20 febbraio 2021

Quel mattino nell'emergenza Covid, l'arrivo del medico iraniano Samin Sedghi Zadeh: "Non sapevo sarebbe diventato la mia Casa"

Alienante. Il dottor Samin Sedghi Zadeh non ha altro termine per descrivere il ricordo di quei primi giorni di marzo, quando per la prima volta ha varcato i cancelli dell’ospedale Maggiore di Cremona e vi è rimasto fino a giugno, quando è riuscito a tornare nella sua Torino. Sveglia alle 6, in reparto alle 6,30. Tanta paura per quel virus che nessuno aveva mai visto, tanta paura di non farcela, e poi il senso di inadeguatezza e quella sensazione di secchezza in bocca, dietro la mascherina. E’ rimasto a Cremona anche dopo l’emergenza, oggi non è più medico Covid e lavora nella direzione medica. “Che ricordo mi è rimasto? Non lo so, non ho ancora avuto un attimo di tempo per pensarci, per metabolizzare, diciamo. Certe volte penso che tutto sia accaduto a qualcun altro, non a me. Cosa ho visto, cosa ho imparato? Prima o poi sarò in grado di spiegarmelo”. Era il 6 marzo 2020 quando il dottor Lorenzo Cammelli lo chiamò per chiedergli una mano. Samin è di Torino, si è laureato nel 2018 e dopo una prima esperienza nel settore privato, quel giorno si trovava a Castel Sangiovanni, in provincia di Piacenza, a due passi dalla zona rossa. “Un’infermiera mi ha detto che cercavano medici perché la situazione era più assurda di quanto raccontavano i giornali, allora ho mandato una mail a Lodi, Piacenza e Cremona. A Cremona non c’ero mai stato nemmeno da turista. Allora ho mandato i miei genitori in montagna, ho cambiato valigia e sono partito”. Sami compirà 30 anni il 14 marzo. “L’anno scorso ho festeggiato il compleanno da solo in una camera d’albergo, con una pizza ed una coca cola, ed un giornalista che mi faceva compagnia al telefono”.

Il suo ricordo di quella sua prima volta è in queste drammatiche righe che ha scritto per noi. 


“È lunedì, e fuori è buio. È lunedì, e fuori e buio, mentre abbottono la camicia, mi chiedo: “Ma cosa sto facendo?”.

La casa è tutta silenziosa, mamma e papà sono via - “al sicuro”, i cani dormono ancora, fa troppo freddo per grilli e cicale.

A ben pensarci, è forse l’ultima volta per mesi in cui posso godere di un attimo di silenzio. 

Il rituale, anacronistico, finisce con cravatta e spruzzata di profumo. Parvenza di routine, il cervello svuotato. Esco di casa come un automa, salgo in auto, si parte. 

Vorrei un abbraccio, qualcuno a salutarmi, come se le TV non ci ordinassero ancora di stare distanti dai nostri cari. L’ultimo abbraccio a qualcuno penso di averlo dato nel febbraio del 2020, quando era ancora un gesto normale… la cosa brutta è che non ricordo quando, dove, a chi.

Avete presente quando guidate e avete così tanti pensieri per la testa da non accorgervi di caselli, stazioni di servizio, quando andate e andate senza nemmeno guardare indicazioni ed indicatori?

Non mi accorgo di quanto sia vuota e liscia la strada, di quanto le mie montagne innevate e maestose si allontanino inesorabili, le loro ombre sempre più lunghe con le prime avvisaglie di un pigro sole invernale. 

Nelle orecchie solo il rumore di fondo del battistrada sull’asfalto. Le uniche due ore mai trascorse in auto senza musica, una cosa da pazzi. D’altronde ci vogliono delle emozioni per ascoltare musica, cosa puoi mai ascoltare quando ti senti svuotato, impietrito?

Torino fugge via, chissà quando la rivedrò. Si può amare così tanto una città?

Mi vorrei godere le colline ed i vigneti di Asti, le risaie di Alessandria, ma il mio cervello inebriato di ansia e timore percepisce solo guard-rail e le luci rosse dei pochi camion che, impavidi, sfidano il lockdown totale appena entrato in vigore.

“Ma cosa sto facendo?”

Me lo chiedo ancora e ancora, come un mantra. “Ma cosa sto facendo?”

Provo a darmi la forza, ad annichilire l’immensa paura che provo, quando subito dopo lo svincolo autostradale per Cremona, compare un blocco monolitico che sembra stagliarsi verso il cielo, imponente e spettrale. E’ l’ospedale. 

L’angoscia dell’incognito, nella mente solo frasi ed immagini dei telegiornali che girano vorticose.

L’ultima volta in un ospedale, un anno e mezzo prima, festeggiavo la mia laurea. 

Cosa vedrò, stavolta? Cosa si cela dietro quelle immense mura grigie? Come potrò mai aiutare qualcuno co’ sto covid, se manco sono mai stato a Cremona. 

Come affronterò quell’ombra assassina, impetuosa, che come uno tsunami sta portando via amici e parenti, scalfendo con paura e dolore chiunque la stia combattendo?

Parcheggio, scendo. Mi metto le cuffie, perchè alla fine è bello così, dopo due ore di silenzio assordante vuoi ascoltare qualcosa nei 100 metri finali. 

“rabbia stupore la parte l'attore 

dottore che sintomi ha la felicità 

evoluzione il cielo in prigione 

questa non è un'esercitazione 

forza e coraggio“

Davanti a me, l’Ospedale. Quella mattina non sapevo ancora che sarebbe diventato Casa.

Dietro di me... Beh, è lunedì, fuori non è più buio: ma il sole, ancora, non brilla”.


Samin Sedghi Zadeh


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