La Procura di Milano riapre il fascicolo sull'uccisione di Fausto e Iaio al Leoncavallo del 1978, torna in primo piano la pista del commando partito da Cremona
La Procura di Milano ha aperto un nuovo fascicolo sugli omicidi irrisolti di Fausto e Iaio, i diciottenni Fausto Tinelli e Lorenzo "Iaio" Iannucci, i giovani militanti di sinistra uccisi il 18 marzo del 1978 in via Mancinelli al Casoretto, dopo la lettera firmata dal sindaco Giuseppe Sala dove veniva chiesto di riaprire le indagini sugli esecutori materiali mai individuati. E potrebbe esserci di nuovo la pista cremonese dell'omicidio nel nuovo fasciolo, su cui è sempre mancata la prova "regina" ma che aveva solide basi d'indagine e che si chiuse con l'archiviazione nel dicembre 2000 dal gip Clementina Forleo. Il giudice Guido Salvini dichiarò qualche tempo fa: "Sappiamo come sono andate le cose, abbiamo ricostruito tutta la vicenda legata a quel duplice omicidio e alla pista cremonese-romana, purtroppo non abbiamo avuta la prova regina, quella definitiva, dobbiamo solo sperare che chi sa finalmente parli”. La decisione di uccidere i leoncavallini Fausto e Iaio il 18 marzo '78 , aveva spiegato il giudice Forleo accogliendo l'istanza del pm Stefano Dambruoso, maturò nell'estrema destra, ma non è stato possibile identificare gli assassini. Nel provvedimento la giudice aveva ripercorso i quasi 23 anni all'epoca di inchieste sull'uccisione di Tinelli e Iannucci ed appariva perplessa per stranezze nelle indagini, come la scomparsa di un berretto blu insanguinato trovato sul luogo del delitto o il comportamento di alcuni agenti nella perquisizione in casa di un indagato. Nell'archiviazione il gip aveva scritto di ''significativi elementi'' a ''carico della destra eversiva e in particolare degli indagati'' dell'epoca, Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi, che restavano, però, indizi senza diventare prove.
Ma com'è stato possibile che da una piccola città di provincia si potesse muovere un gruppo di fuoco fascista per sparare a due ragazzi, Fausto e Iaio, che avevano il solo torto di militare nell'estrema sinistra. Secondo quelle indagini gli autori degli omicidi furono Mario Corsi, romano, aderente ai Nar, amico di Fioravanti, più volte qui sotto il Torrazzo a casa di una zia, amico anche del cremonese Mario Spotti. Oggi è un capo tifoso della Roma e conduttore di una radio legata agli ultras giallorossi. Guido Zappavigna, romano, anche lui a Cremona al tempo dell'omicidio come sottotenente di complemento alla caserma Col di Lana. Zappavigna è sempre stato in bilico tra il Fuan-Msi e i Nar. E poi Massimo Carminati, aderente ai Nar e vicino alla Banda della Magliana. Milanese trapiantato a Roma, era quasi certamente a Milano il giorno dell'omicidio di Fausto e Iaio. Era indicato come uno dei capi della mafia romana nell'inchiesta “Roma capitale”.
La pista cremonese era stata individuata dall'ispettore della Digos Carmine Scotti, uno straordinario servitore dello Stato sempre in prima linea: a Milano arrestando la banda di Francis Turatello, quella di Vallanzasca, poi contro le Br; a Cremona ha lavorato sull'omicidio del Leoncavallo, sulle cellule del terrorismo islamico in anni in cui l'isis non si sapeva nemmeno cosa fosse o nel trovare il covo delle Brigate Rosse in via Volturno quando la Walter Alasia era in fuga da Milano e cercava di riorganizzarsi in provincia.
Scotti, che non ha mai sbagliato un'indagine, è certo che il commando sia partito da Cremona, dove ha avuto appoggi e probabilmente quell'arma storica, la 7,65 appartenuta al terrorista nero Franco Anselmi ucciso durante una rapina ad una armeria e conservata come una reliquia fino al giorno del duplice omicidio del Leoncavallo dall'estremista di destra cremonese Mario Spotti, morto suicida nel 1985 a Bolzano dopo essere finito in carcere per aver tentato di vendere un mitra ad un carabiniere in borghese.
Quella pistola, anche per una specie di rito simbolico a cui il terrorismo nero era solito cimentarsi, doveva “vendicare” la morte di Anselmi con il sangue di avversari politici quella volta forse scelti a caso ma sicuramente “rossi” del Leoncavallo. Probabilmente la vittima designata era un'altra, sempre del Leoncavallo, che pensavano coinvolta nel pestaggio mortale di Sergio Ramelli avvenuto tre anni prima. Sotto la Galleria 25 aprile in quel periodo c'erano alcune scritte con spray nero: “Leoncavallo sinagoga ebraica” e dall'altra parte c'era scritto “Leoncavallo brucia” ed ancora “Mario Tuti spara”, inneggiando al killer di due poliziotti andati per perquisire la sua abitazione.
Spotti, fin dai primi interrogatori, ha ammesso di aver posseduto la pistola di Anselmi di fabbricazione turca ma poi di essersene liberato gettandola nel Po, poco oltre il ponte ferroviario.
E' stato il consigliere comunale del Pd, Rosario Pantaleo, durante un Consiglio comunale nei giorni scorsi, a parlare della richiesta di Sala, arrivata dopo che l'aula aveva votato il 29 maggio scorso una mozione presentata dallo stesso Pantaleo che chiedeva proprio all'amministrazione di "operare nei confronti della Procura della Repubblica di Milano, in segno di urgenza di giustizia, seppure a tanti anni dagli eventi, affinché si proceda alla riapertura delle indagini sulla morte di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci per dare loro, ai loro cari e alla città tutta quella giustizia e pace indispensabili per una vera memoria condivisa". Ora spetterà ai pm verificare se ci siano nuovi elementi per poter presentare all'ufficio gip un'istanza di riapertura delle indagini dopo quasi 46 anni dal duplice omicidio.
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