16 agosto 2021

Trent'anni fa, il 16 agosto 1991, la fine dei restauri sulla facciata del duomo. La più colossale impresa di salvataggio che ha visto all'opera l'intera città

Trent’anni fa, il 16 agosto 1991, si concludevano i restauri sulla facciata principale della Cattedrale. Il giorno prima l’ispettore della soprintendenza Flavio Cassarino, accompagnato dalla responsabile dell’Arecon Mariacristina Ferrari, aveva compiuto un’ultima ispezione sulle impalcature per verificare i lavori e gettare, ancora una volta, uno sguardo sulla piazza da quell’altezza. Un’impresa gigantesca, iniziata cinque anni prima e terminata in previsione della visita del papa Giovanni Paolo II del giugno 1992.

Un cantiere che ha visto all’opera le maggiori ditte del settore, sotto la direzione dell’architetto Fulvio Melioli e dell’ingegnere Mario Galli, alcune cremonesi come la Sodibat di Stefano Agazzi e lo Studio Blu Restauri. Altre provenenti da fuori provincia, come la Arecon dell’architetto Giancarlo Calcagno da Montecchio Maggiore o l’Astarte di Mulazzano. Altri ancora da oltreoceano come il professor John Asmus dell’università di San Diego in California ed il suo straordinario laser utilizzato per la prima volta per la pulitura dei materiali lapidei. Senza dimenticare i responsabili dei beni diocesani che si sono succeduti nell'impresa: monsignor Franco Voltini, monsignor Franco Robusti e monsignor Achille Bonazzi. La relazione stesa dai tecnici dell’Opificio delle Pietre dure fiorentino, che effettuarono il primo sopralluogo sulla facciata principale del duomo era stata impietosa: troppe parti stavano per scomparire definitivamente a causa dello sporco, delle incrostazioni, del guano dei piccioni, dello smog. Particolarmente gravi erano i danni agli elementi ferrosi che, ossidandosi, avevano determinato il distacco del materiale lapideo che legavano insieme.

La relazione dell’architetto Giancarlo Calcagno nel 1986 aveva confermato la situazione: “Deposito di accumulo di materiali estranei di varia origine, in particolare, deposito del particellato atmosferico, ben legato al substrato, di vario spessore, di tipo dendritico. Alterazioni causate dell’interazione biodeteriogeno-substrato: degradazione che si manifesta su materiale a l’elevata porosità con pigmentazione discuta alle strutture cellulari. Desquamazione causata da una massiccia presenza di soluzioni ricristallizzate e da sviluppo di soluzioni di origine organica. Scagliatura, specifica alterazione che di manifesta con il distacco parziale o totale di parte, spesso secondo soluzioni d continuità nel materiale originario. Al di sotto sono presenti efflorescenze e microorganismi. Estesa polverizzazione del materiale lapideo on caduta anche spontanea del materiale sotto forma di polvere. Numerosi piani sottoposti a micro fessurazioni con soluzione d continuità senza lo spostamento relativo delle due parti, ma che ne determina uno sviluppo successivo nella scagliatura, escoriazione o nel caso più grave nella formazione di fessurazioni. Il paramento lapideo registra una formazione più o meno estesa di fessurazioni, passant o lungo piano d’interno di scorrimento, che si manifestano, mediante pensionamenti interni, con la formazione di soluzione di continuità nel materiale con distacco microscopico delle due parti. Alterazione cromatica che si manifesta attraverso una variazione di colore naturale del materiali lapideo causata da pigmentazione delle strutture cellulari emesse sul substrato al biodeteriogeno per la propria attività metabolica, dalla presenza di colature di ossidi principalmente di rame e di ferro. Superficie alveolizzata che si manifesta con un’alterazione del materiale a elevata porosità conformazione di alveoli. Degradazione della superficie lapidea che si manifesta con una perdita e/o diminuita coesione e di adesione tra i componenti strutturali, causando un aumento della porosità e peggioramento delle caratteristiche meccaniche originarie. Estesa solfatazione del materiale lapideo sottoposto a dilavamento delle acque meteoriche, in diverse aree del paramento di rivestimento si rilevano rigonfiamenti e sollevamenti del materiale”. 

Un elenco lunghissimo che dice poco ai non addetti ai lavori ma che, invece, stimolò in quegli anni a lavorare al meglio per preservare la maestosa facciata da ulteriori danni. Per cui vennero ripetutamente pulite le sculture romaniche ricoperte da una patina nerastra, vennero smontati e sostituiti in diversi parti i marmi del rosone centrale, puliti tutti i colonnati e rifatte le stirature con malta, integrate con malta e sottoposte a trattamento a base di silicato di etile le colonnette in arenaria che presentavano una sfaldatura “a cipolla”. Vennero anche utilizzati per la prima volta metodologie innovative come la pulitura col laser dei profeti maggiori e realizzata un’anima interna in acciaio inox per consolidare il pinnacolo della facciata che minacciava di cadere. Ed infine per la pulitura si fece spesso ricorso alla microsabbiatura, senza utilizzo scope di saggina.

Dopo trent’anni possiamo dire che, grazie alla bontà di quell’intervento, l’immenso patrimonio scultoreo del duomo di cui la facciata principale costituisce il palinsesto, è stato salvato e, grazie alla collaborazione di tutti, possiamo ancora ammirare questa “montagna rosa” unica al mondo.

foto di Giuseppe Muchetti e Mariacristina Ferrari

Fabrizio Loffi


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