24 maggio 2021

100 anni fa Cremona pensava a un inceneritore a recupero termico. Fu l'ingegnere Lo Iacono a progettarlo, sarebbe stata una rivoluzione

Già cent’anni fa a Cremona si pensava di realizzare un inceneritore per i rifiuti solidi urbani. Il progetto risale al 1920 ed a realizzarlo fu l’ingegnere Lo Iacono, dell’ufficio tecnico comunale. In quegli anni a Cremona esistevano dodici depositi scoperti perla raccolta dell’immondizia dove vecchi, donne e e bambini si affannavano tutto il giorno a selezionare tutto ciò che si poteva riciclare: carta, vestiti, vetro. L’assessore Giuseppe Garibotti, durante l’amministrazione guidata da Attilio Botti, aveva affidato a Lo Iacono l’incarico di studiare un sistema razionale per lo smaltimento dei rifiuti e l’ingegnere propose un sistema di incenerimento con speciali forni autocomburenti già utilizzati ad Amburgo, Bruxelles, Monaco e Buenos Aires.

Il forno comburente sarebbe servito sia per l’incenerimento dei rifiuti che per l’impianto termico. Le spazzature domestiche e stradali, trasportate da carri dentro il recinto dell’impianto, sarebbero state pesate e immediatamente scaricate in una fossa in muratura della capacità di oltre 70 tonnellate. Per mezzo di un grifo azionato ad elettricità l’immondizia sarebbe stata scaricata nelle celle di combustione poste sopra il piano della fossa, dove si sarebbe effettuata una cernita per separare i materiali ingombranti dannosi alla combustione, come ferro, vetro e rottami voluminosi di terraglie. L’impianto termico consisteva in due batterie, ciascuna provvista di una caldaia speciale a vapore a tubi d’acqua incrociati e costituita da due celle di combustione.

Una volta iniziata la combustione di una prima parte di immondizia, con l’accensione diretta di carta e legna prelevata dalle scoviglie, la combustione sarebbe proseguita senza aggiunta di altro combustibile, bastando rimescolare di tanto in tanto la massa incandescente, regolando la qualità di aria immessa da un ventilatore nelle celle. Per l’accensione delle cariche successive sarebbe bastata la stessa temperatura raggiunta dalle celle, lasciando un po’ di materia incandescente ogni volta che si sarebbe eliminata la massa di cenere e di scorie prodotta. Il vapore prodotto dalle caldaie sarebbe stato impiegato per azionare due motrici Tosi da 120 HP collegate a generatrici elettriche.

L’elettricità prodotta sarebbe stata in parte adoperata per le necessità dell’impianto ed il rimanente convogliato ad altri stabilimenti comunali. Altra parte di vapore avrebbe potuto essere convogliata nel funzionamento di un digestore collegato al forno di incenerimento, o per bagni e lavanderie. Le ceneri sarebbero state raccolte nella parte inferiore della muratura delle celle, a forma di imbuto, e depositate in una carrello di raccolta, trasportate in deposito e poi prelevate per essere utilizzate alla stregua di sabbia dalle imprese di costruzione. Le scorie, restate sul fondo delle celle, sarebbe state allontanante con un carrello mobile, quelle roventi gettate in acqua per essere sgretolate e poi centrifugate e ridotte in pezzature diverse per produrre ghiaietta, piastrelle da pavimentazione, tubi sagomati e, nel caso di pezzature maggiori, materiale da pavimentazione stradale. Una certa quantità di scorie a grana finissima, contenenti calce, anidride fosforica e potassa, sarebbero state utilizzate come materiale di aggiunta alle concimaie.

Secondo i calcoli di Lo Iacono da un chilogrammo di rifiuti si sarebbe sviluppato un chilo di vapore e l’impianto sarebbe stato in grado di bruciare ogni giorno 4 tonnellate di rifiuti. “Da ciò si può dedurre con sicurezza - osservava il progettista - che per una città come Cremona, che conta quasi 60.000 abitanti, il forno di incenerimento rappresenta una centrale termica per lo sviluppo di kg. 24.000 di vapore al giorno, calcolandosi a 24 tonnellate qualità media di immondizie combustibili raccolte belle abitazioni ed in taluni esercizi industriali”.

Fabrizio Loffi


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commenti


Michele de Crecchio

25 maggio 2021 22:56

Poco credo si sappia dell'ingegner Lo Jacono che fu anche progettista delle case comunali di piazza Fiume e forse anche dell'infelice disegno urbano che determinò l'urbanizzazione della area dell'ex-piazza d'armi facendolo diventare l'attuale quartiere di piazza Castello. Qualcuno ne ha altre notizie?