6 giugno 2021

“La nostra anima è seta?”. I 10 anni del Museo della Seta di Soncino

La nostra anima è seta?” O forse è solo infinita sete? - si chiede il poeta Davide Rondoni con i versi dello straordinario poemetto dedicato a Soncino e in particolare alle lavoratrici della ex Filanda, che svetta ancora oggi con tutta la sua imponenza e bagaglio di storia accanto alla Rocca sforzesca.

La storia della seta è inscindibilmente legata a quella del borgo medievale: passeggiando nel silenzio della “sala ciminiera” sembra ancora di sentire i rumori delle antiche cinghie, dell’acqua, le urla dei padroni e le voci delle donne (molte erano poco più che bambine) che vi lavoravano (nei primi anni del ‘900 se ne contavano oltre 450, tra “filere”, “scuinere”, “tachere”…).

Proprio al primo piano dell’attuale complesso della ex Filanda, tra l’altro uno dei migliori esempi di archeologia industriale in territorio lombardo, oggi c’è un piccolo scrigno che ci offre una testimonianza importante di quel tempo e di quel duro lavoro: il Museo della Seta.

Nato e cresciuto grazie alla passione e alla costanza del proprietario della collezione, Enzo Corbani, soncinese doc, quest’anno il Museo festeggia i suoi primi dieci anni di vita, anche se le limitazioni dovute alle misure di contrasto al Covid-19 non hanno ancora permesso di celebrare il traguardo in maniera adeguata. 

Il turismo però, nelle ultime settimane, sembra aver ripreso una certa verve e tra una visita alla Rocca, al Museo dello Stampa e alle splendide chiese del borgo, i visitatori possono accedere, previa prenotazione, anche al cuore della storia della seta nel territorio soncinese e non solo. La collezione di Corbani offre pezzi e documenti straordinari (sono oltre 2.400!) che mostrano le fasi della lavorazione della seta con immagini, video, libri e persino minuziosi regolamenti relativi all’allevamento del baco e alla raccolta delle foglie dei gelsi. Sono presenti inoltre numerosi antichi strumenti per la produzione del pregiato tessuto. 

Il Museo è stato ampliato negli ultimi anni, con l’apertura di una particolarissima stanza dedicata alle ditte bacologiche e ogni volta che Enzo Corbani ha la possibilità di acquisire un nuovo pezzo, la collezione viene arricchita con novità che non lasciano mai indifferenti (tra l’altro, proprio nei giorni scorsi, è stato annunciato un nuovo arrivo, che sarà sicuramente un ulteriore fiore all’occhiello della prestigiosa raccolta).

Passando in rassegna gli oggetti e i documenti esposti si viene catapultati in un mondo che in questo nuovo millennio fatichiamo quasi a riconoscere. Si tratta di un patrimonio identitario che merita di essere conservato e fatto conoscere (è positivo il fatto che il Museo sia oggetto di interesse anche delle scuole, un po’ meno che molti soncinesi non l’abbiano ancora visitato) prima che la modernità spazzi via l’identità (“l’identità è il problema della modernità” - scrive sempre Rondoni in un altro verso del poemetto).

Lunga vita allora alle persone appassionate e previdenti come Enzo Corbani, che ci ricordano un po’ quei monaci medievali che, con la loro dedizione, hanno salvato un patrimonio sconfinato di opere classiche, facendo arrivare fino a noi tutto quel sapere.

Abbiamo sempre più bisogno di nuovi “amanuensi” che mettano in sicurezza le nostre radici e la nostra cultura, a maggior ragione in questo periodo di “cancel culture” dilagante, in questi tempi che, per certi versi, appaiono più “bui” di quei secoli che così vennero definiti. 

E allora chi dovesse passare per Soncino (per turismo o per altri motivi) non dovrebbe lasciarsi sfuggire la possibilità di immergersi, anche solo per pochi minuti, in una realtà che fa parte del nostro dna e della storia della nostra terra. 

Cristina Cappellini


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