La Casa dei Cavalieri di Malta era tra piazza San Michele, via Tofane e via Malombra. Così venne distrutta. Ecco i documenti
Grande fascino ha sempre esercitato la storia dei Cavalieri di San Giovanni di Dio (volgarmente citati come i Cavalieri di Malta) e molti sono stati i tentativi di ricostruirne le vicende senza il supporto fondamentale delle carte d’archivio.
Infatti mentre copiosa è la documentazione conservata nei fondi archivistici milanesi e maltesi poca o nulla è quella conservata a Cremona in modo specifico sul funzionamento della Commenda.
Le fonti principali sono quelle di alcuni archivi nobiliari cremonesi, come gli archivi Albertoni di Val di Scalve e Sommi Picenardi i cui membri occuparono posti di rilievo all’interno dell’Ordine. Si ricorda l’ingresso nell’Ordine di Innocenzo Albertoni nel 1746 e poi di Francesco nel 1781.
Di grande interesse è di sicuro la figura di Carlo Albertoni, figlio di Francesco, che rivestì il ruolo di ‘commendatario’ e che fondò nel 1859 una commenda sul palazzo di famiglia.
Nel faldone dell’archivio, conservato in Archivio di Stato di Cremona, sono conservati elementi importanti (mai studiati) quali la corrispondenza, le circolari sull’attività del Gran Priorato di Lombardia, le spese per la divisa, circolari dell’Associazione del Cavalieri Italiani per il servizio sanitario in guerra e soprattutto la corrispondenza con Guido Sommi Picenardi, Gran Priore e segretario dell’Associazione.
Curiose e interessanti sono le carte relative a Muzio Maria, sempre figlio di Francesco, attraverso le quali si possono conoscere le modalità di ammissione all’Ordine, la gestione della cosiddetta ‘Commenda Vidoni’, i registri contabili.
Altra documentazione, di scarsa consistenza, si conserva nell’archivio Soresina Vidoni.
L’unico documento ufficiale superstite della dispersione di tutto l’archivio dell’Ordine cremonese è un bellissimo Cabreo redatto tra il 1755 e il 1756, al tempo del balio fra’ Benedetto Ferretti.
Le famiglie nobili, gli Ordini religiosi e le Opere Pie tra la prima e la seconda metà del Settecento (al momento cioè dell’entrata in vigore del Catasto cosiddetto ‘Teresiano’) avevano approntato censimenti di tutti i loro beni nel timore di una eccessiva tassazione da parte del Governo.
Questi censimenti venivano poi raccolti in grandi libri registri in cui ogni campo o casa era analiticamente descritta e rappresentata graficamente.
E così è il Cabreo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta di Cremona, documento di grande impatto visivo in cui sono appunto descritti analiticamente tutti i vasti possedimenti della Commenda che possono costituire una fonte importante anche per lo studio delle campagne cremonesi dal momento che la Commenda era molto ricca con beni sia in città che in campagna.
Dettagliata ad esempio è la descrizione del grandioso complesso rurale di Mirabello Ciria, detto il “Castello” di cui si descrivono anche gli arredi andati dispersi della chiesa.
Di fondamentale importanza è la descrizione (che a noi interessa maggiormente) della “Casa grande” posta sulla piazza di San Michele tra le attuali piazza San Michele, via Tofane e via Malombra (già via della Commenda).
Così inizia la descrizione “Il Caseggiato detto la Commenda con la chiesa annessa posto in isola dalle quattro strade”, ora identificabile con il grande complesso condominiale e l’edificio ottocentesco di piazza San Michele con angolo in via Malombra.
Per comprendere appieno la posizione è sufficiente rapportarsi alla pianta catastale di Cremona (1757 e ripresa identica nella prima metà dell’Ottocento).
La scure delle soppressioni di Giuseppe II della seconda metà del secolo XVIII si abbatté anche sull’Ordine e sulla Commenda i cui beni nel 1780 vennero inseriti nel piano delle alienazioni.
Ciò avvenne anche per la Casa destinata a Commenda e per la chiesa: ad entrambe venne assegnato uno specifico numero catastale e venduto all’asta al migliore offerente (come avveniva nelle soppressioni).
La documentazione catastale ci informa che il Circondario della chiesa e la casa della Commenda vennero frazionati e ceduti tra il 1782 e il 1801° diversi proprietari: Lagormasini Andrea, famiglia Quaini, Carlo Cantoni che poi a loro volta rivendettero in parte le loro quote di proprietà. Ad esempio sappiamo che Carlo Cantoni demolì il campanile e adibì parte della chiesa a scuderia. Diversi poi furono nel corso dell’Ottocento i passaggi di proprietà.
Le notizie più interessanti si ricavano dalla Serie ‘Ornato Pubblico’ dell’archivio del Comune di Cremona. In particolare la richiesta nel 1843 di Giuseppe Gaudini che presenta istanza alla Congregazione Comunale di Cremona per lavori al fabbricato.
Così recita l’istanza “Il sottoscritto, possessore dell’antica profanata chiesa di San Giovanni della Commenda situata in questa città avente due aspetti : il primo verso la piazza San Michele ed il subalterno alla contrada Commenda, desiderando ridurla ad uso bottega di falegname e magazzeno per cui importa la riforma generale diede incarico all’ing. Adriano turchetti perché volesse redigere il necessario progetto …”.
Storia completamente diversa e meno interessante è quella relativa all’edificio in cotto posto al termine di via Gerolamo da Cremona sull’affaccio di piazza San Michele e in angolo con via Malombra.
L’immobile (sempre dalla fonte catastale, particella 54) era di proprietà della Scuola del Santissimo nella chiesa di San Michele (una confraternita che molte chiese avevano) e adibita ad abitazione dei cosiddetti ‘messiroli’ ossia gli addetti alle funzioni sacre della chiesa.
Anche le Confraternite vengono in gran parte soppresse e nel 1809 l’immobile assegnato alla Fabbriceria della chiesa di San Michele e nel 1870 incorporato dal Demanio nazionale.
La particella 55 invece era della Commenda ma accatastata come “orto d’affitto”.
In chiusura si segnala infine un piccolo schizzo (conservato nella sezione Manoscritti dell’archivio comunale e risalente ai primi del ‘900) della zona in cui aveva sede la grande casa della Commenda con l’indicazione precisa della chiesa. La breve nota allegata ricorda che già nel 1832 la chiesa era in stato di rovina e che rimaneva solo la facciata con “la forma ad ornati di terra cotta con dipinta l’immagine della Vergine Annunciata”.
Ora più nulla di tutto questo.
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commenti
Michele de Crecchio
10 ottobre 2021 23:27
Non ho grande pratica di lettura dei documenti relative alle chiese degradate a case civili a cavallo tra 700 e 800. Mi ha fatto piacere ritrovare in questo articolo tali chiese definite "profanate" come è frequentissimo vederle citate negli studi relativi alla città di Pavia, mentre tale termine è praticamente sconosciuto negli analoghi scritti cremonesi. Lo studio di Angela Bellardi rappresenta, per me una piacevole eccezione. Il termine "profanate" ricorda, a mio parere, con più efficacia, la scomunica che, se non vado errato, colpiva coloro facevano "commercio" di edifici già adibiti da usi religiosi. Mi sono sempre chiesto se tale "scomunica" gravi ancora non solo sugli originali acquirenti dei beni profanati ma anche sui loro successivi eredi e danti causa. Grazie se la signora Bellardi, o altri, mi saprà cortesemente risolvere il quesito.
Jeppetto
19 dicembre 2021 19:04
Veramente interessantissime le informazioni di questo articolo, e complimenti all'autrice, che ha raccolto questi dati. Grazie e buon lavoro. C'è un sito web dove poter leggere "lezioni di storia" della Nostra Città? ☺