Ecco il vero volto di Antonio Stradivari nel medaglione della famiglia Anelli. Lo abbiamo potuto ammirare all'Academia Cremonensis
Ecco il vero volto di Antonio Stradivari. Intenso, volitivo, molto simile al personaggio dipinto in contraffaciata a Sant'Agostino individuato da Elia Santoro e dal restauratore Ernesto Piroli. Lo abbiamo potuto ammirare ieri all'Academia Cremonensis durante l'incontro con i nipoti di Pietro Anelli, l'imprenditore cremonese costruttore di pianoforti, fortepiani e persino fisarmoniche famoso in tutto il mondo. L'occasione era la donazione di un pianoforte Anelli al Comando della Guardia di Finanza, sorto in via Zara di fronte alla fabbrica di strumenti musicali. Una donazione e un incontro avvenuti grazie al professor Fabio Perrone, musicologo e studioso della storia degli Anelli con il sogno di un museo dedicato all'imprenditore cremonese e ai suoi meravigliosi strumenti.
Ma torniamo al volto di Stradivari e a quello che sembra davvero il suo ritratto. Ma che volto aveva Antonio Stradivari? Come mai pur essendo uno tra i cremonesi più ricchi e famosi dell’epoca non si fece mai ritrarre, come invece erano abituati a fare i nobili, gli artisti, i prelati o i borghesi ricchi?
L’unica descrizione attendibile delle sue caratteristiche fisiche è quella narrata dal musicologo belga Francois Joseph Fétis (1784-1871). Questi era stato maestro di Cappella del Re dei dei belgi e direttore del Conservatorio di Bruxelles. Nel 1856 scrisse il saggio “Antoine Stradivari, luthier cèlébre connu sous le nom de Stradivarius”. Fétis utilizzò molte notizie “passate” da un liutaio francese, Jean-Baptiste Vuillaume (1798-1875) che per mezzo secolo studiò la vita e le opere di Stradivari cercando di imitarne gli strumenti nella sua bottega di Parigi, tanto da suscitare spesso confusione tra gli originali del maestro cremonese e quelli prodotti a Parigi. Vuillaume fu diverse volte in Italia a Cremona per capire i segreti del grande liutaio. Passò poi tutti i documenti e i suoi appunti al musicologo belga Fétis. Questi nel suo volume accolse la testimonianza di Giovambattista Poliedro (1781-1853) che ricordava come il violinista e compositore Gaetano Pugnani (1727-1808), lo conobbe da bambino, descriveva Stradivari. “Era alto di statura e magro. Abitualmente indossava una cuffia di lana bianca in inverno, e di cotone in estate, portava sui vestiti un grembiule di pelle bianca quando lavorava e siccome lavorava sempre, il suo abito non variava mai. Si era arricchito con il lavoro e l’economia: al punto che gli abitanti di Cremona avevano l’abitudine di dire ricco come Stradivari…”. Polledro era primo violino della Cappella della corte sabauda a Torino. Anche il Pugnani fu maestro di Camera e di Cappella del Re di Sardegna ed a lui è attribuita l’applicazione della vite per la tensione dei crini dell’archetto. All’epoca era considerato forse il violinista più famoso d’Italia, tanto è vero che Wolfang Amadeus Mozart, nel suo primo viaggio in Italia, si recò a Torino per incontrarlo. Quella riferita dal Fétis è l’unica descrizione dell’aspetto fisico del grande maestro cremonese.
Esistono tante opere raffiguranti Stradivari, ma tutte di fantasia e nessuna che possa godere di qualche attendibilità.
L’unico ritratto del grande liutaio su cui non si sono dissipati dubbi di autenticità ma che potrebbe indicarci l’aspetto vero del maestro è proprio il piccolo ovale, un medaglione di pochi centimetri (7,5 per 5,5) dipinto ad olio su cartone che ieri abbiamo potuto ammirare. Proviene dalla collezione di Pietro Anelli, fondatore della antica casa cremonese produttrice di pianoforti. Era stato di proprietà della contessa Clara Maffei (1814-1886), patriota milanese antiaustriaca, notissima per aver dato vita ad uno dei grandi salotti della cultura meneghina. Il medaglione finì ad un antiquario genovese dove venne scovato dal violinista Pietro Sassi di Alessandria che lo vendette ad Anelli. Il cartone porta scritto sulla parte superiore “Stradivario 1691” e in quella inferiore la firma del pittore, Gialdisi, I dubbi sull’autenticità del cartone (pubblicato sulla rivista “Cremona” nel 1929) furono immediati. Innanzitutto perché il nome di quel pittore figurava solo nelle “Notizie istoriche de’ pittori, scultori e architetti cremonesi” di Giovan Battista Zaist del 1774 ed è indicato come “Francesco Gialdisi, parmigiano”, in realtà si sarebbe trattato di un refuso dello Zaist. Il pittore citato sarebbe infatti Antonio Gianlisi, nato nel piacentino nel 1671 e morto a Cremona il primo maggio 1727. Molto probabilmente il pittore conobbe davvero Stradivari ma la scritta rossa attorno al ritratto presunto di Stradivari venne probabilmente apposta in epoca successiva per dar valore al medaglione, prendendo per buono come traccia del falsario il refuso dello Zaist. Infatti sia la scritta “Stradivario 1691” che la firma “Gialdisi” sono state apposte dalla stessa mano, secondo critici dell’arte del Novecento (Ugo Ojetti in prima persona), in epoca posteriore rispetto a quella dell’ovale.
Resta poi da considerare che la data apposta in testa al ritratto si riferisce a un periodo in cui Stradivari era sicuramente noto nell’ambiente musicale ma non aveva ancora raggiunto grande fama. Il pittore Gianlisi era sicuramente uno spirito irrequieto. Vagò a lungo tra Cremona e Piacenza e, secondo quanto scrive lo storico cremonese Diomede Arisi, il “Gianlisi ha lavorato tanto che non vè casa per così dire, ove non siano dè suoi quadri”. Del pittore però si conoscono nature morte, strumenti musicali, fiori e frutti ma non ritratti.
Il ritratto, in una cornice in bronzo e ottone con tortiglioni che richiamano le “effe” dei violini, venne inesorabilmente “marchiato” come falso nel corso delle celebrazioni stradivariane a Cremona nel 1937.
Il “regime fascista” del 6 marzo 1937, pubblicò la fotografia di un dipinto del veneziano Gregorio Lazzarini (1655-1740) di cui ora si è persa traccia. Raffigurava il liutaio cremonese nel suo laboratorio. Alle sue spalle c’era una una finestra aperta in cui si intravedeva il Torrazzo. Sulla destra del quadro stava scritto “1710- Antonius Stradivarius cremonensis”. Anche in questo caso probabilmente si trattava di un’opera di fantasia, forse di risulta per poter sfruttarecommercialmente il quadro in vista delle grandi celebrazioni stradivariane del 1937 su cui il fascismo puntava molto per far crescere la considerazione sul ras di Cremona Roberto Farinacci. Il direttore dell’Accademia del Restauro di Perugia, Renato Mancia, effettuò un accurato esame ai raggi x del dipinto. Notò così si che al posto della finestra nella quale nella quale si intravede il Torrazzo e all’adiacente volto umano, era stato precedentemente dipinto il volto di un vecchio “tutt’altro che simpatico” che, anziché il riccio ed il violino, reggeva in mano il diario domestico delle spese. Questo bastò a far cadere nel dimenticatoio in fretta il quadro veneziano.
La maggior opera di fantasia è senza dubbio “Stradivarius dans son atelier” di Edouard Jean Conrad Hamman, attore romantico vissuto tra il 1819 e il 1888 autore di numerosi soggetti storici. Il grande liutaio è rappresentato non come l’artigiano curvo sul suo banco da lavoro, ma come il genio che sta creando la sua opera: scruta la sua creatura cercado di infondervi lo spirito vitale che sprigiona quell’aria pensosa, il solo che può animare la materia inanimata, che può far sorgere da quell’oscuro assemblaggio di legno, il suono dell’armonia. L’opera, proprio per quell’ansia romantica che la anima, ebbe grande fortuna: fu riprodotta in litografia, su cartolina e su una serie di francobolli emessa durante il bicentenario del 1937. Dopo una prima esposizione a Parigi nel 1859, il quadro della Hamman è sparito senza lasciare traccia e oggi se ne ignora la collocazione.
Verso il 1899, il cremonese Alessandro Rinaldi, ispirandosi alla descrizione del Pugnani, dipinse Stradivari nel suo laboratorio nell’atto di osservare in trasparenza il contenuto di una fialetta, con probabile allusione al segreto della vernice. L’ambientazione del dipinto ricalca l’aspetto probabile che la bottega artigianale doveva avere nell’antica casa di piazza Roma, prima che questa fosse demolita, e che sicuramente il pittore riuscì a vedere e a ricostruire attraverso i ricordi del liutaio Enrico Ceruti che aveva ereditato dal nonno, conoscente del pronipote di Antonio Stradivari.
Ma negli anni scorsi, il giornalista e storico locale Elia Santoro (a cui si devono quasi tutti gli studi sul vero volto di Stradivari), grazie al contributo di Ernesto Piroli, restauratore cremonese, ha identificato il volto di Antonio Stradivari nella grande tela di Angelo Massarotti posto in controfacciata nella chiesa di Sant’Agostino a Cremona. Il grande liutaio è posto di trequarti, piuttosto in ombra e non lontano dall’autoritratto del pittore, contemporaneo del liutaio e come lui molto vicino all’ordine degli Agostiniani. L’affascinante ipotesi nasce da diversi elementi. In primo luogo l’affinità che lega questo volto con quello del medaglione falsamente firmato “Gialdisi”. L’impostazione del volto è la stessa, analogo il taglio della bocca, stesso disegno del naso sebbene più raffinato rispetto a quello più rozzo del medaglione. Poi la frequentazione da parte di Stradivari del convento degli Agostiniani e dell’ordine laico che li sosteneva. Una ipotesi di grande suggestione e probabilmente, vista anche la foggia del vestire, molto vicina alla realtà.
A Cremona diversi grandi scultori moderni come Gianfranco Paulli o Floriano Bodini hanno realizzato statue del grande liutaio, meravigliose dal punto di vista realizzativo e artistico, ma sono tutte di fantasia e, per certi versi, di scarsa aderenza con la realtà storica di Stradivari.
Qualche anno fa per poche centinaia di euro sono state battute all’asta a Genova due tavolette settecentesche con il volto di Antonio Stradivari (Stradivario, c’è scritto sulla tavoletta) e di Guarneri del Gesù acquistate da un liutaio cremonese. Due olii su legno di abete di 14,5 centimetri per 11 attualmente esposti al Museo del Violino. E’ il vero volto dei due grandi liutai? Difficile dirlo ma non c’è dubbio che il fascino delle due tavolette è notevole (anche se la mano non pare felicissima) perché dei due non esiste alcun ritratto riconosciuto come autentico. Tutte e due i liutai sembrano piuttosto paffuti, con in mano due violini di fattura non particolarmente bella. I ritratti – pur non essendo uguali – assomigliano a quelli individuati nel 1980 da Elia Santoro, di proprietà di un antiquario di Ravenna anche se in questo caso la qualità sembra migliore.
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