Sofia Loren torna a Milano per inaugurare il suo ristorante, ma a lanciarla nel 1953 nel cinema fu il cremonese Clemente Fracassi in Aida
Ieri sera Sofia Loren ha ufficialmente inagurato il locale 'Sophia Loren Restaurant - Original Italian Food', il secondo della catena di ristoranti dedicato all'attrice napoletana dopo quello aperto a Firenze, nonostane la sede del nuovo ristorante sia stata aperta nel giugno scorso in via Cesare Cantù 3, nell'isolato tra Piazza Duomo e Piazza Cordusio. «Ho abbracciato da subito con molto entusiasmo questo progetto - racconta l'attrice due volte premio Oscar - perché racchiude in sé alcune delle cose che amo di più: la cucina italiana e partenopea, i momenti di condivisione attorno a un tavolo con la mia famiglia e i miei amici e poi diversi dei personaggi che ho interpretato sono in qualche modo legati alla cucina. Sono contenta che il viaggio prosegua con Milano perché è una città straordinaria». «Sophia Loren, musa ispiratrice del progetto, scelta per la sua calcata mediterraneità dal carisma che oltrepassa qualsiasi confine geografico e generazionale - commenta Luciano Cimmino presidente di Dream Food e di Yamamay e Carpisa, partner dell'iniziativa- continuerà ad accompagnarci in questo percorso che prevede un piano di aperture in Italia e all'estero. La prossima tappa sarà Bari con apertura prevista per metà novembre».
Peraltro, a scoprire e lanciare Sofia Loren nel mondo della celluloide, è stato un cremonese, Clemente Fracassi, nato a Vescovato. Correva infatti il 1951 quando un giovane regista ed un produttore giungevano a Cremona a bordo di una macchina. Si fermarono un paio di giorni, il tempo necessario per girare la città in lungo e in largo. Che cosa cercavano i due signori venuti espressamente da Roma? Un’attrice, un nuovo volto per la parte principale dell’interprete del film “Sensualità”. Fu una ricerca vana perchè, dopo aver compiuto un giro per tutte le città d’Italia, quella parte venne affidata ad Eleonora Rossi Drago. Ma come mai quel regista decise di venire fino a Cremona? Nessuna meraviglia: quel ragazzo, che all’epoca non aveva ancora 35 anni, dagli occhiali grossi cerchiati di tartaruga, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, era un cremonese nato a Vescovato e si chiamava Clemente Fracassi. Era venuto a Cremona perchè voleva rivedere la città ed il paese che gli avevano dato i natali. Erano molti anni che non ci veniva ed il viaggetto esplorativo per cercare una diva che fosse protagonista del nuovo film, lo aveva spinto fino in riva al Po. Quando nel 1953 l’indimenticato Elia Santoro gli chiese come avesse fatto ad entrare nel mondo del cinema ed a diventare, in pochissimo tempo, uno dei giovani registi più affermati, Clemente candidamente rispose: “Si può dire che sono nato ieri e non ho una ‘storia’, soprattutto interessante, da raccontare: ma vi potrei comunque dire che il mio destino si chiama Soldati”. Clemente Fracassi, ancora quando era un giovane studente, si trasferì con la famiglia a Bergamo. Durante gli studi liceali nell’Istituto di quella città egli collaborò alla stesura del soggetto e alla stesura di una rivista studentesca. La rivista ottenne un grande successo e gli applausi compensarono le fatiche di quelle giornate. Il ricavato della recita se ne andò tutto in una gran bevuta, e la passione per gli spettacoli si fermò per alcuni anni. Passato agli studi universitari Clemente seguì nuovamente la sua famiglia questa volta a Roma, nella mecca del cinema. Per lui, che aveva sempre conservata nel cuore la segreta speranza di intrufolarsi nel mondo dei cinematografari, era come toccare il cielo con un dito. Invece provò delle profonde amarezze. Il cinema non era come se lo aveva immaginato e non esistevano strade precise per arrivarvi. C’erano un mestiere, degli industriali e molta gente che girava per gli stabilimenti di Cinecittà agghindata in fogge buffissime. Fracassi, mentre frequentava gli studi universitari, faceva una corte sfacciata ed adulatrice ad un suo compagno di studi, figlio di un pezzo grosso del cinema. Si prestava a fargli tutti i piaceri del mondo pur di ottenere da lui un permesso per entrare a Cinecittà e vincere il cerbero che c’era davanti ai cancelli. “E dire – ricorda Elia Santoro – che quando vi entrò, restò disgustato come potrebbe essere l’innamorato romantico e sognatore rimasto deluso dalla propria fidanzata! Ma si sa come sono fatte le cotte. Resistette, caparbio e colmo di speranza, in attesa che almeno la fortuna gli potesse essere benigna. Egli si sentiva un audace e la fortuna aiuta sempre quelli che osano. Ed infatti la fortuna non tardò a bussare alla sua porta di casa, e ciò non solo in senso metaforico”.
Proprio nel palazzo dove Clemente aveva preso alloggio abitava al piano superiore un aiuto regista di Mario Camerini, autore anche di parecchie sceneggiature. Questo aiuto regista era nientemeno che Mario Soldati, che in quel tempo, siamo nel 1939 alla vigilia dello scoppio della guerra, stava compiendo il salto di qualità per passare dietro alla macchina da presa. Per Fracassi quella era la buona occasione attesa e non bi‐ sognava perderla ad ogni costo. Gli stette addosso come avrebbe fatto un moscone, gli tolse la pace finchè Soldati gli promise un posto. Fracassi poteva già dirsi soddisfatto e diventò chiacchista, il primo gradino nella scalata al tirocinio cinematografico, in un film decisa‐ mente bruttino che si intitolava “Due milioni per un sorriso”, diretto da Mario Soldati e Carlo Borghesio. Il compito del ciacchista è semplice non c’è bisogno di una competenza specifica: si tratta di tenere tra le mani due tavolette di legno che vengono battute all’inizio di ogni scena del film, provocando il rumore “ciak” che viene registrato sulla colonna sonora, sul quale risultano segnati il numero delle scene, il nome del regista e via dicendo in vista del montaggio finale quando le riprese sono finite. Fracassi, però ci rimase male: Egli, che si era preparato sulle teorie di Pudovkin, di Bela Bàlàzs, di Spottiswoode, rimase disorientato. “Gli sembrava – ricorda Santoro – che un film dovesse nascere dalla confusione, dai contrordini di cento persone, e tutti comandavano e non riusciva a capire come il film potesse saltare fuori. Soldati lo capì e gli fece alcune confidenze. Anche lui ha provato le stesse delusioni, forse più gravi perchè era già sposato con figli e con sulle spalle l’esperienza e la gloria di un passato letterario, si vide di punto in bianco travolto da questa confusione con due tavolette in mano da battere ogni volta che il regista gli impartiva un ordine”. Da queste confidenze nacque tra i due una profonda amicizia. E Fracassi lavorò con lui per altri film come aiuto regista, passando quindi sotto la regia di Camerini e di Poggioli. Ma la guerra interruppe tutto.
Nel dopoguerra tutto era cambiato, anche le persone. Non fu facile ricominciare per sbarcare il lunario e Clemente si adattò a fare il giornalista occasionale, il ripetitore di greco e latino, lingue che ormai aveva già quasi dimenticato. Finchè un giorno il produttore Carlo Ponti, che dipendeva dalla Lux, la migliore casa di produzione italiana, gli propose di occuparsi dell’organizzazione delle riprese di alcuni film. Portano la sua firma di organizzatore generale “Vivere in pace” di Zampa del 1947 con Aldo Fabrizi e Arnaldo Foà, “Senza Pietà” del 1948 e “Mulino del Po” del 1949 di Lattuada, entrambi con la sceneggiatura di Federico Fellini, “Fuga in Francia”del 1948 di Mario Soldati con la collaborazione alla sceneggiatura di Emilio Cecchi e Cesare Pavese e “Mio figlio professore” del 1946 di Renato Castellani con Aldo Fabrizi.
Ma il vero colpo di fortuna gli arrivò ancora una volta con Mario Soldati.Siamo nel 1950 e Soldati, che ha allentato il suo gusto artistico, ha preso una serie di lunghi impegni e non può realizzare “Romanticismo”, organizzato da Clemente Fracassi e lo prega di sostituirlo. “Restai titubante – scrisse più tardi – mi ero disabituato all’idea che avrei mai diretto un film; mi ero adagiato sul mio successo di organizzatore e avrei dovuto giocarmi una posizione raggiunta”. Ma Clemente accettò e in quindici giorni fu scritta la sceneggiatura e in altri venti venne realizzato il film. Tratto dal dramma di Gerolamo Rovetta, aveva come interpreti Amedeo Nazzari e Clara Calamai. Fu il primo film girato da Clemente. Del 1952 è “Sensualità” con Marcello Mastroianni e Eleonora Rossi Drago, che gli valse, però nel 1953 la regia di “Aida”, una grandiosa produzione a colori tratta dall’opera verdiana con migliaia di comparse ma, soprattuto, interpretata da una giovanissima Sofia Loren nelle vesti di protagonista, doppiata dal soprano Renata Tebaldi. Amneris è cantata da Ebe Stignai ma sullo schermo il ruolo è appannaggio dell’attrice canadese Lois Maxwell, futura Miss Moneypenny nei primi film di James Bond. Sophia Loren aveva allora solo diciotto anni e doveva recitare il ruolo che la Tebaldi aveva rifiutato, limitandosi a registrare la colonna sonora. Renata Tebaldi si prodigò più volte in lodi sincere per la professionalità della Loren i cui movimenti labiali erano apparsi in perfetta sintonia con il canto del soprano: «Sophia era molto bella genuina... Quando vidi il film in cui le avevo prestato la voce, rimasi stupita anche per la sua bravura. Nemmeno nei primi piani ci si accorgeva del playback» .
Recentemente, Sophia Loren ‐ vissuta con una madre pianista ed a sua volta madre del direttore d’orchestra Carlo Ponti jr. ‐ è stata intervistata sulle sue propensioni per la Musica, dichiarando di aver iniziato il suo percorso musicale al top: con la voce di Renata Tebaldi in Aida, concludendo con un bel sorriso: «E che si potrebbe desiderare di più?».
Prima di rivestire i panni di Aida Sophia Loren aveva posato per fotoromanzi e partecipato a diverse pellicole cinematografiche come comparsa o in ruoli marginali, che a poco a poco le portarono visibilità, essendo centrati sulle sue qualità estetiche. In un solo anno furono una quindicina i film nei quali fu scritturata. Affiancò anche Corrado, allora divo della radio, nella conduzione di Rosso e nero. Ma la svolta arrivò quando, sempre nel 1951, incontrò il produttore Carlo Ponti: lui la notò a un concorso di bellezza, dove lei era ospite, e il giorno dopo la ricevette nel suo studio per un colloquio. Carlo Ponti rimase subito colpito dalle sue potenzialità e le offrì un contratto di sette anni, trampolino di lancio del suo successo. Iniziò da quest’epoca a usare nomi d’arte: per un po’ si fece chiamare Sofia Lazzaro, poi, Sophia Loren, così da presentarsi in modo più “internazionale”: fu il produttore Goffredo Lombardo a darle il cognome Loren “ispirandosi” a quello dell’attrice svedese Märta Torén (allora le attrici svedesi erano molto in voga). È da questo momento che la sua carriera prende il volo. Uno dei primissimi ruoli importanti col nome di Sophia Loren fu a fianco di Alberto Sordi interpretando una splendida Cleopatra e quello di una sua sosia in Due notti con Cleopatra di Mario Mattòli nel 1953. L’anno seguente girerà altri film in ruoli secondari come Carosello napoletano di Ettore Giannini, Un giorno in pretura nell’episodio Don Michele, Anna e il biliardo con Walter Chiari di Steno, oppure Tempi nostri con Totò di Alessandro Blasetti; ma il 1954 sarà anche l’anno decisivo per una svolta nella sua carriera interpretando ruoli da protagonista in celebri commedie. Importante fra tutti fu il ruolo della pizzaiola Sofia in L’oro di Napoli, che Vittorio De Sica le volle affidare soltanto poco dopo averla conosciuta e dopo un breve colloquio. Dello stesso anno è Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti (tratto da un racconto di Alberto Moravia), dove incontra per la prima volta il suo partner per eccellenza Marcello Mastroianni.
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