15 gennaio 2022

Al Centro di Solidarietà "Il Ponte", in via Rialto, la carità non è mai andata in quarantena: tantissime le famiglie assistite

Italiana, capelli bianchi, sui 70 anni, vestita normalmente. Entra in punta di piedi, come se avesse timore di disturbare. “Signora, lo vuole il panettone?”, le chiedono oltre il bancone; “Sì”. “Il salame?”; “Se possibile...”. “E i cioccolatini?”; “Ho un po' di diabete, ma va bene”. Poi ringrazia e se ne va. Intanto in strada la coda si è allungata: alla fine della mattinata saranno 63 le persone arrivate per ricevere il cibo distribuito, ogni giovedì dalle 8 alle 11, dal Centro di solidarietà Il Ponte di via Rialto.
 
In questo momento assistiamo 90 famiglie, ma ce ne sono un'altra ventina in lista d'attesa. I pacchi alimentari, preparati il giorno prima, sono messi a disposizione dalla generosità di aziende, associazioni e singoli. Il 60 per cento dei bisognosi sono cremonesi. La crisi economica legata al Covid ha fatto aumentare le richieste”, dice don Alberto Mangili, parroco al Bosco ex Parmigiano, anima del Ponte e prete tuttofare. Le confezioni contengono vari prodotti come pasta e sugo, olio e latte, pane, frutta e brioche, oltre a omogeneizzati per bambini. In aggiunta, giocattoli e mascherine. “Diamo una mano a coppie con 3-4 figli e il padre disoccupato o anziani con la pensione minima. Hanno una dignità, una discrezione ammirevoli. Quasi si vergognano, alcuni di loro si sfogano: ho fatto di tutto nella mia vita, ma adesso mi ritrovo in questa brutta situazione e, se potessi avere un lavoro, non verrei”.
 
Ogni cosa si svolge nel rispetto delle regole, anche per evitare che 'furbetti' approfittino della bontà altrui. “Prima facciamo un colloquio e, con l'Isee, verifichiamo lo stato di effettiva difficoltà. Il nostro criterio è dare stabilità alla solidarietà. Se uno non si presenta, salta anche la consegna del pacco. Dev'esserci impegno da parte nostra, ma anche di chi richiede. L'aiuto è diverso dall'assistenzialismo”. Da qualche tempo, anche qui, c'è una nuova emergenza da fronteggiare: il caro bollette. “Prima le domande di un contributo per pagare le utenze erano sporadiche mentre ora si sono moltiplicate”.
 
In via Rialto non hanno mai chiuso, nemmeno durante il confinamento più duro. Prestano la loro opera quindici volontarie: Silvia Iacchetti (la responsabile), Anna, Nadia, Marina, Eva, Donatella, Rita, Daniela, Chiara, Pina, Patrizia, Grazia, Mariuccia, Nicoletta e Giuliana. Alcune si occupano dei pacchi per i pasti, altre del magazzino, il grande spazio dove si raccolgono gli abiti donati dal buon cuore dei cremonesi. Una montagna di cappotti, giacche, giacconi, camicie, calzoni, maglioni e biancheria. Gli indumenti arrivano dentro sacchi, le volontarie li aprono e ne passano al setaccio il contenuto, capo su capo. Un'operazione certosina, tassello di un'organizzazione perfetta. “Teniamo quelli puliti e in buone condizioni - spiega Silvia -. Li scartiamo se rovinati o sporchi”.
 
Non tutti finiscono al macero: una parte è destinata ai detenuti di Ca' del Ferro. Gli abiti selezionati vengono suddivisi accuratamente per genere (uomo-donna-ragazzo-ragazza), taglia, età. Quelli per i bambini sono riordinati dalla fascia 0-3 mesi in su e sistemati in scatoloni. Ogni collaboratrice del Ponte ha un compito preciso: ad esempio, Nadia, grazie all'abilità delle sue mani da sarta, controlla lenzuola e tovaglie e ripara quelle rotte mentre Donatella pensa alla cernita di scarpe e cinture. Gli indumenti che hanno superato i controlli escono dal magazzino e vengono esposti tra le mura di quello che è il 'cuore' sorprendente di via Rialto, un grande emporio che non ha nulla da invidiare a un vero e proprio negozio. C'è di tutto, anche cravatte, magari con colori e motivi fuori moda ma di seta, e, in un angolo, persino un vestito da sposa.
 
Infine, il materiale viene distribuito a chi ha bisogno: 5-6 capi per adulto e qualcuno in più per i bambini, oltre alla biancheria per la casa. In questo caso si deve fissare un appuntamento, il martedì e il giovedì, dalle 9 alle 12: il colloquio al lungo bancone di legno dura un'ora perché serve più tempo per scegliere i vestiti e viene rinnovato tre volte all'anno, in coincidenza con il cambiare delle stagioni. In un'altra zona del deposito sono stoccati i mobili, regalati anch'essi dai cremonesi e pronti per essere donati ai poveri. “Nel 2021, in un modo o nell'altro, sono state 250 circa le famiglie che hanno chiesto aiuto. Con il Covid c'è stato un aumento del 20 per cento. In maggioranza si tratta di stranieri, ma crescono gli italiani, over 50 in situazioni di disagio cronico, soli e in cerca di un impiego”, spiega Silvia. Daniele attende di essere 'servito': “Sono le volontarie numero uno. Se l'Italia fosse formata da gente come loro, sarebbe un posto migliore”.
 
La mattinata è quasi finita. L'ultima in coda per la consegna del pacco alimentare è un'italiana di 35 anni, separata, due bambini, un lavoro part time che non le basta per pagare tutte le spese del mese. Saluta don Alberto e attraversa la strada con sottobraccio il cibo per lei e i figli. Sulle vetrate del Ponte un cartello, che resiste dal lockdown dell'inverno 2020: “La carità non è in quarantena. Noi ci siamo”.
Gilberto Bazoli


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