Prosus: per il macello di Vescovato c'è la liquidazione giudiziale. Per i 151 dipendenti l'unica certezza è la cassa integrazione fino al 7 novembre. Avanzini: 'Nelle mani del curatore fallimentare'
La Prosus di Vescovato, il macello cooperativo nato nel 1985 sulle ceneri del Porcellino Rosa, dallo scorso 16 settembre è un'azienda in liquidazione giudiziale, con la nomina di un curatore fallimentare.
La cooperativa vescovatina (che oggi conta 12 soci rispetto agli oltre 70 di solo 5 anni fa) conclude così la sua storia quasi quarantennale sul territorio, dopo 4 anni in cui le difficoltà economiche e finanziarie si sono fatta sentire sempre di più, passando dallo stato di crisi aperto nel 2019 al concordato preventivo, attraversando anche le proteste dei lavoratori delle ditte in appalto (che in realtà non erano legate allo stato di crisi, ma all'organizzazione strutturale dell'azienda), la pandemia e la crisi dell'intero settore suinicolo, peggiorata ulteriormente dalla peste suina africana, fino all'epilogo della liquidazione giudiziale, nonostante ad inizio anno la volontà dell'azienda era quella di lavorare per il rilancio.
Ma evidentemente le cose hanno preso una piega diversa. Da fine luglio l'azienda è ferma, i dipendenti sono in cassa integrazione straordinaria e l'unica certezza che oggi hanno è una data, il 7 novembre: in quel giorno si chiuderà anche l'ammortizzatore della cassa integrazione. Cosa succederà dal giorno dopo, ce lo spiega Fabio Singh di Flai Cgil: "Le strade sono due: la prima sarebbe la possibilità di poter lavorare in esercizio provvisorio come macello interregionale per l'abbattimento dei capi provenienti dalla zona rossa, riuscendo a portare avanti l'attività in attesa che dopo la chiusura del fallimento subentri qualche azienda interessata a rilevare la Prosus". Una prima ancora di salvezza dunque potrebbe derivare, per ironia della sorte, proprio dall'emergenza legata alla peste suina. "Già a maggio abbiamo sollecitato la commissione lavoro del Pirellone per poter avere una risposta in merito, speriamo che a breve ci arrivi conferma" specifica Singh. In Lombardia non sono molti i macelli destinati a questo tipo di lavorazione che prevede una macellazione esclusiva dedicata ai suini conferiti da allevamenti all'interno della zona rossa, le cui carni possono essere avviate alla stagionatura oltre i 400 giorni o ai prodotti che subiranno trattamenti termici di cottura.
Nel caso la risposta da Regione Lombardia non dovesse essere positiva, per i dipendenti (che fino ad oggi hanno sempre percepito regolarmente lo stipendio) non resterabbe che il ricorso alla Naspi, ossia l'indennità di disoccupazione, in attesa di essere ricollocati.
Da parte dell'azienda, il presidente Giovanni Avanzini non nasconde una forte incertezza: "Non sappiamo cosa sarà dell'azienda, che ora è in mano al curatore fallimentare dopo lo scioglimento del consiglio di amministrazione. Cosa succederà per ora non è dato a sapere, siamo nell'incertezza totale". Eppure a inizio anno l'azienda aveva parlato di rilancio e ripresa: "E' vero e fino al 20 di agosto abbiamo lavorato perchè ciò avvenisse. Avevamo trattative con un importante gruppo del settore allevamento e macellazione che era interessato all'acquisto, ma poi con la recrudescenza della pest suina ha abbandonato il tavolo".
"Dal 2020 ad oggi abbiamo dovuto fare i conti prima con il Covid, poi abbiamo avuto un'occupazione da parte dei dipendenti delle cooperative durata quasi 4 mesi; - racconta ancora Avanzini- c'è stato poi l'aumento dei costi dell'energia e nel gennaio 2022, con il primo caso di Psa in Italia, la Cina ha chiuso dall'oggi al domani le importazioni. Avevamo le celle piene di prodotto che ci siamo trovati costretti a quel punto a svendere".
Una serie di congiunture sfavorevoli che non hanno aiutato gli amministratori a far fronte ad una situazione economica e finanziaria già traballante e che hanno portato nell'arco di pochi anni al tracollo di un'azienda che era tra le più importanti del territorio, con quattro stabilimenti -il macello di Vescovato, due impianti di stagionatura in zona tipica a Langhirano e uno di lavorazione delle carni a Castel d'Ario (Mantova)-, oltre 300 dipendenti diretti e un indotto non trascurabile.
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