15 gennaio 2023

15 gennaio 1953, settant'anni fa moriva Renzo Botti uno dei pittori più amati dai cremonesi

Il 15 gennaio 1953, settant'anni fa, moriva all'Ospizio Soldi dov'era ricoverato da tre anni, Renzo Botti. Un grande pittore, forse il più amato dai cremonesi ma solo dopo la morte, prima aveva fatto una vita di miseria vivendo dapprima in una soffitta -studio in via Dante dove si riunivano i futuristi. Nel 1921 il censimento comunale lo indicava "senza fissa dimora" e viveva in una baracca sul Po, in via del Bersaglio. La sua ultima abitazione fu in via Colletta 5, nelle cucine dell' ex Opera Balilla, diventate rifugio per sfrattati e sinistrati prima del ricovero al Soldi. Era un anarchico, pacifista e antiborghese che amava la vita ma ne aveva orrore. Era uno straordinario artista capace dell'uso del colore in maniera incredibile e guardando anche oggi i suoi quadri si resta a bocca aperta su come sapeva far uso del colore, tanto colore ("un'orgia di colore" definirono la sua pittura) ma anche del tratto. Componeva quadri però con tormento, faceva di getto e poi ripensava e rifaceva le proprie opere. Nel 1911 e nel 1914 decorò a tempera due villette sul viale Po in maniera straordinaria. "Visse in serenità e onestà e in assoluta indigenza" scrive di lui Gianfranco Taglietti. Era nato a Cremona il 7 ottobre 1885 al numero 1  di via Mantova. Studiò sia all'Accademia di Milano che alla Carrara di Bergamo, poi tornò nella sua Cremona "e insieme a Biazzi, ad Anselmi, a Vittori, a Bertolini e ad alcuni altri giovani pittori, scultori e amatori d'arte, dondò una specie di cenacolo che non aveva nè sede nè credo aritstico, ma si proponeva di far gustare l'arte ai cremonesi" scrive di lui Mario Levi. Si definiva e così volle restare "L'ultimo bohèmien cremonese". "Non ebbe mai uno studio proprio: dovette sempre adattarsi in soffitte che qualche amico gli offrivano. Ma in tanto squallore - scrive ancora Mario Levi - la gaiezza non lo abbandonò mai. Nè l'onestà che in lui fu una dote innata. Era felice di ritrovarsi fra amici, e allora parlava di sè, delle sue vicende, della sua incredibile miseria, di coloro che lo avevano danneggiato. Sì, perchè il povero Botti trovò anche dei corvi che raggirarono la sua povertà, lo depredarono di tanti suoi lavori e vi specularono sopra, senza dare a lui, l'autore, neppure una lira. Botti rimpiangeva quelle sue opere perdute". "Ad un quadro era particolarmente affezionato - racconta ancora Levi - e ne parlava sempre con amore e nostalgia; ma non sapeva che fine avesse fatto. Venduto? Rubato? Distrutto? Non ricordava altro che di averlo composto nel 1920, quando frequentava la soffitta di via Dante. Gli era morta da due o tre anni la sorella adorata Zore; non aveva mai creduto che quella creatura, l'unica che lo avesse ricambiato con sollecito affetto, potesse essere morta, ma riteneva che 'qualche potenza l'avesse fatta sparire'.  E proprio nella memoria per lui sacra e nella nostalgia della sorella ancor quasi giovinetta, compose quel suo "ESSERE": una figura evanescente, che protende le braccia in una preghiera disperata verso un cielo torvo e muto. Forse in quella tetra raffigurazione di una sorda potenza implacabile, vi è tutta la sintesi di quella che doveva essere l'esistenza e la fine di Renzo Botti".

Marco Tanzi, in occasione della mostra "Pittori cremonesi del primo Novecento" ha scritto: "Credo di non andare oltre la verità affermando che Renzo Botti è l'artista cremonese più amato (naturalmente post mortem delle difficoltà della sua vita penso sappiano tutti), al quale la città ha dedicato due mostre di rilievo entrambe in Santa Maria della Pietà, l'antologica del 1976 e quella del 1989, in occasione della donazione dei disegni della raccolta di Danilo Montaldi alla Biblioteca". Una mostra postuma era già stata allestita nel 1954 ed altre dal '65 al '74 presso il gruppo d'arte nato per iniziativa di Danilo Montaldi.  Di lui scrissero Raffaele De Grada, Vittorio Dotti, Elda Fezzi, Alfredo Puerari, Piero Riccardi e Danilo Montaldi. In occasione dell'antologica del 1976 vennero censiti 392 dipinti e 136 disegni ma il catalogo, si sa, è largamento incompleto.

Renzo Botti ha anche lasciato un manoscritto, da lui stesso chiamato "Il testo", pubblicato da Danilo Montaldi nel 1975. 

 


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