Il mondo aureo degli archi splende al Museo del Violino con Roman Simovic e lo Stauffer String ensemble
Tre pezzi perfetti. Illuminanti. Splendide chiavi di volta per fare ingresso nel mondo aureo degli strumenti ad arco. Tre pezzi "puri" dove: violino, viola, violoncello e contrabbasso, come gli antichi ensemble di viole da braccio ritratti nelle tavole dell’Encyclopédie illuministica, danno prova della loro singolarità e autentica unicità. Il Concerto brandeburghese n. 3 in Sol maggiore, BWV 1048, di Johann Sebastian Bach, la Serenata per archi in Do maggiore, Op. 48 di Pëtr Čajkovskij e Las Cuatro Estaciones Porteñas di Astor Piazzolla.
Una scelta che non poteva non venire dalla Fondazione Walter Stauffer sempre più preziosa e autorevole custode, su scala internazionale, dell’universo degli archi. Della perfezione del loro suono. Della loro bellezza assoluta. Della capacità di trasmettere un’arte, quella violinistica, tra le più amate nel mondo dei suoni.
Roman Simovic, violino e direttore, ha guidato lo Stauffer String Ensemble ad aprire la rassegna: Armonia d’inverno, prediligendo questo mondo aureo.
A partire proprio dal concerto bachiano brandeburghese, l’unico dei sei che prevede, in organico, l’utilizzo dei soli archi (il sesto prevede due viole da gamba) e il cembalo come basso continuo. Orchestrazione lineare. Proporzioni sonore, senza sbavature. Niente barocchismi di antica prassi. Solo il tessuto sonoro bachiano in tutta la sua severità e semplicità. Banco di prova per trovare la perfezione dell’eloquio orchestrale tra le sezioni. Bene anche Luigi Accardo al clavicembalo.
Travolgente la Serenata e non solo per la bellezza intrinseca della stessa composizione di Čajkovskij, ma per la sua resa dal punto di vista sonoro e interpretativo. In alcuni momenti spumeggiante, soprattutto nei due movimenti di testa e di coda dove il tema centrale torna quasi circolarmente. In altri assolutamente accattivante. Ancorché lirica e intensa nei due centrali Valse ed Elegia. Simovic ha dimostrato una direzione appassionata e contestualmente autorevole, cosa non scontata. Un’elevatissima capacità di concertazione con un gruppo di giovani che hanno una maturità esecutiva già a grandissimi livelli. La mano dei grandi maestri spunta in ogni fraseggio del loro suono. La loro leggerezza concertante è faro di una sicurezza tecnica e di una metabolizzazione del testo davvero profonda e curata.
E tutto questo si è manifestato nella grande epifania, di suoni. Di generi. Di virtuosismi delle Stagioni di Astor Piazzola. Un affresco superbo di stili agli antipodi , amalgamati (grazie anche alla trascrizione di Leonid Desyatnikov) con una musicalità difficile da scoprire in altre composizioni di così pronunciato ecclettismo. A partire dalle struggenti melodie latino americane del tango argentino, alle citazioni barocche di Vivaldi e di Pachelbel, passando per i virtuosismi di matrice post paganiniana. Impressionante la capacità di un complesso, con un’età cronologica così bassa, trovare tutti quei meccanismi perfetti, anche laddove il testo si fa impervio. Funambolico. Esasperatamente difficile. Esteticamente godibilissimo. Eppure tutto ha funzionato alla perfezione con Simovic quasi fin troppo perfetto nei sui passi solistici. E con questi giovani sempre con il sorriso sul volto. Meraviglioso quell’ultimo sbuffo solitario di cipria vivaldiana al cembalo a richiamare l’incipit della Primavera del Prete Rosso, dopo il turbinio orchestrale.
Museo del Violino in visibilio per questa schiera di già grandi artisti e per questo violinista veramente superbo nel più stretto artistico.
Un trionfo, chiuso con fragoroso Presto dell’Estate vivaldiano e con un pezzo violinistico di bravura.
A tutti chapeau !!!!
Servizio fotografico di Francesco Sessa Ventura
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