14 agosto 2021

Gino Strada e l'Afghanistan. L'architetto cremonese Igor Pesce lavorò per 15 mesi a Lashkar-gah per costruire l'ospedale di Emergency

Gino Strada, il fondatore di Emergency, è morto. Aveva 73 anni. Il chirurgo fondatore di Emergency si trovava in Normandia, con la moglie Simonetta, ma fino all’ultimo il suo pensiero è stato rivolto alla difficile crisi in Afghanistan. Il noto chirurgo era molto malato e soffriva da tempo di problemi di cuore. Nelle ultime settimane la cardiopatia lo aveva costretto a rinunciare a molti impegni e appuntamenti, ai quali il fondatore di Emergency si è sottratto dicendosi solo indisposto. E nell'Afghanistan tormentato, vi è anche una parte di Cremona. L’architetto Igor Pesce, meranese trapiantato a Cremona, è infatti l’architetto che nel giro di 15 mesi, tra giugno 2003 e ottobre 2004, ha curato la costruzione del terzo ospedale di Emergency in Afghanistan, Lashkar-gah, dopo quello di Anabah, a nord della capitale nella valle del Panshir, e di Kabul.  Qualche tempo fa è stato lui stesso a raccontare l’incontro con Gino Strada: «Un giorno mi capitò di trovare, sul sito di “Architetti senza frontiere”, la richiesta di Emergency che cercava tecnici logistici per la realizzazione di un nuovo ospedale in Afghanistan. La cosa mi incuriosì, mandai la mia candidatura e dopo un paio di mesi sbarcai a Kabul». Igor è rimasto in Afghanistan 15 mesi, fino ad ottobre 2004, lavorando gomito a gomito con muratori, falegnami, elettricisti locali, 140 persone in tutto che senza gru né betoniere hanno costruito dal nulla il centro chirurgico divenuto punto di riferimento essenziale per i civili di questa zona. 

La costruzione dell’ospedale è proceduta celermente: il gruppo lavorava sette giorni su sette per 12 ore; di sera l’architetto apportava al computer aggiustamenti e modifiche al progetto, stampava i disegni su normali fogli A4 e il mattino dopo ne discuteva insieme all’ingegnere locale e ai capimastri. «In assenza di mezzi meccanici tutto è stato fatto con la sola forza delle braccia - ha raccontato Igor Pesce - con i sandali o addirittura scalzi, senza che la qualità ne abbia minimamente risentito, anzi. Quello che da noi con una gru si può fare in un giorno (come issare la stru a piedi scttura della torre dell’acqua potabile), la è stato fatto in più tempo con il contributo di decine di braccia che si passavano ininterrottamente i secchi e spingevano carriole. Ho conosciuto gente competente ed intelligente, che capiva immediatamente quello che andava fatto, orgogliosi di poter contribuire alla realizzazione e di un’opera che sapevano sarebbe stata della loro gente, a servizio della comunità. In Afghanistan, come in molti Paesi poveri, la sanità è un lusso che va pagato di tasca propria, il pubblico quasi non esiste. In occidente ci scandalizziamo se l’ambulanza non arriva dopo cinque muniti che l’abbiamo chiamata; là è normale sobbarcarsi un viaggio in macchina di 400 km per trasportare un ferito d’armi da fuoco». Anche il rapporto con la popolazione era stato facile, sia per  il coinvolgimento diretto delle maestranze locali, sia per la comprensione per il lavoro svolto, lontano da casa  e dagli affetti. «Avevo imparato un certo numero di parole afghane, che andavano benissimo per avviare una conversazione, cosa che con gli afghani che ho incontrato era facilissimo fare, perchè sono persone affabili; se vogliamo fare un paragone sono un misto di bergamaschi e napoletani: persone caparbie e toste, ospitali, molto riconoscenti. Con quelle poche parole riuscivo a passare per afghano anch’io quando andavamo in paese ad acquistare materiali, vestito come loro e con la barba: erano sufficienti per i saluti iniziali, per i “salamelecchi” che duravano parecchi minuti, poi subentravano i termini tecnici, e allora lì capivano chi ero».

Nel 2007 Igor Pesce ha curato una installazione fotografica al Crac dal titolo “Assalamu’alaykum” ovvero “Che la pace sia con te” in cui ha raccontato con le immagini la sua esperienza in Afghanistan. 

 


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