Ciak, si gira. Nel 1951 un cast stellare con Silvana Pampanini per il film su Giuseppe Guarneri del regista Enzo Borromeo, proposto e mai girato a Cremona (21)
Un sogno a lungo accarezzato che fu sul punto di realizzarsi nella primavera del 1951: un grande film su Giuseppe Guarneri del Gesù con i migliori attori della stagione neorealista italiana. Poi, non sappiamo esattamente per quale motivo, non se ne fece nulla. Era il terzo tentativo nel giro di tre lustri di dedicare un lungometraggio ai maestri della liuteria cremonese, che si sarebbe però concretizzato solo molti anni dopo nel 1988 con lo Stradivari di Giacomo Battiato, interpretato da Anthony Quinn, e, nel 1998, con “Il violino rosso” di François Girard. Nel 1936, in previsione delle celebrazioni del bicentenario stradivariano che si sarebbero tenute l'anno successivo, il comitato che si era appositamente costituito, tra le altre iniziative, aveva proposto anche l'idea di realizzare un film su Antonio Stradivari, che si sarebbe dovuto girare interamente tra le vie di Cremona. La proposta era stata fatta propria anche dall'Ente provinciale del Turismo, appena costituito sotto la presidenza di Tullo Bellomi. Se ne discusse nell'ultima seduta di quell'anno, ma poi non se ne fece nulla. L'idea, tuttavia, non era per nulla originale. I cremonesi erano stati bruciati sul tempo dai tedeschi che, il 25 agosto 1935, avevano distribuito nelle sale cinematografiche “Stradivari” il primo film dedicato al grande liutaio, affidato al regista Géza von Bolvàry, con un cast che annoverava i migliori attori del momento. Una produzione franco-tedesca realizzata con grande dispendio di mezzi, cui era seguita in ottobre, la versione francese intitolata “Stradivarius”. Un vero film, di oltre un'ora e mezza, con protagonista Stradivari ed i suoi violini, con una trama che, per alcuni versi, anticipava i contenuti del celebre “Violino rosso”, girato effettivamente nelle strade e nelle piazze di Cremona poco più di sessant'anni dopo.
Quando dunque quella sera del 31 marzo 1951 Enzo Borromeo si presentò nel piccolo teatro del Gruppo Artistico Leonardo allestito nel palazzo dell'arte per assistere a due rappresentazioni de “L'uomo dal fiore in bocca” diretto da Adriano Vercelli, tutti lo notarono. Il regista era giunto espressamente da Roma accompagnato dalla sua segretaria Paola Gagnatelli, già attrice del Teatro Stabile diretto da Gemma D'Amora, che l'anno prima aveva lasciato Cremona per stabilirsi definitamente a San Felice Circeo. Di origini anconetane, Paola, scomparsa nel novembre del 2013 dopo aver insegnato per 32 anni nelle scuole elementari di Borgo Montenero, durante la guerra era sfollata a Cremona con la madre e si era dedicata con passione al teatro. Nel 2008 le è stato conferito dal presidente Napolitano il Cavalierato della Repubblica, dopo la pubblicazione di un libro “La lunga favola di nonna”, che si apre appunto con il racconto della sua vita cremonese. Ebbene il giovane regista teatrale romano era giunto a Cremona con il preciso intento di girare un film su Giuseppe Guarneri del Gesù, ed aveva fornito tutti i dettagli del progetto. Si sarebbe trattato di una coproduzione italo austriaca, tra la casa di produzione italiana Italmetrofilm e la Helios film austriaca. Le trattative erano durate parecchi mesi ed in quei giorni si stava stendendo il piano di lavorazione per le riprese, che si sarebbero dovute girare in buona parte nelle strade cittadine, nei palazzi e nella Cattedrale. Alcune scene si sarebbero girate a Parma ed altre a Bologna, mentre per gli interni la troupe si sarebbe trasferita a Vienna. Il soggetto era stato scritto da un autore austriaco mentre sarebbe stato lo stesso Borromeo a scrivere la sceneggiatura, in quei mesi in fase di ultimazione, avvalendosi di una serie di specialisti in materia di liuteria. La pellicola sarebbe stata girata interamente a colori con il sistema Agfacolor. Introdotto nel 1939, l'Agfacolor fu il primo processo negativo/positivo con sviluppo cromogeno di pellicole cinematografiche multistrato. Durante la Seconda guerra mondiale il procedimento fu usato per 13 film a colori. Dopo il 1945 dall'Agfacolor furono derivate altre pellicole a colori tra cui la Ferraniacolor. Lo sviluppo e l'introduzione dell'Agfacolor erano stati promossi dal governo tedesco e in particolare dal Ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels, il quale era convinto che i film a colori tedeschi avrebbero presto potuto competere con le produzioni di Hollywood.
Ma quello che avrebbe dovuto stupire era il cast stellare coinvolto nella produzione, formato dai più noti artisti italiani ed austriaci del periodo. Ad iniziare da Paula Wessely, una delle attrici di punta del cinema austriaco e dell'UFA nel panorama cinematografico dell'anteguerra, vincitrice nel 1935 della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla Mostra Internazionale d'arte cinematografica in “Episodio”, un film di Walter Reisch. Nel 1950 la Wessely aveva creato una propria casa di produzione che in nove anni avrebbe prodotto undici pellicole. C'era poi Otto Wernicke, noto per aver interpretato in due film di Fritz Lang il ruolo del commissario Karl Lohmann, il primo ispettore di polizia pragmatico e razionale della storia del Cinema. Fu, anche, il primo a rappresentare il capitano Smith nel primo film "ufficiale" sul Titanic nel 1943. Nel 1951 era impegnato in Italia in “Amore e sangue”, un film di Marino Girolami con Andrea Checchi. Nel cast figurava il ballerino e attore teatrale austriaco Harry Feist, che nel 1942 aveva iniziato a lavorare in varie produzioni cinematografiche italiane di cui rimarrà storica quella in cui interpreta il maggiore Fritz Bergman in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Will Quadflieg, uno dei più noti attori teatrali tedeschi del dopoguerra, considerato uno dei massimi declamatori di poesie in lingua tedesca, aveva recitato in opere di Schiller, Shakespeare, Ibsen e Schnitzler e lavorato anche in qualità di dialoghista e direttore di doppiaggio per il cinema, e come adattatore e rielaboratore di testi teatrali per il teatro di prosa e per quello musicale.
Tra le attrici italiane c'era Silvana Pampanini, la prima vera diva cinematografica italiana ad essere conosciuta in tutto il globo, dall'India al Giappone, dagli Stati Uniti all'Egitto, così come nella vecchia Europa. Nei primi anni '50 Silvana Pampanini, che nel 1946 era stata eletta a fuor di popolo Miss Italiana ex aequo con Rossana Martini, è l'attrice italiana più pagata e richiesta. Nel 1951 avrebbe poi girato “Bellezze in bicicletta” in cui canta anche l'omonima canzone, e “Ok Nerone”, suo primo successo internazionale, parodia di "Quo vadis". E poi Vittorio Duse, che nel 1943 aveva recitato in “Redenzione” di Marcello Albani e “Ossessione” di Luchino Visconti e tanti anni dopo, nel 1990, avrebbe interpretato la parte dell'anziano don Tommasino, nel film “Il padrino, parte III” di Coppola. Tra gli uomini nel cast figurano anche Mario Ferrari, attore e doppiatore che avrà poi una carriera lunghissima, diretto tra gli anni trenta e quaranta da registi come Blasetti, Alessandrini e Brignone, prototipo dell'italiano fiero ed irriducibile, mai disposto a scendere a compromessi, ruoli che lo obbligano a non sfuggire al cliché di uomo granitico, integerrimo, rigoroso e a tratti severo che lo obbligano spesso ad interpretare il ruolo di ufficiale, ma che nell'Italia fascista ha rappresentato l'immagine dell'eroe positivo, senza macchia e senza paura, a cui ispirarsi; Ugo Sasso, che nel 1970 interpreterà la parte dello sceriffo zoppo nel film “Lo chiamavano Trinità...”; Armando Guarneri , che negli anni quaranta aveva interpretato molti film, tra cui “Amanti in fuga” del 1946 con Gino Bechi, “I fratelli Karamazoff” del 1947 con Fosco Giachetti e Mariella Lotti, entrambi diretti da Giacomo Gentilomo e “L'isola di Montecristo” di Mario Sequi del 1949 con Carlo Ninchi e Claudio Gora nel ruolo di Esposito che negli anni cinquanta e sessanta prenderà parte sempre in ruoli di caratterista a molti altri film tra cui “Guardie e ladri” di Mario Monicelli e Steno del 1951 con Totò e Aldo Fabrizi nel ruolo del barbiere e in tanti altri. Ed infine Enzo Stajola, che all'età di sette anni, era stato scelto per il ruolo di Bruno Ricci da Vittorio De Sica nel film "Ladri di biciclette" del 1948. Viene scelto per via della sua caratteristica camminata. Lasciatosi dirigere dal grande maestro con estrema bravura, l'immagine dello Staiola bambino divenne una specie di "manifesto" vivente del neorealismo italiano, per la sua profonda e spontanea umanità. Tuttavia, la sua successiva carriera di attore non gli ha mai permesso di approfondire il personaggio che l'aveva reso famoso né di ripetere il miracolo del suo debutto; benché qualcuna fra le sue interpretazioni sia apparsa degna di nota, come quella in "Cuori senza frontiere" (1950) di Luigi Zampa in cui sostiene un ruolo di rilievo.
Questo per quanto riguarda gli attori. La colonna sonora sarebbe stata composta dalle musiche originali di Paganini eseguite dall'Orchestra Filarmonica di Vienna. Il regista Borromeo avrebbe voluto anche che partecipassero alle riprese i diversi attori delle compagnie filodrammatiche locali, con cui aveva già preso contatti. Ma in realtà il film, che avrebbe dovuto essere distribuito in Italia, Austria e Svizzera, non fu mai girato. Dello stesso regista Enzo Borromeo si persero le tracce e non si parlò più, fino agli anni ottanta, di altre pellicole a tema liutario.
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