150 anni fa nasceva a Fidenza l'attrice Emma Gramatica. I suoi legami con Cremona: le recite al Politeama con D'Annunzio in platea. Fu nella compagnia di Luigi Carini
Nasceva 150 anni fa l’attrice Emma Gramatica, attrice e sceneggiatrice figlia di Domenico Gramatica e Cristina Bradil, rispettivamente sceneggiatore e sarta di Eleonora Duse. Un ricordo doveroso visti i suoi legami con Cremona.
Nel 1906 fu memorabile protagonista al teatro Politeama Verdi quando venne rappresentata la tragedia “La città morta” del grande poeta Gabriele D’Annunzio. Tra il pubblico, quella sera, era presente anche lo stesso D’Annunzio, alla sua prima “apparizione” a Cremona; la seconda fu nel 1937 ad ormai pochi mesi dalla morte che lo colse, improvvisamente, per emorragia cerebrale. il primo marzo 1938 al Vittoriale alla presenza della sua fedele domestica Fulvia Tenchini, cremonese di Volongo, che ebbe anche il compito di vestire il corpo ormai inanimato del celeberrimo poeta. Emma Gramatica nacque, col nome di Aida Laura Argia, il 25 ottobre 1874 a Fidenza, e morì a Roma l’8 novembre 1965 ed ebbe due sorelle, Irma e Anna, anche loro celebri attrici. Insieme ad Irma, tra le altre cose, lavoro anche con l’attore e capocomico cremonese Luigi Carini. Debuttò in teatro ancora adolescente accanto ad Eleonora Duse nella Gioconda di Gabriele D'Annunzio (1891). Il suo nome figurava già in programmi teatrali del 1884-1885. Meno favorita della sorella Irma nei mezzi fisici e vocali, la sua passione per il teatro si urtò contro i consigli di esperti anche insigni (tra cui la stessa Duse e Talli), che la dissuadevano dall’arte. Ma, animata da una volontà e da una intelligenza, cui presto soccorse una cultura notevole tra gli attori del tempo (anche per essere un’eroica autodidatta), la Gramatica si ostinò nella sua battaglia, vincendola faticosamente ma definitivamente. Bambina ancora, fu con la sorella al seguito della Duse nelle sue peregrinazioni artistiche in Italia e all’estero (Russia e America), producendosi a lungo come comparsa e coltivando, alla scuola della grande attrice, quelle doti che poi fecero anche di lei una regina del teatro di prosa. Per un anno stette nella compagnia Pietriboni e, passata in quella dell’Aleotti, si recò ancora in America con la sorella, scritturata prima attrice giovane. Ripresa al rientro a Bologna dalla Duse, la seguì in Germania, Spagna, Austria e Russia, sostenendo parti di secondo piano. Rimase due anni con la Duse e fu anche a Londra, dove si fermò per proprio conto visitando musei e studiando Spencer. Visitò poi da sola, per perfezionarsi nello studio delle lingue, l’Olanda, la Germania e il Tirolo. In seguito fece parte della compagnia Rosaspina-Montrezza come prima attrice giovane e, scioltasi questa, passò nella compagnia sociale diretta da Luigi Biagi. Tornata alla Duse, prese parte a un giro artistico in Norvegia, dedita al lavoro e allo studio di Voltaire. Rientrata in Italia, fu scritturata nella compagnia Reinach-Talli. Per la quarta volta ritornò alla Duse, con la quale si recò nell’America del Nord, quindi, rimessasi da una grave malattia, prese il posto della Mazzocca nella compagnia Andò-Leigheb-Reiter, interpretando le parti delle prima attrice giovane ne La lupa del Verga, nella Mamma del Praga e ne La seconda moglie del Pinero. Per un anno si produsse con Novelli e fu di nuovo in America. In seguito, scritturata nella compagnia Andò-Tina Di Lorenzo, sostenne con successo le parti di Elena nella Caterina di Lavedan, di Nora ne La sorella maggiore del Lemaître e procurò applausi a I figli d’Ercole del Pilotto. Scritturata nel 1899 da Ermete Zacconi come prima donna, rimase con questi due anni, cogliendo consensi di pubblico e di critica ne Le anime solitarie, Il vetturale, Henschel, Il nuovo idolo, in Bartel Thuraser, Zelinda e Lindoro di Carlo Goldoni e in Gloria e Gioconda di D’Annunzio. Sempre come primadonna passò nelle compagnie Alfredo De Santis e Andò, quindi formò compagnia con Leo Orlandini e Fabbri (1903). Successivamente, per un triennio (1906-1909), stette con Ruggero Ruggeri e infine, nel 1909, divenne capocomica e direttrice di una propria compagnia. Attrice colta e intelligente, di predilezioni romantiche, divulgò in Italia le opere maggiori di molti drammaturghi nordici, tra cui, principali, Ibsen (Casa di bambole, Gian Gabriele Borkman, Rosmersholm, Hedda Gabler), G.B. Shaw (Pigmalione, La professione della signora Warren, Cesare e Cleopatra, Non si sa mai, Santa Giovanna, Candida), Enrico Bataille, suo autore prediletto (Falena, Risurrezione, La vergine folle, Sogno d’una notte d’amore, Poliche), Barrie (Le medaglie della vecchia signora, L’età delle attrici, La moglie che lo sa) e Wolff (La bomba, Rigagnolo). Celebri furono le sue interpretazioni di Anna Peters di Jennsen, La sorridente signora Beudet di Amiel, La signora Suinter di Schonerr, Amare di P. Géraldy, La bimba sciocca di Lope de Vega, Anfissa di L. Andrejeff, Menzogne di Vinnicenko, La samaritana di Rostand, Fedra di Racine, Il passato di Portoriche, Piccola amica di Brieux, Rosa Bernd di Hauptmann, Cena d’addio di Schnitzler, La volpe azzurra di F. Herzeg, Teresa Raquin di Zola e La via lunga di Bernstein. Tra gli autori italiani quello che si avvicinò forse più all’arte della Gramatica fu Cesare Vico Ludovici, del quale ella interpretò le opere migliori (La donna di nessuno, Tobia e la mosca, Isa, dove vai?), ma anche D’Annunzio ne La citta morta, G.C. Viola in Quella, Canadà e Il giro del mondo, Pirandello in Ma non è una cosa seria, Beltramelli ne Le vie del Signore, Rino Alessi ne La gatta, G.A. Traversi in Carità mondana, S. Gotta ne La damigella di Bard ebbero in lei un’interprete di squisita sensibilità e non comune valore. Particolarità dell’arte della Gramatica fu quella di rendere sulla scena, con molta semplicità, i caratteri più complessi, lasciando nelle interpretazioni il segno di una vivida intelligenza. Più che in creature energiche e volitive, si trovò a suo agio nell’esprimere i sentimenti e le inquietudini delle protagoniste delle tragedie in sordina, perché la sua arte fu assai delicata nel trarre la grazia dal rude e dallo sgraziato e significato dall’insignificante: arte profondamente umana, che seppe dare calore e colore alla vita anche più grigia con accento toccante che penetrava e commuoveva. In questo, principalmente, sta la ragione del successo che mai l’abbandonò nelle sue interpretazioni così sentite, sorrette in lei da grande dolcezza, precisa dizione ed eleganza innata degli atteggiamenti. Dopo aver recitato sulle principali scene d’Europa e d’America in quattro lingue, sospese l’attività dal 1926 al 1928. Nel 1928 si ripresentò con la sorella, in compagnia della quale intraprese un giro artistico nell’America del Nord. Formò poi compagnie proprie, facendosi affiancare da attori come M. Benassi (1931), M. Giorda (1932), C. Ninchi (1935), G. Stival (1939) e N. Pavese (1941). Fu ancora in vari paesi d’Europa e d’America prima di prodursi per due anni (1944-1945) in Italia con A. Geri primattore. Nel 1947, intrapresa una tourneé a Buenos Ayres, vi rimase per due anni, recitandovi in spagnolo. Dall’America del Sud passò in Spagna e infine, nel 1950, tornò in Italia, fomando compagnie più volte e svolgendo intensa attività alla televisione. Artista nobilmente curiosa del più interessante e vario repertorio internazionale, la Gramatica , pure ostinandosi nell’interpretazione di autori non sempre giudicati confacenti al suo temperamento (tutte le sue interpretazioni di Shaw diedero luogo a gravi riserve), pure insistendo in certe sue debolezze per il traversti (Candida, Il Furfantello dell’Ovest di Synge e addirittura Amleto), tuttavia lasciò sempre, in ogni genere, il segno di una vivida intelligenza. Notata, agli inizi, per le sue note romantiche, nella maturità si affermò piuttosto nei tratti di un verismo talvolta crudo e anche ingrato, ma da cui, almeno nei momenti migliori (Casa di bambola, La Sorridente signora Baudet, Le medaglie della vecchia signora, Aimer), seppe trarre accenti di una accorata poesia di caratteri delicatamente intimisti e crepuscolari. Sicché il giudizio della critica le riconobbe un posto di singolare onore, accanto alla sorella Irma, nella scena drammatica italiana. La Gramatica debuttò nel cinema nel 1916 in Quando il canto si spegne, firmando poi la sceneggiatura e la regia, con Piero Ballerini, del remake (1954) di La vecchia signora, intitolato Peppino e la nobile dama. Nel gruppo delle sue prestazioni cinematografiche vanno ricordate Napoli d’altri tempi (1938) di Amleto Palermi, La vedova (1938) di Goffredo Alessandrini, Sissignora (1941) di Poggioli, Miracolo a Milano (1951) di De Sica (dove impersonò in maniera significativa Lolotta, la nonna di Totò), Il segreto di suor Angela (1956) di Leo Joannon, per chiudere poi la carriera con due film di Carmine Gallone, Don Camillo monsignore (1961) e La monaca di Monza (1962). Furono interpretazioni piuttosto di maniera quelle della Gramatica, improntate a un patetismo lacrimoso, con personaggi di sapore ottocentesco, che però piacevano al pubblico, tanto che anche le sue apparizioni in televisione riscossero sempre significativi successi.
Eremita del Po
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