Cremonesi in Sardegna: il primo ad arrivare fu l'architetto Rocco Capellino, chiamato da Carlo V per ricostruire le mura di Alghero, Oristano e Cagliari
Sono molti i cremonesi che anche quest’anno trascorreranno le ferie estive in Sardegna. Ma, prima che l’isola diventasse meta turistica tra le più gettonate, un cremonese aveva fatto da apripista già nel XVI secolo, chiamatovi dall’imperatore Carlo V in persona. Un onore riservato a pochi. Oggi il nome di Rocco Capellino forse non dice nulla ai cremonesi, ma è sicuramente più conosciuto dai sardi, visto che il Comune di Cagliari gli ha dedicato anche una via. A questo grande architetto cremonese del Cinquecento, pressochè sconosciuto in patria, si deve infatti la progettazione di tutte le fortificazioni realizzate dagli spagnoli in Sardegna ed anche la prima rappresentazione cartografica dell'isola. Peraltro sono pochissime le notizie degli storici al riguardo. Il primo che ne fa accenno nel 1588 è Ludovico Cavitelli nei suoi Annali, riferendone semplicemente la data di morte, il 27 luglio 1579, e la località, Roma, descrivendolo come "egregius architectus etiam Cremonensis". Più ricco di informazioni è il Vairani, che riferisce di una iscrizione sepolcrale esistente nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo, fattavi apporre dal nipote Giovanni Battista, da cui risulta il particolare rapporto avuto dal nostro con l'imperatore Carlo V e la data di morte, che il Vairani colloca, però, al 27 ottobre 1579. Capellino appartiene alla schiera dei grandi architetti e ingegneri cremonesi che annovera, fra gli altri, il Gadio, i Capra, Janello e Leonardo Torriani, anch’essi alla corte di Carlo V, e i Dattaro.
Negli anni scorsi il Comune di Alghero ha recuperato il cinquecentesco Bastione dello Sperone, costruito negli anni 1563-1572 inserito in una fase particolarmente complessa dei lavori di adeguamento delle difese di Alghero, voluti dalla Corona di Spagna nel XVI secolo ed in particolare da Carlo V, che nel 1552 incaricò dell’impresa l'ingegnere militare Rocco Capellino, originario di Cremona. Capellino, successivamente rimosso dall'incarico nel 1561, continuò ad operare, sotto la direzione di Jacopo Palearo Fratino. Esiste un’interessante relazione di Giorgio Palearo, inviata al sovrano nel 1573, con la rappresentazione grafica della cinta fortificata di Alghero che in giallo ne evidenzia il vecchio circuito, in verde i tratti realizzati dal Capellino e in rosso le soluzioni studiate da Jacopo. Egli propose alcune varianti, non accettate dal sovrano che inviò nell’Isola Jacopo, impegnato nelle fortificazioni di Maiorca, e impose a Giorgio il rispetto di quanto attuato dal Capellino e progettato dal fratello maggiore.
Ma Alghero non è l'unica città in cui il nostro architetto abbia lasciato la sua testimonianza.
All'inizio della seconda metà del XVI sec., durante la dominazione spagnola, l'ingegnere Rocco Capellino fu incaricato di studiare le modifiche delle fortificazioni delle città sarde in virtù delle nuove esigenze belliche. Lo studio messo a punto su Oristano ci è noto da una planimetria redatta dall'ingegnere stesso e datata 1557. In essa si possono individuare oltre alle tre torri poste a protezione degli accessi alla città (Torre di San Cristoforo col relativo ingresso di Porta Ponti, torre di Portixedda col suo attiguo accesso e la torre di San Filippo in prossimità della Porta Mari), anche altre 24 torrette di guardia, delle quali, oggi, ne esiste solo una, presso la via Mazzini.
Anche l'intero sistema di difesa di Cagliari venne modificato in epoca spagnola attraverso la formazione di pareti a scarpa e di mura bastionate a forma pentagonale dal nostro architetto Rocco Capellino, il quale trasformò anche il baluardo di S. Croce, che terminava nei pressi della Torre dell'Elefante, da cui partiva il baluardo di S. Antonio, opera anch'esso del Capellino, che scendeva verso l'attuale via Manno per riunirsi al barbacane del Balice nei pressi della biblioteca universitaria.
Nel 1535 il monarca spagnolo aveva visitato la città rilevando, tra le altre cose, che il baluardo di Pancrazio, risalente al 1503, era ormai una costruzione militarmente superata ed occorreva pertanto sottoporre la fortezza ad un lavoro radicale di potenziamento ed ammodernamento. La preoccupazione del sovrano era determinata dalle nuove artiglierie utilizzate ormai da tutti gli eserciti. Nei lavori, promossi a inizio secolo dal vicerè Juan Dusai con la costruzione di un criticatissimo baluardo, quasi di certo un semplice traversone di muraglia privo persino di cannoniere, nel settore alto del crinale del castello davanti alla torre di San Pancrazio, si erano succeduti vari tecnici catalani e stranieri, ognuno dei quali aveva introdotto modifiche e ampliamenti secondo la propria inclinazione, senza ancora un disegno coerente. Bisogna però attendere la metà del secolo prima che ai baluardi sia destinato un ingegnere, il cremonese Rocco Capellino, non più un semplice tecnico.
Alla fine del 1551 il governatore del capo di Cagliari, Jeronimo de Aragall, aveva denunciato a Carlo V la fragilità del dispositivo di difesa della capitale e delle altre piazze dell’isola: sarebbero serviti quarantamila scudi e l’invio di “un Jngeniero” perchè le difese fossero ben concepite e i denari ben spesi. Perduta in agosto la fortezza ispano-gerosolimitana di Tripoli, divenute pericolose le comunicazioni marittime, la Sardegna risultava in quelle circostanze estremamente vulnerabile. Approvata la proposta del de Aragall l’imperatore nel febbraio 1552 aveva ricevuto una supplica perchè mandasse un ingegnere che potesse terminare i lavori nel più breve tempo possibile. In maggio Capellino, inviato da Milano da Ferdinando Gonzaga, era già impegnato con il de Aragall nell’ispezione delle città della Sardegna settentrionale per poi raggiungere Cagliari. L’ingegnere, in una sua relazione autografa firmata “Rocho Capelin da Cremona” scriverà in seguito di aver trascorso sull’isola ben “venti hani in far fortificar quei lochi per ordine di sua mag.”. In effetti se ne ha conferma da corrispondenze tra la corte e i vicerè che si succedono sin al 1572 nonchè da deliberazioni delle magistrature locali, in particolare del Regio consiglio patrimoniale che lasciano distinguere due periodi nella istanza dell’ingegnere inviato dall’imperatore: una prima tappa di dieci anni dal 1552 al 1561, e una seconda di altri dieci dal 1562 al 1571. Documenti frammentari e talvolta contradditori non lasciano indovinare una cronologia precisa nelle opere cagliaritane dovute a Rocco Capellino. Tre altre fonti contemporanee risultano invece più interessanti per averne un quadro almeno approssimativo, proprio alla vigilia degli interventi del Paleari Fratino: un pianta autografa dello stesso Capellino, che è possibile far risalire al 1552, un disegno delle fortificazioni esistenti e progettate a fine maggio 1573, firmato “Giorgio Palearo Fratino”, rapporti del 1573-1575 al vicerè Juan Coloma barone d’Elda di Giorgio Paleari Fratino e del fratello Giovan Giacomo. Attraverso questi è più facile ricostruire, con una certa verosimiglianza, l’aspetto impresso dal cremonese alle fortificazioni che i Paleari saranno chiamati a modificare. Altre targhe copiate dai cronisti Aleo e Vitale da Scano aiutano a comprendere meglio i lavori avviati da Capellino: una del 1562, andata persa, era incastrata sopra la porta della Marina; la seconda del 1563 sarebbe stata posta e poi rimossa dalla porta del Baluardo di San Pancrazio; la terza, ancora in loco, è posta sotto il bastione di S. Giovanni, ed oggi di S. Croce ed è datata 1568. Sempre secondo l’Aleo sarebbero attribuibili all’architetto cremonese i due nuovi baluardi di S. Antonio e della Carniceria (detto poi del Balice) al posto di quello vecchio dell’Elefante, e di Levante o della Città entrambi volti alla Lapola e la breve cortina muraria intermedia, oltre al complesso della tenaglia di San Pancrazio munito di fossato e controscarpa, il baluardo di Santa Croce e quello della Zecca. Terminato nel 1553 il baluardo di Città, nell’ottobre 1554 Capellino si mette al lavoro verso l’angolo opposto della muraglia del Castello sovrastante la Lapola per realizzare il baluardo S. Antonio. Nel maggio 1558 getta le fondamenta della futura tenaglia di San Pancrazio, che il vicerè spererebbe di veder ultimata a luglio, anche se in realtà vi si lavorava ancora nei primi mesi del 1561 quando il cantiere subisce una prima battuta d’arresto a causa di un’assenza del Capellino per motivi di salute ma anche per le rimostranze dei baroni che vedono nei donativi per la realizzazione delle mura solo un espediente del vicerè Alvaro de Madrigal per mungere denaro al Parlamento sardo. A questo periodo è riferito anche un episodio curioso che ha protagonista il nostro Rocco Capellino. L’urgenza di concludere presto i lavori a Cagliari si era fatta più pressante dopo la distruzione della flotta spagnola avvenuta nello scontro navale contro i turchi svoltosi nel 1560 nel tratto di mare davanti a Djerba: una sconfitta molto grave perchè minacciava direttamente il regno di Sardegna e Sicilia, così da costringere ad inviare in tutta fretta una fregata spagnola a pattugliare la costa tunisina. Mentre si apprestavano frettolosamente le difese in previsione di un attacco turco Capellino, coinvolto nella guerra tra le famiglie cagliaritane degli Arquer e degli Aimerich, venne accusato da alcune famiglie cagliaritane di essersi appropriato insieme al governatore della città del legname proveniente dalla demolizione di alcune case per far posto alle difese militari. In città peraltro si vociferava che l’architetto cremonese, approfittando del suo ruolo, avesse fatto guadagni illeciti. Nonostante non si temesse un’esportazione illecita di legname il re Filippo II volle vederci chiaro e mandò in Sardegna un certo Clavero con funzioni di ispettore ed un architetto militare romano, Alessandro Febo. Il pericolo incombente spinse ad accelerare l’inchiesta ed un decreto reale del 13 agosto 1561 dispose che Capellino, che per qualche tempo aveva abbandonato Cagliari, restituisse il legname
Si acuiscono anche le tensioni già in atto tra il vicerè e il suo ingegnere, come sembra di capire da una lettera scritta dall’arcivescovo nel dicembre 1561 in cui si dice in buona sostanza che il cantiere è ormai fermo da tempo e si suggerisce al Consejo de guerra di calcolare le spese necessarie per far demolire i lavori mal eseguiti. Al suo ritorno in Sardegna vengono invitati altri ingegneri militari sia a Cagliari che nelle altre piazze dell’isola per collaborare col Capellino o sostituirlo nelle sue assenze, ma anche e soprattutto, per controllarlo. Tra questi Giovan Giacomo Paleari Fratino che, dopo una lunga ispezione, stende un nuovo progetto a cui il nostro architetto cremonese si adegua. I lavori proseguono febbrilmente nella seconda metà degli anni Sessanta e quando nel 1572 il Fratino lascia l’isola dopo vent’anni le mura della capitale presentano una configurazione talmente diversa che è necessario dare nuove disposizioni per la dislocazione delle truppe sugli spalti. Tuttavia, quale mese dopo nel gennaio 1573 viene chiamato a Cagliari Giorgio Paleari, fratello di Giovan Giacomo, perchè si ha il timore che le difese realizzate dall’ingegnere cremonese siano ancora insufficienti. Capellino, con ogni probabilità, si era ostinato ancora a far di testa sua, e di conseguenza a Giorgio Paleari viene affidato un nuovo incarico ispettivo che avrebbe dovuto concludersi in teoria in poco tempo, ma che in realtà terrà occupati i due fratelli ancora per anni.
La stessa cinta muraria venne rinforzata fino al 1579 con i possenti bastioni a rivellino, secondo il progetto di Jacopo Palearo Fratino, rimasto quasi immutato, nonostante i rimaneggiamenti di fine Ottocento. Durante l'epoca sabauda l'architetto Felice de Vincenti modificò ancora l'aspetto delle mura della Città attraverso la costruzione di una muraglia che, oltrepassando l'Avanzada allora presente nell'attuale Cammino nuovo, dal bastione della Zecca, conduceva al baluardo del Mulino a vento, verso il Belvedere del Buon Cammino. Nel 1861 Cagliari cessò di essere una piazzaforte e di conseguenza, nel 1886, la maggior parte delle mura - che allora circondavano tutti i quartieri storici cittadini - fu ceduta al Comune che, per recuperare nuovi spazi, iniziò una demolizione sconsiderata delle cinte murarie e delle porte, senza tenere in alcun conto l'importanza della storia cittadina. Il quartiere di Castello, però, data l'evidente difficoltà di intervento nella struttura muraria, finora non ha subito demolizioni o modifiche consistenti, ma ha visto solo la trasformazione dei bastioni meridionali in "belvedere". Nonostante le tribolate vicende della realizzazione della sua cinta muraria al nostro grande architetto cremonese il Comune di Cagliari ha dedicato una via.
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commenti
Michele de Crecchio
19 luglio 2023 21:55
Come si usava dire un tempo, "nemo propheta in patria"!
Mi chiedo (non ne ho sottomano il bel testo) se non ne abbia scritto nemmeno l'ottimo Giobatta Biffi che, in materia di architetti cremonesi esperti di architettura militare, mi è sembrato più informato di altri.