10 aprile 2021

"La guerra te la raccontano, qui la vivi", Marta Voltini giovane medico cremonese da inizio pandemia al lavoro in Rianimazione a Pavia

È passato più di un anno da quando il covid ha cambiato la vita non solo dell’Italia ma dell’intero emisfero. Parole forti ma che fotografano il nostro nuovo presente. Oggi la voglia di tornare a respirare libertà si fa sempre più forte, in ogni settore, in ogni realtà, ad ogni età.

Lo sa bene Marta Voltini, 28 anni, cremonese di nascita (il papà Alessandro è liutaio con bottega in via Beltrami) e pavese d’adozione. Marta è un medico specializzando in Anestesia Rianimazione Terapia Intensiva presso il San Matteo di Pavia. Nel novembre 2019 inizia la sua esperienza in reparto. Tre mesi di apparente normalità per la professione che ha scelto, poi tutto cambia. A febbraio l’incontro con il nemico invisibile e sconosciuto. Marta da subito si trova faccia a faccia con il coronavirus. Lei è stata assegnata ad una sezione di Rianimazione, all’epoca dedicata per prima ad accogliere i pazienti affetti da covid.

È difficile descrivere questo anno. Ci siamo trovati ad affrontare una condizione surreale e inaspettata. Siamo umani, ognuno con la propria storia, la propria sensibilità che si acquisisce nel bene e nel male. – racconta - Non posso dimenticare la paura provata all’inizio, il senso di impotenza, nessuno conosceva i contorni della malattia. Nessuno conosceva il peso di una svista. Solo per prepararci al reparto impiegavamo quindici minuti. Ricordo le tute, le cuffie, i calzari, mascherine, visiere, tutto era nuovo. Nessuno, però, poteva garantire sulla nostra sicurezza. Nessuno aveva certezze sui protocolli da seguire. Avevamo qualche notizia dalla Cina ma, anche là, la situazione non era delle migliori. Non avevamo convinzioni nemmeno sulle terapie da seguire, mancavano dati. Ricordo chiaramente l’enorme sensazione di incertezza. In una delle mie prime notti un infermiere è entrato in reparto senza visiera ed è stato, immediatamente, mandato in pronto soccorso per effettuare un tampone. Il livello di allerta era molto alto. In realtà, oggi, sappiamo che tutti i dispositivi presenti in Rianimazione ci mettono al riparo da possibili contagi. È quasi più rischioso andare a fare la spesa.”

Il virus, l’avversario senza volto, è ancora qui. Striscia tra la gente e si insinua tra chi ancora, forse, non vuol vedere, chi si è trincerato tra le quattro mura segnato da una vita in solutine spesso priva di mezzi e chi lotta, nonostante tutto, per cercare un nuova normalità transitoria in attesa che passi la tempesta. Spaccato di un’Italia stanca, sfiduciata, differente e un po’ contraddittoria per consuetudine che incorona eroi e, se le aspettative non sono corrisposte, li declassa a traditori. 

“Mi ha colpito la necessità mediatica di dover trovare una figura salvatrice a tutti i costi, non mi sono mai sentita un eroe – sottolinea - noi eravamo sempre chiusi in ospedale a ritmi serrati, questo è vero, mentre la gente, nel primo lockdown, era chiusa in casa senza capire cosa stesse succedendo. Le strade erano spettrali cosa completamente differente oggi. Umanamente sono stanca anch’io. Anch’io avevo una vita diversa. Mi manca la libertà di prima. Il mio pensiero, però, va contro corrente. A poco servono le aperture e chiusure a singhiozzo dal punto di vista epidemiologico. I luoghi di assembramento non sono solo bar, ristoranti, palestre, lo sono le strade, piazze, i parchi, i luoghi dove si riunisce la gente. Purtroppo, ad oggi, abbiamo pochi strumenti per combattere il virus: mascherine indossate correttamente, distanziamento, vaccini e pazienza".

"Stiamo pagando tutti a caro prezzo questa situazione. È una guerra invisibile. - dice ancora la dottoressa Voltini - A volte ripenso a quando mia nonna mi parlava di quanto ha vissuto durante la seconda guerra mondiale. Rifletto sul numero di caduti, sulla sofferenza ma, quando scattava l’ora del coprifuoco dovevi fuggire a casa perché rischiavi di essere colpito da Pippo (il nome con cui venivano popolarmente chiamati gli aerei da caccia notturna che compivano le incursioni solitarie nel nord Italia). Il problema è che le restrizioni, per ora, sembrano essere l’unica soluzione per contenere il covid. Nessuno lo vorrebbe ma questa è la dura verità".

"Noi vediamo, ogni giorno, gli effetti e le conseguenze di questa malattia. - conclude Marta -Credo che chi è stato colpito dal covid, in un modo o nell’altro, abbia compreso la gravità della situazione. Se proprio vogliamo fare un paragone con la guerra, forse, in quegli anni terribili e per chi, ancora oggi, vive in aree di crisi, in guerra non hai i sentito dire, vivi con consapevolezza ciò che accade. Sono dispiaciuta perché le persone sembrano non voler comprendere quanta differenza possa fare il singolo comportamento. Noi lottiamo in quella che è stata definita prima linea per tentare di contenere i contagi ma, in alcuni casi, la gente sembra non capire. Ieri eravamo eroi, oggi, siamo gli uccellacci negativi. Ma, per il momento, non esistono altre soluzioni.” 

L’inizio della pandemia ha sviluppato una sorta di lotta tra giovani generazioni ed anziani. Due categorie così lontane a livello temporale eppure così simili. Chiusi ognuno nelle proprie realtà con un pezzo di vita scritta in un Paese chiuso e con un tempo che sembra esserci stato rubato.  Generazioni che hanno trovato un caldo abbraccio in un Tricolore spesso dimenticato, generazioni che fanno un popolo che attende, nonostante tutto, che si possa scrivere la parola libertà.

Beatrice Ponzoni


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti