29 aprile 2021

29 aprile 2006, quindici anni fa se ne andava Domenico Luzzara il presidente grigiorosso più amato dai tifosi

Quindici anni fa, il 29 aprile 2006 se ne andava Domenico Luzzara, il presidente grigiorosso più amato. “Arresto cardiocircolatorio” recitava il certificato di morte. Il suo fisico era debilitato: problemi cardiaci con un peace maker che non bastava più e il tumore alla vescica che lo faceva soffrire. Il suo cuore ballerino aveva cessato di battere nella sua bella casa di piazza Marconi dove era stato riportato l'altro ieri. Una residenza importante, cinquecentesca, un tempo abitata da Sofonisba Anguissola, la pittrice più grande. Luzzara l'aveva comprata vent'anni prima dopo una vita passata in via Ghisleri, una strada che amava perché carica di ricordi. Il grande palazzo arrivò quando Domenico era al culmine della sua carriera: imprenditore affermato, presidente della Banca Popolare e presidentissimo della Cremonese in serie A.

Mènech, come ancora lo chiamavano i pochi amici di gioventù rimasti, era nato 83 anni fa in una osteria gestita dal padre e dalla madre. La gioventù trascorsa nella fumosa osteria, il profumo del tabacco e gli effluvi del vino, gli sono rimasti impressi. Anche poche settimane prima di morire, a tavola, ricordava la “sua osteria”. Ed anche nelle interviste ufficiali rilasciate a quotidiani, televisioni e riviste incuriosite dal successo della “Cremonese pane e salame” che si batteva alla pari con Milan, Juve o Inter, Luzzara ricordava la sua infanzia.

“Sono nato in un'osteria, mio padre vendeva vino e acciughe. - dichiarò alla Gazzetta dello sport - Non volevo mai andare al mare. Una volta mi hanno portato e sono scappato a casa. Io ero uno del Po. Mi piacevano il mio fiume e l'odore della mia osteria. Il vino, i sigari, il Tabacco del Moro”.

Poi gli studi da ragioniere, l'impiego al Consorzio Agrario prima di andare a lavorare con uno zio, Chiappa, che costruiva piccoli impianti elettrici. Luzzara lavorò moltissimo, prese in mano l'azienda ed arrivò ad avere perfino un migliaio di dipendenti, perlopiù in giro per il mondo a costruire impianti.

Poi nel 1967 la Cremonese. Prima come commissario straordinario in serie D poi presidente. Luzzara ufficialmente entrò nella società grigiorossa per “risarcimento” del mancato pagamento della illuminazione dello Zini che la sua ditta aveva realizzato. In realtà era stato contagiato dalla passione del suo unico figlio, Attilio, tifoso della Cremonese. Ma “Tete”, a soli 21 anni, se ne andò in un incidente stradale.

Una tragedia per Domenico e la moglie Nanda. Nel nome di Attilio, Luzzara si buttò nel lavoro e nella Cremonese di suo figlio. Nel 1976 tornò in serie B. Poi nel 1984 la storica impresa: la serie A dopo quella presenza nel 1929- 30 in quella a girone unico. Nel 1993 a Wembley la vittoria nel torneo anglo-italiano battendo in finale il Derby County per 3 a 1. Poi il crollo sportivo e la vendita della società a Graziano Triboldi, dopo un lungo braccio di ferro, nel marzo del 2002.

Impossibile scindere il nome di Domenico Luzzara da quello di Erminio Favalli. Quando morì Domenico, disse Favalli: «Non servono fiumi di parole. Ne bastano davvero poche: ricordiamolo per le tante cose belle che ha fatto». Era il periodo del cosiddetto calcio “pane e salame”, una frase tanto cara a Favalli: «Non era so- lo un modo di dire. Il calcio ‘pane e salame’ era una vera e propria filosofia. Significava amicizia, era cuore. E quando gli altri criticavano questo modo di agire, in verità era perché non capivano che era un modo per volare più in alto tutti assieme».


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