12 agosto 2023

Lo tsunami è all’orizzonte. La Forgia, Federmeccanica: "Tecnologie e politiche industriali per la transizione"

Già cosa succederà all’industria automobilistica europea che deve prepararsi allo tsunami dell’elettrico tra mille difficoltà congiunturali? Come è possibile supportarla? Con quali politiche industriali? Rispondere a queste domande non riguarda solo la vita di chi lavora o investe nei colossi automobilistici quali Stellantis, Bmw, Mercedes, Renault, Brembo o Ferrari. Riguarda l’intero andamento della vita economica, sociale e politica del Vecchio Continente, il futuro di decine di milioni di persone. Che è trainato dall’industria, e in particolare da quella automobilistica, principale driver di sviluppo dal dopoguerra ad oggi. Per supportare i decisori politici nel dipanare questa complicata e vitale matassa, i sindacati delle aziende da una parte (Federmeccanica e Anfia) da una parte e i sindacati dei lavoratori dall’altra (Fim della Cisl, Fiom della Cgil e Uilm della Uil) hanno deciso di redigere uno studio congiunto, che compara la situazione di Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna e Turchia a livello di struttura e caratteristiche di mercato auto e componentistica, nonché di azioni di politica industriale. In Germania (leader di mercato con marchi come Volkswagen, Audi, Bmw, Mercedes, Porsche) Francia (dove il più noto componentista è Faurecia), e Italia sono ancora localizzati assemblatori/Oem nazionali e nei i primi due Paesi sono presenti anche costruttori esteri. La Spagna pur non avendo “campioni nazionali”, come la Gran Bretagna, è in Europa il secondo Paese per importanza come assemblatore e la Polonia, tra i Paesi dell’Europa centrale, è quello a maggior tradizione automobilistica anche se la Repubblica Ceca e la Slovacchia registrano volumi produttivi maggiori.

L’Italia è leader nella componentistica auto con marchi come Brembo, Landi Renzo, Dell’Orto, Marelli, Sogefi. Lo studio completo si intitola “Automotive. Uno Scenario Regionale”, Industria Italiana, sito internet molto informato sui fatti, lavorando sullo studio e partecipando alla presentazione pubblica, ha cercato di cogliere i passaggi principali. Come vedremo meglio più avanti, emerge che in Italia ci sono meno incentivi e supporti che altrove, e una capacità di accompagnamento del decisore pubblico ridotta ai minimi termini. Soprattutto, la produttività del lavoro degli italiani è molto bassa, e questo spiega in buona misura anche i salari bassi. 

“Oggi è un altro giorno importante a distanza da quando poco più di un anno fa Federmeccanica, Fim, Fiom, Uilm hanno, per la prima volta insieme, presentato un posizionamento comune sul rilancio del settore automotive. È passato troppo tempo e troppo poco è stato fatto nel nostro Paese, mentre altri si sono mossi come dimostra lo studio che abbiamo fatto insieme al Sindacato” dice il presidente di Federmeccanica Federico Visentin e aggiunge: “Vere politiche industriali devono ancora essere messe in campo in Italia, ed anche attraverso momenti di confronto come quello di oggi, attraverso il dialogo con le parti sociali, è possibile definire misure efficaci. Si deve tornare a parlare di sviluppo, puntando sulla crescita delle nostre imprese per avere quei rimorchiatori nazionali che mancano e si devono attrarre investimenti dall’estero per alimentare le filiere del settore”.

L’ingegner Corrado La Forgia, vicepresidente Federmeccanica con delega alla Transizione Tecnologica ed Ecologica e general manager della Vhit di Offanengo (azienda cremasca del settore Automotive) ha le idee chiare: “Lo studio permette di acquisire consapevolezza. Non viviamo in una bolla e non possiamo come sistema Paese rimanere fermi, perché intorno a noi i nostri competitors vanno avanti veloci e rischiamo di rimanere troppo indietro per poi essere in grado di recuperare il terreno perduto. Serve subito un cambio di passo ed avere una visione chiara di quello che vogliamo diventare. Occorre definire un Unicum Italiano che ci consenta di continuare ad essere considerati un’eccellenza assoluta nel mondo. Il nostro marchio di fabbrica del Made in Italy deve essere anche un ‘’certificato di qualità dell’Invented in Italy’’, attraverso la ricerca e sviluppo e l’innovazione di prodotto. In questo percorso le nostre imprese non possono essere lasciate da sole. C’è una transizione ecologica da affrontare che deve essere guidata dalla tecnologia e sostenuta da politiche industriali”.

 

Stefano Mauri


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Manuel

12 agosto 2023 10:00

Credo sia il momento di iniettare nel globalismo mercantile, sostanziose farciture di economia pianificata poiché, oltre il pianeta allo stremo, il successo/scalata di un’industria, di un sistema/paese, significa l’automatico insuccesso/declino di altre industrie, sistemi/paese.
Premesso ciò e considerato come la direttrice politico/finanziaria indirizzi in altro senso, mi sembrano ragionevoli gli appelli di La Forgia, finalizzati alla sopravvivenza dell’Italia intera... sempre nell’attesa degli Stati Uniti d’Europa.
Probabilmente le distanze ideali tra me (che conto poco e niente) e l’ingegnere sono ampie, ma un personaggio del genere non si può relegare ad Offanengo: necessario l’incarico di ministro. Un’Italia ed un governo così sgangherati, dovrebbero considerare con celerità.