Dalla terra del Grande Fiume omicidi, decapitazioni e casi rimasti irrisolti per duecento anni. Sono i masnadieri del Po, i criminali che hanno terrorizzato la Bassa nel 1800
Terra di artisti, di poeti e di scrittori, di musicisti, di artigiani e di anacoreti, terra di mestieri scomparsi come quello dei mugnai, dei carrettieri, dei barcaioli e degli scariolanti, delle tabacchine, dei sabbiatori (ai quali Cesare Pavese ha dedicato la straordinaria ed indimenticabile poesia “Crepuscolo di sabbiatori del Po in una casa in cima a una collina”) e dei traghettatori. Ma anche terra di briganti e masnadieri che, in tempi ormai remoti, sull’una e sull’altra riva del fiume facevano il bello ed il cattivo tempo, rendendosi anche protagonisti di efferati delitti, quasi sempre finalizzati a derubare poveri lavoratori e gente di fiume.
Ne sanno qualcosa a Torricella del Pizzo dove la storia, grazie anche all’impegno di persone come Gabriele e Giacomo Marchetti che la tengono viva e la custodiscono, narra di episodi delittuosi accaduti nell’Ottocento. Uno su tutti quello a danno di Francesco Taffurelli, mugnaio del Po ucciso all’età di 51 anni. Ancora oggi la sua vicenda e la sua persona sono tenute vive in una lapide (che purtroppo è sempre più sbiadita e sgretolata, e ne sarebbe assolutamente necessario il restauro) sistemata sul muro della sagrestia parrocchiale, a due passi dal cimitero vecchio. Qui la storia è “doppia” perché non solo rimanda ai briganti del Po ma anche a quella straordinaria pagina di storia fluviale dei vecchi mulini sul Po (molti dei quali purtroppo spazzati via dai lastroni di ghiaccio del terribile inverno del 1929). Taffurelli era appunto un mugnaio e venne ucciso proprio sul suo mulino, ad una manciata di giorni dal Natale (ad essere precisi proprio all’inizio della novena di Natale).
È sufficiente lasciare “parlare” la lapide marmorea in cui si legge “Francesco Taffurelli, mugnaio, nell’età di anni 51, la notte del 16 dicembre 1859 si rassegnava nella Misericordia divina mentre sul molino fu assalito da masnadieri e da un colpo di fucile restò vittima lasciando la moglie e cinque figli dolenti i quali con religioso vale questo marmo posero”. Marmo che ha certo bisogno di essere restaurato e valorizzato e che rappresenta ancora oggi una pagina di storia aperta per chiunque si voglia fermare a leggerla e studiarla (purtroppo cosa rara in questa società che va sempre di fretta e non coglie l’essenziale). Taffurelli non fu l’unico, a Torricella del Pizzo, a fare i conti con briganti e masnadieri. Tra le loro vittime ci fu anche, nel 1876, Giovanni Marchetti (antenato dei due storici locali Gabriele e Giacomo Marchetti) al quale venne tagliata anche la testa. Poi, ancora, un certo Cavalli che mentre stava raggiungendo la sua barca per andare al mercato di Sissa fu assalito ed ucciso da una banda di briganti. Una delle tante che all’epoca si muovevano sull’una e sull’altra riva del fiume spaziando anche nel resto del territorio.
Tra i briganti più famosi, due che di cognome facevano Stringhini e Mezzadri. Entrambi furono individuati e condannati all’ergastolo, ma non fecero nemmeno un giorno nelle patrie galere perché il primo, Stringhini, riuscì a fuggire in Brasile, mentre Mezzadri si rese irreperibile. Entrambi sono per altro ancora ricordati tramite un detto locale, in rigoroso dialetto. In prigione finì invece un certo Alessandretti, protagonista anche di uno scontro a fuoco con i carabinieri, coinvolto nell’omicidio di un dipendente dell’agricoltore Stefano Pasquali. Quest’ultimo, proprio per l’accaduto, inizialmente fu accusato di essere stato l’autore materiale dell’omicidio ma fu poi prosciolto e rimesso in libertà.
In quanto all’Alessandretti, questi inizialmente trovò rifugio in Francia ma i Carabinieri riuscirono ad individuarlo grazie ad una sua leggerezza: quella di inviare missive da oltralpe ai suoi parenti in terra casalasca. I Carabinieri (che sino alla fine della prima guerra mondiale avevano una loro caserma in quel di Torricella del Pizzo), agli ordini del capitano Bottini, riuscirono a intercettare le missive e quando il loro ricercato fece ritorno per le festività natalizie, a casa di parenti a Motta Baluffi, la vigilia di Natale del 1886 lo arrestarono.
A proposito invece del già citato Stefano Pasquali, questi faceva parte della famiglia di Giovanni Pasquali, importante agricoltore locale, a sua volta ricordato in una lapide marmorea posta proprio a fianco di quella dedicata al mugnaio Taffurelli. Giovanni Pasquali resse anche il Comune e, come si legge nella lapide, fu un insigne benefattore locale, caratterizzato da particolare generosità e dolcezza con una attenzione particolare per i poveri. Fu anche “buon padre e marito”, come recita la lapide e morì all’età di 58 anni il 29 aprile del 1840. A fianco della sua lapide si trova anche quella di uno dei suoi figli, Modesto Pasquali che di anni ne aveva appena 20 quando morì il 15 ottobre 1825 (esattamente duecento anni fa). Questi Pasquali, giusto evidenziarlo, sono tutti antenati da Donatella Pasquali, la moglie dell’ex presidente del Consiglio ed ex ministro Lamberto Dini (ed in precedenza del defunto Renzo Zingone, il fondatore di Zingonia, nel Bergamasco), nata a Pozzaglio il 18 ottobre 1942.
Eremita del Po
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commenti
Lilluccio Bartoli
4 febbraio 2025 21:43
Saper cogliere nelle pieghe del tempo i risvolti celati di queste storie e saperli riportare con tanta semplicita ed efficacia, non è da tutti. Sto spellandomi le mani applaudendo.