24 settembre 2022

I novantadue anni di Corrado Stajano, il maggiore scrittore cremonese. 
Un affettuoso ricordo come gesto di gratitudine

“I ricordi non sono leggende, ma immagini reali da ritrovare, anche se sono più gravi della roccia, sullo schermo dell’esistenza. E’ una pena e un dovere insieme, decenni e decenni dopo, ricercare il tempo perduto, approfondire fatti e sentimenti, confrontare passato e presente, storie di sconfitti, per amore di giustizia e libertà”. Si tratta di un passaggio di Corrado Stajano, che riassume il compito di scrittore che si è assegnato per un’intera esistenza (Sconfitti, il Saggiatore, Milano, 2021). Queste parole mi risuonano in mente, perché il 24 settembre è il suo compleanno. 

Mentre stava lavorando ad uno dei suoi libri più belli, “La stanza dei fantasmi. Una vita nel Novecento” (Garzanti, 2013), ebbi la fortuna di incontrarlo, mentre cercava notizie del nonno materno, Paolo Superti, morto nel 1926, alla cui figura poi dedicherà molti capitoli, per cogliere i segreti di un uomo, di una terra, di una città: Cremona e la sua campagna ricca, ma travagliata da feroci lotte, da amnesie imperdonabili.  

Il nonno Superti possedeva un’azienda agricola a Marzalengo, una frazione di Castelverde, di poco più di 400 abitanti, come nel 1630, quando morirono 102 persone per peste e 53 nel 1648 durante l’assedio di Cremona. Per saperne di più, feci una piccola ricerca nell'Archivio Comunale, dove non trovai nulla. Mi recai allora all'Archivio di Stato e qualche dato uscì dal foglio matricolare: nato nel 1870, a Motta Baluffi, di professione “prestinaio”, alto cm.167,5, di colorito pallido, capelli castani, dentatura sana. Soldato di leva, posto in congedo illimitato il 13-5-1890. Fece sicuramente fortuna e divenne agiato agricoltore. 

Stajano venne poi a trovarmi in municipio con l’amico Renato Rozzi e li condussi a Marzalengo, per cercare di individuare la cascina del nonno. Fummo fortunati perché una delle memorie storiche del paese, il prof. Giuseppe Fioni, gestore della nota “Osteria-Trattoria Fioni” si ricordò di aver conosciuto due degli zii di Stajano: “Ah! Süpertìin e Süpertòon”. Di 94 anni, ma ancora molto vitale, ci accolse in cucina, mentre la moglie stava cuocendo i finocchi. 

La cascina del nonno, ci indicò Fioni, era sicuramente Corte Bassa, vicolo Deserto 2, sulla strada che da Marzalendo porta a S. Martino in Beliseto. Nel Catasto Teresiano era descritta come "casa parte da massaro e parte per proprio uso con orto". Raccontai a Stajano la tragica storia della Cascina Ballarino, vicino a Corte Bassa, che il 26 aprile 1945 vide la tragedia di tre donne di Marzalengo, “con le loro povere masserizie e loro tante miserie”, come recita la lapide del cimitero, in seguito all'esplosione del deposito munizioni posto nel caseggiato, decisa dai tedeschi in fuga. Una storia che lo colpì molto, tanto che venne riportata nel libro. Lo accompagnai anche a Terra Amata, “una specie di castello incantato dell’immaginazione”, già in territorio del Comune di Cremona, dove aveva abitato per alcuni anni la madre, l'immagine mitica di una giovinezza serena.

Questo episodio ci aiuta a capire come ha sempre lavorato Stajano. Mai affidarsi solo a documenti d’archivio, a interviste più o meno improvvisate, ma attraversare a piedi, con corpo e anima, intelligenza e sentimenti, le città e le vicende delle donne e degli uomini che intendeva comprendere nelle loro esistenze concrete: presenze storiche, umane, cariche di risonanze emotive e di scelte etiche, in questa Italia tanto ricca di vicissitudini, di valori, di tragedie. 

Coglie nel segno Claudio Magris quando scrive che Corrado Stajano “sa narrare la propria vita attraverso gli altri e soprattutto intessendola nella storia grande del mondo. E' questo che fa un vero romanzo; un secolo diventa l'esistenza di un uomo e viceversa. Vi sono scene memorabili, di emozioni e di orrori; esecuzioni, umiliazioni collettive, fiori di generosità, gesti di inconsapevole eroismo. Piccola storia individuale, epica e trepida storia di famiglia, grande terribile e orrenda storia del mondo che non rinuncia a cercare di essere storia della salvezza”. Anche Paolo Mauri era di questo parere: Stajano fa diventare ogni suo libro “una sorta di diario pubblico e privato nel quale il referto autobiografico ostinatamente cercato investigando luoghi e archivi si mescola con la memoria che dovrebbe essere di tutti, ma che spesso viene cancellata o relegata in un passato generico”.

La memoria di Stajano si presenta a volte come un “cumolo”, a volte come “la tela del ragno”, o “un serpente a sonagli”, che fa rispuntare “i sottofondi dell'anima”, obbligando la penna a cercare “di cucire un mosaico di indizi simile a un tappeto di foglie morte”. Sa che è necessario ricostruire, anche con l'immaginazione narrativa queste “memorie imbrogliate”, ciò che i dati degli archivi non dicono: “I documenti sono soltanto scheletri che vanno nutriti di carne. Come possono le carte far riascoltare voci, rivedere gesti, captare sguardi, far capire lo spirito del tempo?”. Ci vuole passione e anche il coraggio di affrontare le sofferenze degli altri, i propri demoni. 

Scrivevo quasi dieci anni fa, a proposito de “La stanza dei fantasmi”, che la scrittura della memoria di Corrado Stajano è uno strumento acuminato, simile a quello trovato nella “stanza dei fantasmi” della memoria privata, che poi si allarga fino a divenire rivisitato ricordo del cosiddetto “secolo breve”. Un oggetto a prima vista indecifrabile. “La lama si chiama Trequarti. Viene usata per pungere il torace o l'addome della mucca e svuotarli dei liquidi patologici... Con una piccola incisione si penetra nella parte malata, si toglie lo stiletto, si lascia nella carne la guaina protettiva e si fa in modo che il liquido nocivo defluisca, mentre si iniettano farmaci”. Analoga la scrittura di Stajano: apre ferite nel profondo, onde esca il pus di momenti terribili della storia del '900, mai rivisitata in astratto, bensì ripercorsa prendendo spunto da oggetti palpabili, che attivano flash e il ritorno di immagini mnestiche pronte per il racconto. Ed ecco sorgere nella mente i “fantasmi”: figure, episodi, eventi concretissimi, terrestri, il più delle volte dolenti, che si intrecciano con personaggi, scenari, pagine della letteratura.

Una carta a colori della Sicilia “l'isola amata e disamata”? Ed ecco le pagine innamorate, nostalgiche, tragiche di una Sicilia dove si muovono personaggi di assoluta distinzione come il barone Lucio Piccolo, poeta apprezzato da Eugenio Montale, cugino di Tomasi di Lampedusa: ma dove in ogni strada del centro storico di Palermo si odono ancora, per chi li vuole sentire, gli spari e le esplosioni che posero fine agli uomini nobili che difesero a costo della vita l'onore civile della Sicilia, la sua grande tradizione di civiltà e di bellezza. 

E si sentono ancora in San Domenico di fronte alle bare, incancellabili, le parole di Rosaria, la moglie dell’agente Vito Schifani, che scortava Falcone: “una piccola Giovanna d’Arco dolce e innocente di furia cristiana… Parla con una voce limpida di bambina cresciuta da poco: “A nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qui dentro, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono. Io vi perdono, però voi dovete mettervi in ginocchio se avete il coraggio di cambiare. Ma non cambiano, non cambiano””.

Una cartolina con l'Auriga di Delfi? Nasce da qui il racconto in diretta della presa del potere dei colonnelli greci sostenuti dalla Cia, quel giorno in cui lo scrittore e la moglie Giovanna intendevano visitare il santuario di Apollo e nel silenzio spettrale della città trovano “mastodontici carri armati coi cannoni puntati ad alzo zero” tutt'intorno al Palazzo del Parlamento. “La democrazia distrutta e umiliata proprio nel luogo dove nacque”. 

Un pezzo oblungo di legno rosso, liscio e ben rifinito? Dà inizio alla storia del ragazzo terrorista  Walter Alasia, una giovane vittima degli anni di piombo, di cui si prova pietà infinita, anche se divenne a sua volta carnefice, come confessa angosciato il fratello maggiore Oscar, che si domanda, come del resto lo scrittore, perché mai sparò ai poliziotti al momento dell'arresto fino ad essere ucciso: “Mio fratello non è un delinquente, è un assassino”. 

Da qui nascono le pagine più “appassionate” dedicate alle pestilenze, lontane e presenti, alle guerre e alla sua terra cremonese. Dai conflitti bellici emergono le scene più tremende, i racconti più desolati – col cinismo di generali come Luigi Cadorna – a partire da quelle vissute dal padre, militare di carriera, ma anche da testimoni illustri come Gadda, Lussu, Carlo Salsa, Ardengo Soffici, Nuto Revelli, o da semplici fanti come Vincenzo Rabito. 

Dove anche la guerra per la libertà, la Resistenza, dopo le atrocità che hanno subito i partigiani, diviene in alcuni momenti furore. Come quello visto da Stajano adolescente, che assiste in una piazza di Cremona (dove adesso c'è il bellissimo Museo del Violino) al macello di Mario Merlini, il fascista più odioso, già sul punto di morte col ventre aperto, fucilato dalle forze della liberazione davanti a una folla acclamante, e poi appeso ad una cancellata come uno strofinaccio con dei fili di ferro trasformati in uncini per mostrarlo alla pubblica ferocia.  

I racconti familiari della terra cremonese a volte divengono affettuosi, quasi colorati da tinte più calde, dove alcune foto della giovane madre (“in una cornicina dorata” o “in un giardino dietro una casa di campagna, tra alberi e cespuglio di fiori, sotto un pergolato di glicini”) e la figura di un nonno ignoto spingono alla ricostruzione di un mondo tra documentazione e fantasia. Con al centro dei ricordi una villa-castelletto incantata dell'immaginazione. “Terra amata, diceva con fierezza il nonno, terra matta, dicevano i contadini, vittime di chissà quali angherie e stanchi di chissà quali fatiche”. Perché, in questa elegiaca atmosfera un poco virgiliana della pianura del Po, non bisogna dimenticare la ferocia dello sfruttamento e delle lotte di classe che percorsero paesi e cascine dalla fine dell'800 al 1950. Né bisogna dimenticare il ruolo di Farinacci, che questo sfruttamento contribuì ad accentuare e ad esasperare. 

Corrado Stajano, a mano a mano che invecchia, come noi del resto, spesso si sente senza patria, senza un paese che – come cantava Milly in un ricordo di Cesare Pavese – “vuol dire non essere soli, avere gli amici, del vino, un caffè”. Invece scrive che un Paese come il nostro “sembra voglia dimenticare un passato di secoli, in cui contava soprattutto, con i suoi frutti, la placida terra che sapeva di fieno e di latte”. E si domanda ancora: “Che destino potrà avere il Bel Paese che in 160 anni non sembra possedere ancora un’idea di nazione?... Riuscirà a dar fiato a una politica della dignità finita in un cantone, ritrovare il senso etico-civile e la speranza, scrigno del vivere futuro?

Il giornalista ancora innamorato dei propri luoghi d’origine, tocca in prima persona il significato profondo del concetto di “anomia”, introdotto da Durkheim alla fine dell’800, quando intendeva rappresentare la caduta di senso, per i singoli e per i gruppi, dello stare in comunità, la mancata percezione del senso del vivere insieme e della possibilità di dare ancora il nome e valore alle cose, ai luoghi che ci circondano. Il che genera un elevato senso di sofferenza e di frustrazione, soprattutto in chi, come lui e anche come noi, sono ancora pieni di speranza in un possibile riscatto morale, e che invece vivono la perdita del proprio paese come una ferita alla propria identità. E su tutti aleggia, purtroppo, una domanda: “Quanto sarà lunga quella notte che è la nostra notte?”

In questo momento, nel quale auguriamo a Corrado Stajano di trascorrere bene il suo 92° compleanno, e di proseguire nella sua attività di scrittore testimone, dobbiamo ammettere di avere con lui un debito di riconoscenza, come verso chi riconosciamo padre nobile di una generazione che non ha mai rinunciato a scrivere con coraggio per amore della giustizia e della libertà, anche a costo di soffrire e di diventare sgradevole, come lo è stato spesso nei confronti di Cremona. 

Dalle sue pagine compare la figura di uno scrittore interprete di commedie e drammi, dove il lettore percepisce alle prime parole che dietro quella figura c'è una lunga storia, col fascino un po' misterioso del lontano, dello straniero, di una generazione che è stata altrove, che viene dal passato, che possiede un patrimonio di ricordi e di esperienze che le generazioni dopo di lui non hanno. Un tesoro nascosto, ancora tante storie da raccontare. Corrado Stajano ha saputo sempre assumersi il rischio che le sue storie possano essere rifiutate, ma ha fatto capire che sono memorie, testimonianze, domande con le quali tutti dobbiamo misurarci. 

Non basta avere ricordi… Perché neppure i ricordi sono ancora esperienze. Solo quando essi diventano in noi sangue, sguardo, gesto, anonimi e indistinguibili da noi, soltanto allora può succedere che tornino davvero nostri”. (Rainer Maria Rilke). 

Carmine Lazzarini


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commenti


Marco Pezzoni

24 settembre 2022 20:52

Carmine Lazzarini ci restituisce la grandezza di un 92enne come Stajano fatta di terra, passione democratica, narrazione civile, insomma di radici che ci donano il senso e la fatica di vivere...

carmine lazzarini

29 settembre 2022 09:49

Grazie, Marco. Vedo che non hai perso il gusto del leggere! Bene

michele de crecchio

24 settembre 2022 21:46

Congratulazioni a Carmine per lo splendido scritto con il quale commenta i 92 anni di un grande autore che Cremona ha avuto l'onore di avere come una delle sue due patrie.

carmine lazzarini

29 settembre 2022 09:51

Michele, un piacere leggerti. Sempre attento. E grazie per l'apprezzamento.

Valeria Taranto

25 settembre 2022 15:50

"Mai affidarsi solo a documenti d’archivio, a interviste più o meno improvvisate, ma attraversare a piedi, con corpo e anima, intelligenza e sentimenti, le città e le vicende delle donne e degli uomini che intendeva comprendere nelle loro esistenze concrete: presenze storiche, umane, cariche di risonanze emotive e di scelte etiche, in questa Italia tanto ricca di vicissitudini, di valori, di tragedie. "
Grazie Carmine. Quanto mi piacerebbe ritrovare questa esperienza di scrittura nei giovani autori contemporanei, bravissimi, ma assolutamente distanti da un tale profondità umana e intellettuale.

carmine lazzarini

29 settembre 2022 09:53

Valeria, ti ringrazio, ti sento sempre amica.