19 luglio 2024

Boni-Fanetti coppia di ferro medaglia di bronzo a Londra (1948)

Boni-Fanetti. Ancor oggi, quando sono trascorsi più di settant’anni dalla conquista della prima (ed unica) medaglia olimpica da parte della Canottieri Baldesio, il loro nomi ri- suonano ogni volta che in società si parla di canottaggio.

Eredi diretti della coppia altrettanto famosa, formata da Sisti e Bolzoni, sono riusciti a portare a Cremona, a distanza di vent’anni, quella medaglia che anche “Romeo e Giulietta” come li avevano soprannominati i tifosi, avrebbero potuto conquistare se varie circostanze sfortunate non lo avessero loro impedito.

Fu il bronzo di Londra a coronare una carriera che, senza la Seconda Guerra Mondiale, avrebbe potuto dare loro vittorie e soddisfazioni a non finire: basti pensare ai sette campionati italiani vinti in carriera tra il 1937 ed il 1949 nonostante la guerra avesse interrotto ogni attività per almeno un lustro privandoli delle Olimpiadi del 1940 e 1944 che avrebbero affrontato nel pieno della maturità atletica e di almeno altrettanti campionati d’Europa, mentre furono invece costretti a gareggiare a Londra dopo un periodo di inattività lunghissimo e con una preparazione forzatamente inadeguata e ad un’età, per un canottiere di quei tempi, piuttosto avanzata (Boni era nato nel 1915, Fanetti era del ‘14).

Dopo essersi messi in luce sin dalle categorie giovanili (avevano vinto il loro primo titolo italiano nella categoria juniores nel 1938) iniziarono la scalata alle prime posizioni. Difficile perché per raggiungere una posizione di testa, bisognava fare i conti anzitutto con i campioni d’Europa della Gorlese (Lazzati- Manfredini) che nel ‘37 avevano conquistato il titolo ad Amsterdam.

La crescita della coppia della Baldesio era comunque continua e sicura: campioni italiani seniores nel ‘39 e nel ‘40 a Pallanza, ancora nel ‘41 a Padova, erano entrati nell’ambito della squadra nazionale e le loro vittorie arrivavano puntualmente anche nelle poche regate internazionali che si disputavano in quei primi anni di guerra.

Nel ‘39 alle regate internazionali di Ginevra e l’anno seguente a quelle di Lugano, poi ancora a Lecco nel ‘41 quando già l’Italia era entrata in guerra, erano stati tra i protagonisti principali.

A quel punto, tutto sembrava esser terminato con l’entrata in guerra dell’Italia. Il “due senza” della Baldesio fu costretto a tirare i remi in barca, non solo metaforicamente.

L’attività s’era fermata completamente bloccata, qualche atleta era già in sotto le armi, le gare non si organizzavano più; sul Po vigeva l’assoluto divieto di navigazione per qualsiasi natante che rimase in vigore sino alla fine del 1946 e che impediva persino di fare un giro in barca, non solo di potersi allenare.

Quattro anni, quelli che avrebbero potuto essere i migliori, gettati al vento, senza mai mettersi una volata sul sediolo.

Finalmente, caduto il coprifuoco (ma si poteva navigare solo fino ad un’ora prima del tramonto) Boni e Fanetti tornarono in barca: avevano entrambi ormai passato abbondantemente la trentina, avevano trovato un lavoro e messo su famiglia.

Il canottaggio sembrava essere diventato solo un divertente passatempo domenicale, ma pian piano riaffiorarono antiche sensazioni, la voglia e la possibilità di strappare qualche ora al lavoro e alla famiglia: si convinsero a partecipare ai campionati d’Italia del 1947: erano in programma a Padova, sul Bacchiglione.

Vinsero dopo aver faticato un poco in batteria. Il clima della competizione cominciava a far breccia e le buone sensazioni miglioravano di giorno in giorno, tanto che, intensificando gli allenamenti, finirono per vincere la preolimpica di Pallanza in modo tale da convincere i tecnici a portarli alle Olimpiadi di Londra. Un premio che la loro costanza, dopo tanti anni di sacrifici apparentemente inutili, meritava ampiamente. Quatto anni prima, sicuramente, sarebbero andati per vincere. Ora già la partecipazione era un premio ed un riconoscimento, ma a Londra fecero molto di più di quanto gli si potesse chiedere. L’esperienza non mancava, la preparazione era stata buona, il morale altissimo: non avevano nulla da perdere e così ci provarono giungendo sino alla finale a tre in quello stretto canale londinese che costringeva a vere acrobazie per rimanere in corsia e che purtroppo gli inglesi conoscevano meglio di chiunque altro essendo il bacino in cui s’allenavano da anni.

La finale, purtroppo, non ebbe storia: troppo forte l’equipaggio inglese che aveva dominato tutti i turni precedenti e che si presentava con il netto favore del pronostico: i due equipaggi s’erano già affrontati nel primo turno (le batterie erano composte da tre soli equipaggi data la strettezza del Royal Regatta a Henley - on-Thames). Jack Wilson e William Laurie avevano superato gli azzurri segnando il tempo di 7’20”3. Boni e Fanetti erano stati distanziati di due soli secondi. Terza, a quasi mezzo minuto era arrivatala barca argentina.

Italia ai recuperi, quindi, e facile qualificazione a spese degli Stati Uniti e della pur temibile Francia.

Nelle tre semifinali, la Svizzera superava Australia e Austria, l’Italia aveva la meglio sulla Danimarca. Gli inglesi eliminavano il Brasile.

Finale a tre, dunque, con Italia, Svizzera e Gran Bretagna. Gli inglesi a dettare subito la loro legge. Boni e Fanetti resistevano al loro ritmo sino a metà gara, poi la stanchezza accumulata nelle eliminatorie cominciava a farsi sentire e progressivamente erano costretti a lasciar andare gli inglesi e nel finale anche la Svizzera.

Dieci i secondi che dividevano la barca azzurra da quella che andava a conquistare l’oro olimpico, ma se fossero riusciti a ripetere il tempo realizzato in batteria sarebbero arrivati solo a qualche decimo di secondo dai campioni.

Il bronzo era comunque un grandissimo risultato soprattutto considerando il modo in cui era arrivato e c’è comunque da ricordare che i due inglesi, quasi coetanei degli azzurri avevano dovuto affrontare in carriera più o meno gli stessi problemi dei nostri e quindi meritato era stato il loro successo olimpico. Più tranquillo, naturalmente, l’avvicinamento all’appuntamento coi cinque cerchi dell’equipaggio svizzero secondo classificato.

Cremona festeggiò i suoi campioni con una grande festa: era la prima medaglia olimpica in quello che era lo sport tradizionale della città e Boni e Fanetti decisero di continuare a remare sfruttando il momento favorevole e la voglia recuperare ancora un poco del tempo perduto. Non potevano allenarsi come probabilmente avrebbero potuto a causa degli impegni di famiglia e di lavoro, ma riuscirono umanamente a far sentire la loro voce non solo in campo nazionale. Non pensavano, nonostante qualche sollecitazione arrivata anche dall’alto, ad arrivare sino ad Helsinki, ma qualche soddisfazione e ancora sassolino dalla scarpa potevano toglierselo, mentre cominciavano a mettersi in luce nuovi equipaggi nelle categorie giovanili.

C’erano quattro anni di tempo e c’era anche da considerare il fatto che ad Helsinki si sarebbe gareggiato in mare contutte le difficoltà che questa situazione poteva comportare.

Boni e Fanetti, comunque, tornarono nelle acque del Bacchiglione, a Padova, dove si disputavano i campionati italiani per vincere il loro settimo tricolore e guadagnarsi anche il diritto a disputare gli europei di Amsterdam, proprio dove ventun’anni prima era sfuggita la medaglia all’altro grande due senza della Baldesio. Naturalmente era cambiato il campo di gara: il bacino di Boosbam era stato costruito per ospitare gli Europei del 1935 ed era uno specchio d’acqua perfetto, in grado di ospitare otto corsie.

Boni e Fanetti furono ancora una volta all’altezza della situazione guadagnandosi la medaglia di bronzo alle spalle di Svezia e Belgio. L’età aveva fatto probabilmente la differenza: i due ventenni, Evert Gunnaron e Bernt Robertson, i vincitori, erano nati rispettivamente nel 1929 e 1930, avevano quindici anni meno degli azzurri e lo stesso discorso vale per i Belgi che furono secondi, entrambi nati nel ‘26. Fu il loro canto del cigno ma rimasero sempre un grande esempio di amicizia fraterna e di attaccamento alla Baldesio e allo sport, pronti in ogni momento a far sentire la loro presenza tra i giovani atleti e tra i soci e a risalire in barca , in veneta naturalmente, perché solo questa è la remata degli amanti del Po fin quando la salute glielo consentì.

Nelle foto Boni e Fanetti alle Olimpiadi di Londra, poi i festeggiamenti alla Baldesio al ritorno da Londra e nel 1958: Boni e Fanetti con i ciclisti Ferrari e Pedroni, 10 anni dopo la partecipazione alle Olimpiadi

Cesare Castellani


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