinario particolare a cui devo la mia salvezza. Quel macchinario era davvero l'unica chance per me. A Milano sono rimasto dai primi di aprile al 19 maggio, sempre in terapia intensiva. Mi estubano e mi praticano la tracheotomia, meno invasiva. Dopo qualche tempo, una dottoressa si inginocchia al mio capezzale facendo un discorso che mi ha commosso e dato molta forza: adesso ti sembra di affogare nelle tue secrezioni, sei devastato dalla tosse ma piano piano vedrai che guarirai, sarà un processo lento ma ce la farai. E magari tornerai a nuotare”.

Realtà e delirio continuano a mescolarsi. “Nei cameroni pativo un freddo micidiale. Vedevo che alcuni infermieri vestivano delle protezioni diverse dagli altri e pensavo che facessero degli esperimenti e avessero bisogno di un ambiente con temperature bassissime”. Il medico lascia il Niguarda e viene ricoverato, sempre in terapia intensiva, all'ospedale di Legnano, dove gli tolgono le cannule della tracheotomia. Il 3 giugno, le dimissioni e il trasferimento nella casa di cura Le Terrazze di Cunardo (Varese), sul lago Maggiore. Inizia un'altra fase, quella della riabilitazione e della rinascita. “Avevo perso 20 chili , non mi muovevo, ero sempre allettato. Appena arrivato, il pneumologo, un tipo fantastico e umano, mi fa: a te ti sistemo io! I primi esercizi consistono nel sedermi a bordo letto e alzarmi, seduto e alzato, seduto e alzato. Un esercizio faticosissimo all'inizio, ripetuto come un mantra, ma poco alla volta la bravura e la tenacia delle mie fisioterapiste mi rimettono in piedi: comincio a vedere l'uscita dal tunnel”.

Il dottor Catani è tornato al lavoro, due giorni alla settimana, da metà dicembre e presto riprenderà a pieno ritmo. Al rientro nel suo ambulatorio di via Bonomelli ha trovato lo striscione 'Bentornato' e i palloncini colorati. “L'accoglienza dei miei colleghi e dei miei pazienti mi ha commosso, molti di loro sono scoppiati a piangere, altri hanno detto di aver pregato per me. Durante la malattia, in qualsiasi ospedale sia stato, ho conosciuto persone capaci e competenti che mi hanno aiutato tanto: a loro va la mia profonda gratitudine e desidero dedicare un ringraziamento particolare. Ho rischiato di non farcela, a Cremona mi davano per morto. Sono convinto di essere un miracolato, anche per come ho ricominciato: sto bene, praticamente non ho quasi più strascichi, riesco a fare tutto quello che facevo prima”. Dal suo calvario un messaggio: “Vacciniamoci! Ed usiamo correttamente le mascherine, coprendo naso e bocca. I negazionisti sono persone che non hanno avuto l'esperienza del virus, la realtà che ho vissuto io è ben diversa. Darò la mia disponibilità per vaccinare in Fiera. Il nostro compito è curare: se ci tiriamo indietro nel momento del bisogno, che medici siamo?”.


(nella foto il dottor Catani nel suo studio di via Bonomelli e all'uscita dall'ospedale con la moglie Anna)

Gilberto Bazoli


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commenti


Ornella Righelli

31 marzo 2021 09:04

I no wax si rendono conto che se verranno colpiti dal Covid se la passeranno forse p