1 agosto 2021

Un bar svenduto "a riscatto", purtroppo così è finita la nostra città. Le amare riflessioni di un ex commerciante del centro

Nei giorni scorsi sono comparsi alcuni cartelli sull'ex bar Mi&Mi di corso Vittorio Emanuele in cui si propone un minimo di acconto e la possibilità di dilazionare l'acquisto del bar in 7-8 anni. Una sorta di affitto a riscatto. Secondo alcuni operatori commerciali una proposta che denota il decadimento del nostro centro storico. Un commerciante storico del centro città, conosciutissimo, ha commentato i cartelli esposti chiedendo però di restare anonimo. Ecco le sue riflessioni da professionista del settore ma molto amare sul futuro della città. .

Il cartello esposto fuori dal Mi&Mi è una proposta immobiliare. Ma se non ci si limita all’offerta di acquisto di un bar con “acconto minimo e dilazioni i 72/80 mesi” (che poi sono quasi sette anni) si può vedere, in quella vetrina, un allarme per il commercio e, più in generale, per la città. Una preoccupazione resa più forte dal fatto che anche il negozio adiacente è vuoto, con dei fogli bianchi ad oscurare la visione all’interno e nessun contatto per la vendita o l’affitto, come se il proprietario avesse rinunciato a trovare un locatore. C’era un “corniciaio”, poi una agenzia immobiliare. Una presenza poco più che fulminea. Non va meglio nelle altre vie della città: da Corso Garibaldi a Piazza Marconi, dalla zona delle poste e del cinema Tognazzi, alle stesse vie Solferino e Mercatello. In centro (come i ghiacciai) si sta restringendo sempre più e rischia di scomparire in un orizzonte non troppo lontano. Con lui l’identità di una città e un modello sociale, culturale, relazionale. A Cremona la deriva è particolarmente accentuata. Nell’indifferenza generale, nell’incapacità della politica di invertire la rotta.

Credo, come ex commerciante del centro, che la proposta dei venditori del Mi&Mi renda evidenti i problemi (se non piuttosto il declino) di una città. Una caduta rovinosa e velocissima. Solo qualche anno fa – ma già abbondantemente nel nuovo millennio (non un amarcord in bianco e nero), era un bar ottimamente frequentato, riferimento per gli uffici della zona (Questura, Prefettura, Comune e Provincia, solo per citarne qualcuno). Oggi è il simbolo di un centro che non è più attrattivo, che ha perso (e non per il covid) la capacità di rialzarsi e ripartire. Se guardiamo alle evidenze c’è poco di cui rallegrarsi. Lo dicono i numeri sui passaggi in centro, in costante contrazione (almeno come documenta quanto si legge sul giornale). Ma più in generale, andando oltre ad un contingente che in qualche modo si potrebbe legare alla pandemia, trovo zavorre che non promettono nulla di buono sul futuro se ci si deve rialzare. Penso al proliferare di aree commerciali ormai incistate nel tessuto urbano (e la zona di via Castellone, fino alla tangenziale e l’inizio della Paullese è una chiara conferma, con una “città nuova” fatta di medie e grandi distribuzioni). O, ancora, alle difficoltà, che in centro, trova il turn over delle imprese. I negozi che chiudono spesso restano senza nuovi affittuari. Neanche quando, come nel caso del Mi&Mi, si può adottare la formula della rateizzazione dell’acquisto rendendola, di fatto, sostenibile e simile a un affitto. Significa che manca il coraggio e quello, che è nel dna degli imprenditori, se viene meno significa che la situazione è oltremodo difficile. Gli unici interessati ad aprire attività (ma vorrei capire quale prospettiva possono garantire) sono i distributori automatici, forse qualche catena di frutta e verdura. Sono lo specchio di una città che rinuncia a quell’aspetto umano garantito da negozianti e pubblici esercizi. Meglio sarebbe, in questo caso, adottare regolamenti che impediscano l’insediamento di macchinette che erogano ogni cosa, se si crede nel turismo e nella bellezza di Cremona Anche qui non mancano le note dolenti e restiamo la “cenerentola “ della Lombardia, agli ultimi posti in Italia per durata dei soggiorni. “Brescia e Bergamo” si preparano ad essere capitali della cultura. Che, nel nome della musica, fanno gemellaggi con Catania e Palermo. E Cremona??? Completamente dimenticata e incapace di stringere relazioni. Segnale da non trascurare se l’impoverimento (che i giornali chiamano scippo ma in realtà nasce da responsabilità locali) arriva anche sulla Fiera Internazionale del Bovino e rischia di consegnare al fallimento l’esperienza del polo espositivo di Cà de’ Somenzi. Il problema è che, in questo modo, ci si onsegna anche un rassegnato scadimento sociale. La città, più povera di imprese e di servizi (con una progressiva delocalizzazione del centro) ha progressivamente visto esaurirsi quelle realtà (della cultura ma anche dell’impegno civico, come sono stati i laboratori che poi hanno portato ad esprimere progetti e una parte della classe dirigente) che solo qualche tempo fa rappresentavano una risorsa preziosa per sviluppare il territorio. Resta il mecenatismo di chi ha capito, che la formazione universitaria, il puntare sui giovani e sulla conoscenza è uno dei pilastri per rilanciare Cremona. Ma non basta.

Occorre recuperare – ed è l’unica via se vogliamo far rinascere la città - una “forza di coesione”, all’interno della comunità. Occorre onorare e dare contenuti al senso identitario e di appartenenza. Una città è un “sistema”. E come tutti i sistemi per non collassare deve essere ordinato, armonioso, coeso. Sono i valori che Cremona sembra aver perso. Di sicuro li si è del tutto dimenticati nel pensare allo sviluppo, innanzitutto urbanistico, della città.

Ciascuno deve provare a ricostruire questi principi, a renderli linfa vitale del nostro quotidiano. Il rapporto tra noi e gli altri nasconde un senso etico. E di giustezza - dice il filosofo Vito Mancuso -, che è la logica intrinseca di ogni fenomeno, da quelli naturali fino, soprattutto, a quelli umani. Dobbiamo capire i motivi di quello che vediamo con gli occhi. Se guardiamo quel cartello sulla vetrina del Mi&Mi dobbiamo interrogarsi sulle ragioni di questo declino. In questo modo possiamo creare un rapporto intrinseco tra ciò che rende vitale una città e chi la abita. Allora si crea sviluppo. Lo hanno fatto tante altre città. Penso a Mantova o a Parma, solo per citare un paio di esempi non distante da noi. Non basta, di fronte a tanti negozi vuoti, fare spallucce. Se le relazioni all’interno di una comunità si fanno più deboli o lacerate, allora ci si consegna al declinismo. Vale per ciascuno, cittadini, imprenditori, dirigenti politici. Avvertiamo il peso di questa responsabilità (ciascuno secondo le proprie responsabilità). Evitiamo di considerare la città come un organismo che comunque riesce a rigenerarsi, perché oggi Cremona, senza una regia attenta rischia seriamente di non farcela. Stimoliamo la politica, valorizziamo tutte le forze della città (da quelle del mecenatismo a quelle della cultura), diamo valore alle esperienze (anche quelle dei piccoli commercianti), sentiamo soprattutto nostra la sfida. Prima che sia troppo tardi.

Un ex commerciante del centro città


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