3 ottobre 2021

Giuseppe Manfredi, il primo cremonese arrivato in jeep al Polo Nord. 70 anni fa al seguito della spedizione di Maner Lualdi sulla rotta di Amundsen

Nel 1953 ricorreva il 25° anniversario della morte del grande esploratore norvegese Roald Amundsen, scomparso nel 1928 a 56 anni tra i ghiacci del Polo Nord durante le ricerche dei sopravvissuti del dirigibile “Italia”, comandato da Umberto Nobile. Per celebrare la ricorrenza, Maner Lualdi, grande aviatore e giornalista de “La Stampa” e “Corriere della Sera”, programmò una trasvolata del continente artico a bordo di un piccolo aereo, il Girfalco dell'Ambrosini, con un motore Alfa Romeo a 4 cilindri da 140 cv del tipo 110 Polo, dotato di tre carrelli con due sci ciascuno. Era un piccolo monomotore biposto del peso di 800 chilogrammi, onorevole compromesso tra l'aviazione romantica e più economica, e la tecnologia moderna, con a bordo radiotelefono, radiogoniometro, tenda per due persone, medicinali e viveri. Lualdi non era certo nuovo ad imprese di questo genere: pilota dell'aeronautica militare, tra il 1937 e il 1938  aveva effettuato il raid aereo da Torino a Rawalpindi, alle falde dell'Himalaya, e ritorno, a bordo di un CA 310, con cui stabilì un primato della categoria coprendo 24.000 km in 54 ore. Nel 1939 aveva vinto il premio istituito da Il Popolo d'Italia, per aver effettuato il più rapido collegamento tra Roma e Addis Abeba con un volo senza scalo di 4500 km in 11 ore e 25 minuti. Tra il dicembre 1948 ed il febbraio 1949 aveva già effettuato il primo volo transatlantico con aereo da turismo “Angelo dei Bimbi” (copilota Leonardo Bonzi, da Milano 27 dicembre 1948 a Buenos Aires 14 febbraio ’49), per raccogliere fondi per i "mutilatini" di don C. Gnocchi, reso ancora più avventuroso da un uragano che fece deviare il velivolo dalla giusta rotta. Ed infine, solo un paio d'anni prima, il 23 settembre 1951, accompagnato da un operatore cinematografico, aveva iniziato una nuova trasvolata, promossa dal Corriere della sera, a bordo di un piccolo aereo, costruito quello stesso anno dalla Macchi (il "Macchino"), lungo appena 6,5 m per un peso di 420 kg, ma dotato di un serbatoio supplementare che gli permetteva di coprire senza scalo 1200 km, con cui da Milano avrebbe dovuto raggiungere l'Australia. Il viaggio, tuttavia, si concluse fortunosamente dopo 16.000 km di volo a causa dell'imperversare dei monsoni che costrinse Lualdi a un atterraggio disperato nella giungla nell'isola di Sumatra.

Per il nuovo importante evento l'Alfa Romeo mise a disposizione una jeep “Matta” dotata di rimorchio, con il compito di trasportare attrezzature, materiale cinematografico, vestiario ed altro occorrente per la spedizione a cui si sarebbero aggiunti, al di là del Circolo Polare Artico, altri quattro mezzi a disposizione dei componenti la spedizione: un veicolo cingolato “Smobil” e tre mezzi marittimi che con felice neologismo il Lualdi chiamava “fochiere” (solide, piccole navi per la caccia alle foche, “autentiche fabbriche del mal di mare”). La partenza della “Matta” anticipava quella del “Girfalco” in modo da arrivare nei vari scali quasi contemporaneamente. A guidare la jeep nell'impresa artica venne chiamato un ex maggiore dell'aviazione, operatore della Incom, il cremonese Giuseppe Manfredi, affiancato all'amico di sempre Giuseppe Belloni. Il raid era stato pensato un anno prima della partenza, avvenuta i primi di marzo del 1953. Lualdi aveva l'idea di festeggiare in modo spettacolare il 25° della sfortunata impresa di Amundsen con qualcosa che avesse lo stesso carattere di eccezionalità, ed aveva di conseguenza progettato il raid che avrebbe dovuto prevedere una doppia spedizione, aerea e terrestre. Per quella aerea avrebbe fatto eventualmente tutto da solo, anche se poi si sarebbe avvalso del secondo pilota Max Peroli e del motorista Pretti, ma per quella terrestre aveva il problema di scegliere i collaboratori. Decise di rivolgersi alla Incom, che avrebbe documentato il raid, e venne a sapere che vi era un operatore quarantenne che si era particolarmente distinto nelle riprese aeree, anzi era il secondo pilota al mondo che fosse in grado di guidare con estrema destrezza l'elicottero “Sicorsky”, il più grande apparecchio sino ad allora costruito in Inghilterra. Manfredi, contattato a Roma, accettò a condizione che suo compagno di viaggio fosse stato Giuseppe Belloni, che si trovava a Milano, il quale non si fece pregare. Giuseppe Manfredi aveva già fatto il pilota di taxi aerei per una società italiana ed era stato pilota personale di Tyron Power quando nel 1949 l'attore era impegnato in Italia nel film “Il principe delle volpi”. Non era mai stato al polo Nord, ma aveva già girato in lungo e in largo l'Africa ed in elicottero si era calato nel cratere dell'Etna per girare alcune riprese cinematografiche. L'anno prima, inoltre, aveva documentato l'alluvione nel Polesine con i servizi trasmessi nei notiziari della “Settimana Incom”. Con Belloni faceva coppia fissa, al punto che sui due esploratori erano nati anche racconti leggendari, come quello che nel corso di una battuta di caccia grossa avessero ucciso un leone solo aprendone le fauci, afferrando la coda dall'interno e rovesciandogli la pelle. 

La piccola jeep “Matta” affidata alle loro cure costituiva la base a terra della spedizione: avrebbe dovuto contenere in pochissimo spazio dieci quintali di attrezzature comprendenti apparecchi fotografici, macchine da presa, obiettivi speciali, teleobiettivi, telemetri, apparecchi di precisione, tende, effetti personali, equipaggiamento in grado di affrontare temperature bassissime, undicimila metri di pellicola a colori e tremila metri di pellicola in bianco e nero, oltre ai viveri, alla benzina e quant'altro fosse servito all'impresa. Compito di Manfredi e Belloni era curare i servizi giornalisti e cinematografici da distribuire in tutto il mondo, restando in costante contatto da un lato con l'Italia e dall'altro con Luandi, che doveva raggiungere la base avanzata di Bardufoss, dandosi appuntamento per la stessa data.

Giuseppe Manfredi era nato nel 1912 ed abitava con i genitori ed il fratello Gianni nella cascina di via Lugo 7, dove era tornato pochi giorni prima della partenza, il tempo per promettere in regalo alla figlioletta di dieci anni un orsacchiotto vero portato dal polo. D'altronde qualche anno prima aveva recapitato alla nipotina Patrizia, allora appena nata, un regalino calato con un minuscolo paracadute lanciato sulla cascina di via Lugo, durante un passaggio spericolato con l'aereo della Incom.

Lualdi aveva annunciato il raid il 30 ottobre del 1952 al Circolo della Stampa di Milano davanti al padre Adriano, direttore d'orchestra, e alla madre Wanda Stabile de Sailmberg, al conte Bonacosta, a Eugenio Montale, Clara Calamai e tante altre personalità, mentre a Passignano sul Trasimeno si allestiva il piccolo aereo. «Vorrei ripercorrere i sentieri di Andrée e di Peary, di Sverdrup e Nansen, del Duca degli Abruzzi e di Cagni, di Amundsen e di Byrd», aveva affermato prima della partenza. «Cercherò di raggiungere il punto ove la nostra aeronave s'incendiò, e il punto ove Malmgren cedette al destino. Se il gelo avrà pietà di pochi fiori li getterò sulle tombe bianche, fatte dalla banchisa». 

Il Piano di viaggio prevedeva che la Matta anticipasse in ogni tappa la partenza del Girfalco in modo da far coincidere l’arrivo di entrambi a conclusione tappa. Superato il circolo polare artico la “Matta” venne sostituita sul ghiaccio da un cingolato “Smobil” mentre l’assistenza su acqua veniva assicurata da tre piccole e robuste navi per la caccia alle foche. La vettura venne immatricolata a Milano il 25 novembre 1952 con la targa MI 203788 ed intestata alla stessa Alfa Romeo. Era una versione AR 51, telaio 00741 e motore 1307*00339; attraversò tutta l'Europa e raggiunse Oslo via terra. La vettura portava sul muso la dicitura “1900 AR 52” evidentemente a scopo pubblicitario per lanciare la nuova versione civile della Matta che sarebbe entrata in produzione di lì a poco. Era dotata di un primordiale hard top molto più idoneo al clima rigido che non il telone originale.  
Il percorso partì da Roma ed in effetti lì, all’Aeroporto dell’Urbe, Lualdi aveva presentato il “Girfalco” ed aveva salutato autorità e familiari per poi proseguire per Milano con la “Matta”. Il volo con a bordo soltanto Lualdi e l'operatore Max Peroli prese il via da Milano Linate con prima destinazione il piccolo aeroporto di Toussus le Noble di Parigi, raggiunto dopo un erroneo e proibito atterraggio all’aeroporto militare di Brétigny-sur-Orge, poi si diresse all'aeroporto di Grimbergen a Bruxelles, ad Amsterdam, all'aeroporto Kastrup a Copenaghen  il 9 aprile, ad Oslo (aeroporto di Fornebu) con incontro con il generale Larsen, che era stato pilota di Roald Amundsen, a Trondheim, alla base di Bardufoss, quindi a Tromsø. Il progetto per il volo del Girfalco prevedeva, verso il 20–30 maggio, un volo unico con traversata del Mare di Barents e, via Isola degli Orsi, passaggio sulle Svalbard con puntata verso il Polo Nord, e ritorno sulla stessa rotta. Contemporaneamente la marcia di avvicinamento della Matta al Polo attraverso l'Europa si era svolta passando per Parigi, Bruxelles, Amburgo, Copenaghen e Oslo. Attraversato il circolo polare la Matta aveva raggiunto la base dell'aereo.
Il 19 giugno, dopo uno sfortunato e drammatico tentativo del 5 giugno, con un volo di circa 3.000 chilometri  durato circa 14 ore consecutive in condizioni atmosferiche proibitive, il “Girfalco” partito dalla base di Bardufoss, raggiunse il punto, sul Mare di Barents, in cui Roald Amundsen si era sacrificato: lì vennero lanciati pochi fiori benedetti da Padre Pio, le medaglie, le stelle alpine di Feltre appesi ad un piccolo paracadute azzurro. Il lancio si ripeteva verso l’82° parallelo sulla banchisa nel punto in cui si pensava precipitata l’“Italia” ed infine si concluse con l'atterraggio all’aeroporto di Banak, a 70° di latitudine nord. Manfredi e Belloni girarono le riprese con cui venne realizzata una serie di documentari, sia muti che sonori, per la “Settimana Incom”, visibili ancora oggi nell'archivio online dell'Istituto Luce. Il raid valse invece a Lualdi, nel 1954, una medaglia d'oro ed è puntualmente ricordato in Silenzio bianco. Cronache dell'Artico  (Ed. Corbaccio dall'Oglio, 1953). 

L'impresa di Lualdi, Manfredi e Belloni è inoltre documentata in una ricca collezione filatelica e dai timbri è possibile ricostruire il susseguirsi temporale delle tappe, a cui nessuno dei protagonisti, in quei mesi, diede particolare rilevanza. Sulle buste predisposte per l’occasione dal Gruppo aerofilatelico dell’Unione Filatelica Lombarda di Milano con dicitura a stampa riguardante il raid, immagine dell’aereo e bandiere italiana e norvegese, il timbro di partenza, di “Milano Ferrovia Posta Aerea”, reca la data del 4 marzo 1953, quello di arrivo di Tromsø del 2 maggio. Su tutte le buste, numerate e recanti la firma di Maner Lualdi, è impresso lo speciale cachet illustrato, rosso, con l’immagine di un piccolo aereo che collega idealmente il Duomo di Milano con la banchisa polare. Nel 2013, per ricordare questo importante avvenimento nel 60° anniversario, le Poste norvegesi hanno emesso un francobollo ed una busta affrancata con i due francobolli: quello norvegese e quello italiano riproducente il veicolo dell’Alfa Romeo.

 

Fabrizio Loffi


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commenti


Giancarlo

12 ottobre 2021 21:59

Sono Giancarlo Poli di Crema, il registro Alfa Romeo Matta, al quale appartengo, possiede la matta del raid artico.
Avremmo il piacere di poter farla “incontrare” con eventuali parenti di Manfredi, magari creando un evento per ricordare quell’impresa
Cordiali Saluti
Giancarlo
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