Fiorella Domaneschi scopre sul web dov'è morto ed è sepolto in Germania il fratello della mamma, inghiottito nel nulla nel '43
Da bambina sentiva parlare spesso di quello zio andato in guerra e mai tornato a casa. "Non si sapeva niente di lui se non che era sepolto in Germania”. Il ricordo non l'ha abbandonata per tutta la vita e, ora che bambina non lo è più, si è messa sulle tracce di quel soldato sconosciuto.
E' così che Fiorella Domaneschi, 68 anni, pensionata, ex dipendente dell'amministrazione provinciale di Cremona, ha ricostruito con tenacia e passione gli ultimi momenti di Renato Pasini.
“Ho scoperto che è stato internato nell'ospedale militare di Fullen, dove la tisi non gli ha lasciato scampo”. Ed è sempre così che ha ritrovato una sua lettera spedita alla famiglia dal luogo di detenzione ma mai giunta a destinazione. Poche righe, semplici ma struggenti, scritte cinque mesi prima di morire.
"Mia nonna, Maria Maddalena, aveva due figli e due figlie, ma raccontava spesso del suo primogenito, Renato. Gli voleva molto bene e portava al collo un medaglione, che in seguito le è stato rubato, con la sua immagine”, dice la nipote. Lo zio, nato a Cremona il 22 settembre 1923 e deceduto il 25 maggio 1944, era partito per il fronte nemmeno ventenne. Anche la madre di Fiorella, Luisa, 89 anni, parlava con affetto del fratello inghiottito dal nulla.
Fiorella l'ha conosciuto attraverso le loro parole. “Dicevano che era bello. Ma, quando si è giovani, non si presta molta attenzione a queste cose, che però si sedimentano nel nostro cuore e riaffiorano più forti con il passare del tempo. Mi è sempre rimasto il desiderio di colmare quel vuoto”.
Ha deciso di farlo a gennaio, quando si è seduta al computer e ha cominciato le ricerche. “Pur non essendo un'esperta on line, mi sono imbattuta nell'Albo dell'Imi, sigla che sta per Italiani militari internati. Ho digitato il nome dello zio e sono comparsi, tra la mia sorpresa, alcuni dati, compresa la data della sua morte. Quella esatta, diversa dalla data, sbagliata, riportata sulla lapide, vicina alla chiesa, in onore dei 16 caduti di San Sigismondo”. Lì, come sagrestano, lavorava il nonno, Primo. “Davanti all'altare c'era un'acquasantiera dove le donne del posto avevano l'abitudine di immergere le fotografie dei loro figli che si erano arruolati: se la foto rimaneva a galla, significava che erano vivi; se andava a fondo, non c'erano più speranze. Quella appoggiata da mia nonna è andata giù”.
La nipote non si è accontentata delle prime informazioni ottenute. “Ho scritto all'Archivio di Stato, a cui è stata trasmessa la documentazione del Distretto militare”.
Poco alla volta, il puzzle si è ricomposto. Il soldato, probabilmente un bersagliere, era stato catturato dai tedeschi dopo l'8 marzo e portato nel lager di Fullen, nei pressi di Amburgo, un ospedale militare tristemente noto come 'campo della morte'. Tra le carte recapitate è spuntata la lettera inviata, il 2 dicembre 1943, da Renato alla mamma ma forse trattenuta dal Distretto militare: “Cari genitori, in occasione del Santo Natale, ho avuto la fortuna di scrivere e vi faccio sapere che per il momento sto bene, come spero di tutti voi. Informatevi per il pacco. Tanti saluti e auguri di buon Natale a tutti voi”. Altre cartoline erano invece state consegnate, come quella in cui il soldato dice (con una frase appuntata sotto il bollo sfuggita alla censura) che a Fullen si mangiavano le bucce delle patate, ma sono andate perdute. Come pure alcune foto.
Un compagno di prigionia dell'italiano ha descritto così la vita dietro il filo spinato: “I pazienti giacciono, uno vicino all'altro, su nude tavole, coperti solo dal proprio vestito ridotto a pochi stracci luridi, lasciando scoperte più parti del corpo lorde di sporcizia. La baracca è lercia, senza luce, senza stufe, infestata dall'odore sgradevolissimo di un insetticida che i tedeschi usano in abbondanza. Al trovarmi in tanta miseria, fra un formicolio di esseri umani ridotti a larve, in una nube afosa, satura di fumi e di polveri, mi pare quasi di impazzire”. Di Fullen parla, nel libro 'Binario morto', Ferruccio Francesco Frisone, un pittore di Malnate (Varese) che ha tenuto un diario di quei giorni e a cui i carcerieri avevano affidato il compito di disegnare le croci degli internati deceduti e sepolti nel vicino cimitero. Tra i nomi dei 713 caduti riportati da Frisone c'è anche quello del soldato di san Sigismondo, sotterrato nella fila A del camposanto di Fullen, tomba 15.
Ora, grazie alle ricerche della nipote, tutto questo non e' più avvolto dalla nebbia. La nebbia alzatasi anche sulle uniche parole che rimangono dello zio. “Quando le ho lette, mi sono commossa. Anche se non l'ho conosciuto, l'ho sempre sentito vicino, uno di famiglia. Sono orgogliosa di aver fatto luce sull'ultima parte della sua esistenza perché i miei nonni, oltre a mia mamma, gli erano molto legati: se avessero potuto, sarebbero partiti alla sua ricerca per ritornare a casa con la sua bara. Adesso che conosco il luogo dove riposa, sarebbe bello andarci con un Viaggio della memoria e portare un fiore”.
Il desiderio di verità è stato appagato, ma non del tutto. “Ora mi piacerebbe scoprire dove ha combattuto e dove lo hanno fatto prigioniero”. La borsa gialla in cui sono custodite gelosamente la lettera natalizia e tutta l'altra documentazione sul soldato ritrovato potrebbe arricchirsi di nuove pagine.
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commenti
Giovanni Roberto Frisone
14 gennaio 2022 14:36
Vorrei comunicare alla Signora Domaneschi che i soldati italiani morti a Fullen furono traslati ad Ojendorf, nei pressi di Amburgo negli anni 50. Fullen non e' vicino, e' accanto al confine con l'Olanda e il suo cimitero e' ancora visitabile, anche se oramai con solo poche tombe di soldati per lo piu' russi o polacchi. Sono il figlio di Ferruccio Francesco Frisone, se vuole contattarmi.